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HUGO HÄRING E IL SUO KÜNSTWOLLEN *

Nel documento Questioni di Progettazione Architettonica (pagine 106-109)

Alberto Manfredini

epigoni della scuola viennese producono con Konrad Fiedler i postulati del purovisibilismo. Concetti sintetizzabili nella visione “ottica” e nella visione “tattile” della percezione in cui il simbolo visivo, divenuto canone estetico, dà luogo a una reinterpretazione complessiva dei fenomeni pittorici. Mentre con Alois Riegel e Franz Wichoff, assistiamo alla creazione di uno dei più affascinanti e sublimi concetti della storia sociale dell’arte, alla codificazione e alla formulazione della teoria del künstwollen o, ciò che è lo stesso, alla teoria dell’autonomia della forma artistica. Quando nel 1907 nasce a monaco il Deutscher Werkbund e la borghesia industriale illuminata comincia a servirsi dei “Pionieri del movimento moderno”, Lipps e Worringer elaborano, proprio in quegli anni, le teorie dell’Einfühlung. È proprio in questa temperie storica e culturale che opera e offre il proprio contributo all’architettura moderna Häring progettista e teorico, che tanta parte ebbe nella costituzione prima del November

Gruppe (cui parteciparono Hilberseimer, Mendelshon,

Gropius, Mies, Bruno Taut, Poelzig e Behrens) e poi del

Der Ring (cui aderirono May, Wagner, i fratelli Lurckhardt,

Tessenow e altri). Nel complesso nonostante la ricerca da parte della critica di inserire Häring vuoi nella corrente espressionista (Koenig, Gregotti e Zevi) o in quella organica (“Impegno nella ricerca organica” è il sottotitolo del saggio di Bucciarelli), probabilmente, nonostante le analogie e i raffronti spesso strumentali che possono avvicinarlo ai maestri dell’organicismo o dell’espressionismo (ma anche a Horta, a Scharoun e, estremizzando, forse anche a Gau- dì), la sua personalità e la sua opera vivono decisamente un intimo e profondo künstwollen, vale a dire un’intima e profonda autonomia artistica e espressiva sia sul piano del linguaggio architettonico che su quello del sincretismo teoretico. Al pari della pittura e della scultura “finalizzate a dar forma alle percezioni naturalistiche, l’architettura ha per Häring il compito di dar forma alla funzione, di rendere evidente l’esigenza pratica liberandola dalla sua condizione originaria di qualità informe”. Applicata con rigore logico, l’architettura non diverrà altro che uno strumento opera- tivo. Alla base della sua poetica, e in netto contrasto con Le Corbusier (del resto già manifestatosi nel CIAM de la Sarraz), sta la considerazione che “una lucida sfera di me- tallo è certamente un concetto emozionante per l’intelletto, ma un fiore è un’esperienza di vita”. Le forme organiche

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Questioni di progettazione architettonica

sono le sole per Häring in grado di offrire un’alternativa al funzionalismo, relativamente alla manipolazione dello spazio fisico per una formulazione spaziale di un’architet- tura a misura d’uomo. il suo organicismo non è quello di Wright. Häring non usa quasi mai il termine “spazio”, bensì la parola “forma.”. Punto di accumulazione delle sue teorie non è tanto il problema spaziale, quanto piuttosto la forma concreta che lo definisce, senza per questo mai degenerare nel formalismo sterile e deteriore. La forma è anzi consi- derata l’essenza stessa dell’architettura alla cui determina- zione concorre l’ipotesi funzionale da cui non può e non deve mai essere scissa. il complesso sistema architettonico della fattoria Garkau Klingberg del ’24 (forse la sua opera più celebre), traduce in maniera esemplare il suo modo di concepire l’architettura anticipando, e per certi aspetti anche trascendendo, la qualità spaziale dei canonizzati maestri del “razionalismo organicizzato” che vennero dopo di lui. la sua interpretazione spaziale, e la conseguente aggregazione degli spazi stessi, avviene in maniera eterodossa, e non può in modo alcuno essere classificata o normalizzata, rifug- gendo in tal modo sia le ricette formali del razionalismo che quelle dell’espressionismo e dell’organicismo. la sua concezione spaziale contribuisce a fare di lui un autentico maestro dell’architettura, la portata del cui messaggio è destinata a rimanere a lungo.

note

* “Parametro”, n. 100-101, ottobre novembre 1981, p. 8. . P. Bucciarelli, Hugo Häring, dedalo, Roma, 98.

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La “Intervista sulla nuova città” a Giovanni Michelucci 

consente, grazie al lucido e sensibile apporto dell’intervi- stato, di riesaminare una teoria intera di problematiche non solo legate ai temi della città ma, più in generale, alla cultura architettonica e urbanistica contemporanea. Articolata in sei capitoli (“Essere architetto vuol dire pensare la città come

fine di ogni fatto progettuale”; “La partecipazione della gente è l’obiettivo cui si deve tendere”; “Abbiamo perso la fiducia in noi stessi e non abbiamo più il senso della storia”; “L’edificio è un elemento della città e non soltanto la soddisfazione di un interesse privato”; “La forma non si armonizza se non c’è armonia nella funzione”; “La nuova città va intesa come un organismo dinamico”), ciascuno dei

quali animato dal proficuo dialogo tra Michelucci e Fabrizio Brunetti, l’intervista si conclude tramite un’analisi critica di quegli articoli nei quali, durante la prima fase della sua attività, il maestro toscano affronta in vario modo il tema della città, affinando il proprio pensiero urbanistico da cui molto bene traspare la coscienza del modo d’essere attuale, e non solo architettonico. la crisi di valori, la mancanza di coerenza, purtroppo oggettiva, di movimenti legati alle problematiche reali della nostra società con il disorienta- mento culturale che ne è derivato, appaiono chiaramente e coerentemente, e pure non può meravigliare se michelucci sa, o vuole, prendere le distanze dalla rassegna veneziana della “Strada Nuovissima”, in cui non riesce a giustifica- re il recupero delle forme del passato a un presente con tutt’altri problemi per di più non ancora sufficientemente individuati. con altrettanta coerenza e chiarezza di idee, avendo lui vissuto il problema in prima persona più volte, come architetto progettista, la sua serena ma decisa presa di posizione a favore degli interventi moderni nei centri

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