Alberto Manfredini
siva all’adattare il razionalismo d’oltralpe alla situazione italiana. A non prenderlo cioè così come era, ma ad avere l’accortezza di saperlo manipolare nella misura necessaria per poter iniziare una via italiana al razionalismo che corri- spondesse, in misura analoga al razionalismo europeo, alle nuove arti figurative, alle teorie sociali e allo sviluppo della tecnica. ma che soprattutto avesse dentro di sé una radice fondamentale. La radice della sincerità, pervasa di quella mediterraneità tutta italiana, e la radice della genialità che caratterizzò l’opera di terragni. in italia il razionalismo era debole, fondato su pochissime persone. Non per caso l’espe- rienza italiana fu considerata come una “manifestazione europeistica da salotto” (Persico), e non casualmente dopo la guerra entrò in una crisi profonda che ingenerò grande confusione ma soprattutto non produsse più scuola, anche se quella del razionalismo italiano fu sempre minuscola. Pure il prodotto architettonico, specie quello del dopo- guerra, esce perdente se confrontato con le contemporanee esperienze europee e in particolare con quelle britanniche. dopo la guerra, la cultura architettonica italiana, che nel 943 aveva perso con la morte di terragni il proprio ele- mento trainante, torna a scivolare sul piano del sensibilismo, dello stile e del personalistico, invece che continuare sulla via dell’approfondimento dei problemi reali della gente; un’architettura di “consolazione”, decorativa, che non si pone problemi di fondo. Il saggio di Zevi contribuisce a far cogliere lo spirito di questi avvenimenti e ad approfon- dire in modo determinante la conoscenza sull’architetto di Como esaltandone la peculiarità. Dai rapporti di osmosi con il Costruttivismo russo (nella soluzione d’angolo del Novocomum che rimanda al celebre Club Zujev di Golosov, con le sterili polemiche storico-citiche del chi prima e chi dopo fecit), alla rivalutazione e al recupero dell’esperienza futurista approfondendone le intuizioni e sapendo trarre da esse quegli elementi necessari alla definizione di un’ar- chitettura nuova. operazioni compiute senza mai rompere bruscamente con le preesistenze storiche, culturali e sociali (quando ci sono), anzi sapendo sapientemente dialogare con esse attraverso la ricerca di un’architettura che pur essendo moderna e razionalista fosse, oltre che di presagio di tempi nuovi, anche di memoria per quel passato che valesse la pena di essere conservato. Basti per tutti l’esempio di casa Vietti nel quartiere cortesella a como, dove l’antico viene rispettato senza essere segregato, entrando addirittura a
Questioni di progettazione architettonica
partecipare direttamente alla nuova configurazione del volto della città. Una lezione di metodo, valida soprattutto oggi, in tema di interventi contemporanei in nuclei antichi, dove le pseudoteorie del ripristino indiscriminato ancora imperano. Dopo un periodo in bilico tra “Novecento” e “Razionalismo” (si pensi al monumento di Erba Incino e alle tombe Ortelli e Stecchini) e prima di quella definita da Zevi come la “stagione poetica”, Terragni lotta ferocemente, con i suoi compagni di ideologia, contro il monumentalismo classicista, operando contro il piacentinismo e il romanismo attraverso il disprezzo per l’esaltazione provincialistica del monumentale e attraverso il desiderio di essere all’interno di quello che con altrettanto disprezzo l’hitlerismo chia- mava stile internazionale. emerge dunque con chiarezza la grande portata di una monografia su Terragni, intesa quale strumento di ausilio e di stimolo per contrastare quelle cor- renti alla moda che predominano nel mondo architettonico. Per cercare di recuperare al più presto lo spirito dell’esprit nouveau anziché rivendicare marx, o sue versioni moder- ne, attraverso nuove elaborazioni Hegeliane della scuola di Francoforte.
note
* “Parametro”, n. 99, agosto settembre 1981, p. 7. . B. zevi, Giuseppe Terragni, Zanichelli, Bologna, 98.
Questioni di progettazione architettonica
la commovente e personale testimonianza sulla vita e sull’opera di Terragni recentemente pubblicizzata da Luigi Zuccoli , oltre che costituire la testimonianza da parte del
suo amico più caro (in una lettera del ’41, inviata a Zuc- coli, Terragni così si esprime: “L’amicizia è un dono raro e come ti scrissi qualche tempo fa io ti considero come uno dei pochissimi e forse il solo degno di questo senti- mento altissimo”) offre l’opportunità di esprimere qualche considerazione. gli scritti di Zuccoli sono strumentali per illuminare angoli oscuri della vita condotta sulle rive del lago di como negli anni ’0 e ’30 da parte delle avanguar- die culturali e per puntualizzare certi aspetti specifici del lavoro professionale di Terragni. Utilissima è la precisazione sulla cronologia esatta del novocomum, rivolta a quanti lo consideravano e lo considerano un plagio di un’altrettanto celebre realizzazione. Quella moscovita di Golosov per il club dei lavoratori comunali. Mentre l’opera sovietica è del ’28, il completamento del progetto di Terragni è della fine del ’7. altrettanto importante è la precisazione che Zuccoli compie relativamente a quanto espresso di recente dalla critica architettonica ufficiale sui cosiddetti progetti “A” e “B” del palazzo del littorio a Roma. se l’idea generatrice del progetto “B” è di terragni e lingeri non si può ignorare che l’ideatore del progetto “A” fu Vietti e che il contributo di Terragni, peraltro rilevante, si limitò alla proposta di librare nell’aria la grande parete curva della facciata, sostenendola dall’alto. Denunciando in tal modo la “fatica” strutturale tramite l’esteriorizzazione dell’andamento delle linee iso- statiche. Così pure come viene precisato da Zuccoli che il nome di Gianni Verga, ingegnere e figlio del proprietario delle officine del gas di Como, non può essere in alcun modo dissociato da quello di terragni nel progetto delle