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I MUSEI DI NEW YORK *

Nel documento Questioni di Progettazione Architettonica (pagine 169-173)

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Alberto Manfredini

critica al passato comincia a diffondersi sistematicamente e addirittura a codificarsi tramite il contributo di due saggi in particolare. Uno del ’74 di Blake (Form Follows Fiasco) e uno, del ’77 di Jencks (Language of Post Modern Archi-

tecture). Non che non ci siano o ci siano state le difese

appassionate ma per il momento non ci interessano. il mes- saggio che pare dominante, meno di dieci anni fa, sulla scena architettonica, intende sancire la fine dell’architettu- ra moderna. Si fa genericamente di ogni erba un fascio, sia in America che in Europa, e i guasti dell’urbanistica e del- l’architettura contemporanea sono tout court attribuiti al- l’ideologia del “movimento moderno”. di positivo e di oggettivamente indiscutibile ci fu allora, come deve esser- ci ora, la coscienza che quella civiltà delle macchine che aveva costituito una delle certezze del “movimento moder- no” aveva ceduto il posto alla civiltà dell’elettronica e che la grande forza morale e rivoluzionaria dell’architettura moderna era andata completamente estinguendosi ma per un ben semplice motivo: erano venuti meno i presupposti che l’avevano prodotta. come reazione al passato recente, nasce l’architettura post moderna, continuamente in bilico tra due aspetti differenti: uno, che non esiterei a definire come il meno favorevole, che vede privilegiare la moda, la tendenza, il falso storico e l’ironia fine a sé stessa; l’altro, sicuramente positivo, che intende privilegiare la coscienza oggettiva, la sensibilità non più apparente, le attenzioni vere al divenire del nostro tempo, il senso autentico della storia e l’ironia sincera. si deve pure essere certi che il moderno che oggi pare riproporsi in realtà non cedette mai, anche se a dispetto di molti critici. un esempio che vale per molti altri: l’esperienza dei New York Five. Tale fenomeno è quanto mai stimolante per tentare di comprendere con maggiore chiarezza il senso degli ultimi accadimenti. i Five sono subito apprezzati per il loro ritorno alla “specificità semantica dell’architettura”, scevro da ogni tipo di orna- mento. Finché sono uniti tentano di adeguare, dilatandolo e reinterpretandolo (si pensi a Eisenman), il linguaggio dell’architettura moderna all’epoca post moderna nella quale, piaccia o non piaccia, ci è dato di vivere. Poi ognuno di essi ricerca una propria identità autonoma: alcuni conti- nuano lungo la strada intrapresa, altri si lasciano tentare dai facili eccessi della moda. Ecco nascere il neomoderno, che è per esempio quello di meier e gwathmey e che coincide,

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almeno nella sua essenza più intima, con l’aspetto positivo dell’architettura postmoderna (l’attenzione nei riguardi del divenire dell’epoca storica), discostandosi da questa preva- lentemente negli aspetti formali. Mentre un altro dei Five, graves, è propenso a collocarsi e a porsi come esponente della corrente meno positiva dell’architettura post moderna (quella della moda e degli eccessi). È Michael Graves a proporre la reinterpretazione del Whitney museum attra- verso un progetto che compromette inequivocabilmente la volumetria preesistente di Breuer. È proprio tale progetto a suscitare una generale campagna anti graves , che si con-

figura come una difesa a oltranza dell’architettura moderna e dei suoi valori più appassionati. non è successo lo stesso, anzi si è verificato il contrario, nel progetto di Charles Gwathmey e Robert Siegel per l’ampliamento del Gug- genheim museum. se nel progetto graves è estremamente difficile pensare il nuovo intervento compatibile con l’esi- stente, nel progetto gwathmey le nuove volumetrie propo- ste, pur alterando l’armonia e la “balance” complessiva, non modificano la percezione originaria dell’opera di Wri- ght o quantomeno il nuovo intervento può essere ritenuto compatibile con l’esistente nel senso che non altera i rap- porti volumetrici e il contenuto spaziale dell’opera primi- tiva. da un punto squisitamente stilistico un progetto è post moderno nel primo aspetto di tale termine, l’altro invece è post moderno nel suo secondo aspetto o è neomoderno o moderno che, nelle accezioni di questo contesto, pratica- mente significano la stessa cosa. Il moderno di oggi presen- ta pertanto molte affinità sostanziali con l’aspetto positivo del post moderno e può, insieme a quest’ultimo, interpre- tarsi come la naturale evoluzione di quel “movimento moderno” da cui si discosta necessariamente sotto il profi- lo storico ideologico. ma questo è più che naturale ed evidente. se il moderno di ieri aveva delle motivazioni e delle giustificazioni profonde, sostanziali ed etiche, ed era stimolato a operare alle radici delle cose, il moderno di oggi, pur partendo da motivazioni analoghe, richiede giustifica- zioni più semplici ed epidermiche perché si rivolge più alla superficie dei problemi ed è per vocazione stimolato a operare più sul piano degli aspetti formali ed estetici. In tal senso l’antologica di ludwig mies van der Rohe capita a proposito. Una lettura della sua opera, in cui bellezza e verità, etica ed estetica, aspetti formali e aspetti sostanzia-

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li, essenzialità razionale e decorazione sempre sono com- presenti in una difficile ma equilibrata armonia in cui nulla prevale a scapito di qualcosa e in cui tutto è importante e ha la stessa importanza, può sollecitare nel riportare l’at- tenzione sui problemi più autentici proprio in un contesto, quello newyorkese, destinato ancora una volta a fare scuo- la. nel periodo attuale ci si deve convincere che post mo- derno è più di una realtà importante. Rappresenta una si- tuazione esistenziale, è una condizione dell’essere. anzi è la condizione dell’essere moderno oggi. operare in archi- tettura nel mondo contemporaneo impone di possedere questa chiave di lettura della fenomenologia progettuale, che è estremamente difficile riuscire a controllare in ogni sua parte, proprio per il fatto che l’esperienza, qui, è anco- ra tutta da fare, ma che non è nemmeno pensabile, sotto l’aspetto storico ed etico, di poter ignorare. deve pur esse- re chiaro come tale atteggiamento sia irrinunciabile per chi oggi sia attento agli sviluppi della cultura e delle tecnologie e viva positivamente la propria epoca. Il Tsukuba Center di Isozaky o l’ultimo Stirling della nuova Stadt Gallerie di Stoccarda si collocano a buon diritto in questo ambito. Così come vi si collocano le opere di tutti coloro che, vigili al continuo divenire delle società, portano vanti la propria ricerca progettuale nell’ambito dell’architettura della con- temporaneità.

note

* “Parametro”, n. 150, ottobre 1986, pp. 3 e ss.

. vedi B. zevi in “l’architettura” n. 36/’85 e P. goldBerger in un articolo

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a pochi chilometri da Bergamo, sulla strada provincia- le per Milano, sorge il nuovo centro per uffici della “Co- struzioni edili cattaneo” progettato da marco dasso. Leggere questa recente realizzazione consente di affronta- re un discorso particolare impostato su tre argomenti prin- cipali. consente di parlare del suo autore attraverso l’ottica del mondo culturale ligure, permette di puntualizzare an- cora una volta il problema del riuso edilizio e soprattutto è di stimolo per attingere a considerazioni, più generali ma pur sempre pertinenti, che possono divenire strumentali per focalizzare alcuni aspetti sullo stato contemporaneo dell’ar- chitettura. La prima riflessione è legata all’autore che proviene da una regione italiana che lo vede costantemen- te in prima linea e in cui la buona architettura costruita ri- mane quasi sovente custodita gelosamente nell’ambito re- gionale che l’ha prodotta. nel senso che pure nei tempi recenti, anche se qualche eccezione esiste, l’“architetto li- gure” preferisce lavorare in sordina e sempre in sordina conferisce il proprio indiscutibile apporto all’architettura contemporanea. Situazione che si verifica anche quando lavora e opera fuori della Liguria. Come del resto in molte altre occasioni, tale discorso può valere anche per dasso e per il suo corpus di opere. È un luogo comune, per chi conosce il mondo ligure, tale atteggiamento che trova pe- raltro le proprie radici storiche indietro nel tempo. un’esem- plificazione significativa è costituita dagli interventi geno- vesi di Galeazzo Alessi. Se non ci fosse stato Rubens a divulgare, europeizzandolo tramite le sue incisioni, l’inter- vento alessiano della Strada Nuova o Vasari a pubblicizzar- lo nella seconda edizione delle sue “Vite”, si sarebbe forse dovuto attendere Labò o, ancora più tardi, Poleggi. Lo stesso daneri, e chi l’ha conosciuto personalmente non può

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