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Alberto Manfredini
zione della ricerca formale che, in tale ottica interpretativa, diviene essa stessa funzione per l’architettura. Si pensi alla cappella di Pampulha dove, per la più parte della critica d’architettura, il neoespressionismo è addolcito da sugge- stioni surrealiste e dove, più che altrove, l’autore plasma i propri oggetti architettonici come sequenze di imprevisti o come euforici frammenti di natura cristallizzata sempre pervasi dalla ricerca angosciosa di una forma diversa. Il ruo- lo assunto dalla ricerca della forma all’interno del proprio processo progettuale, e la convinzione che la forma sia una funzione dell’architettura, emergono con lucidità sapiente e magistrale nella sua nota conclusiva al catalogo della mostra. “un giorno, davanti al palazzo dei dogi a Venezia, vedendo le sue colonne così lavorate e lo splendido contrasto che creavano con la parete esterna liscia che le sostiene, mi venne questa osservazione: ogni forma che nell’architettura crea bellezza, ha una funzione precisa. E la verità m’apparve chiara, cristallina. Perché criticare le forme raffinate che il cemento consente, se in altri periodi sono accettate con en- tusiasmo? (...). Tutto cominciò quando i responsabili dell’ar- chitettura contemporanea utilizzarono il funzionalismo per giustificare la metamorfosi plastica che desideravano”. Per quanto riguarda la tavola rotonda campionese vale la pena di rammentare come dopo a. Pica, per il quale niemeyer rappresenta unitamente a Candela e a Torroja, un ribelle nei confronti del “movimento moderno”, Mantero, chiarendo la propria matrice culturale più progettuale che storico-critica, ha avanzato qualche perplessità sulla figura dell’architetto evidenziando sia la carenza che, a proprio parere, esprime nelle concezioni urbanistiche, sia i legami con Lucio Costa, sia come, nel complesso, l’opera di niemeyer non sia nota al grande pubblico. La rivista “Parametro” ha sottolineato la grande capacità di Niemeyer nel controllo della progetta- zione alla grande scala che, ancor più che a Brasilia, appare evidente nella città verticale del Negev. E ancora la grande capacità nell’invenzione della forma, sempre riconducibile a una precisa logica geometrica, che lo pone in alternativa alla spesso frustrante rinuncia alla fantasia della forma da parte degli esponenti del moderno. Non solo: la forza nelle sue architettura sta anche nel sapere enfatizzare il valore emblematico dell’oggetto indipendentemente dal contesto (e la borsa dipartimentale del lavoro a Bobigny del ’72 costituisce un esempio chiarificatore). Infine, nella cultura
Questioni di progettazione architettonica
attuale in cui il concetto di “monumentale” è spesso equivo- cato, niemeyer riesce a perseguire tale assunto compositivo senza ricorrere a stilemi, a pastiches o a revivals, ma solo ricorrendo a una dimensione in cui la scala del consueto è superata tramite l’adozione di una diversa unità di misura (si pensi ai pieni e vuoti nel progetto per una torre della
Défense), di un carattere atipico nell’intuizione strutturale
e infine di un ritmo, spesso a misure alterne, che permette di controllare il segno senza indulgere al monumentalismo deteriore. dal punto di vista della linguistica architettonica Niemeyer è stato ed è perennemente in bilico tra “movimen- to moderno” e stile internazionale, agendo pertanto come chi, utilizzando il razionalismo alla maniera della scala di Witgenstein, è approdato, seppure in termini talvolta con- traddittori, a nuove e diverse concretizzazioni spaziali. una diffusa e avvincente comunicazione di Batini sulle proprie esperienze brasiliane a fianco di Niemeyer e la conclusione di simonetti, volta soprattutto a esprimere grandi riserve sul piano contenutistico e linguistico nell’opera di oscar, hanno completato il meeting campionese. nell’attuale periodo storico in cui non emergono con sufficiente chiarezza una o più linee di tendenza, la figura e la personalità di Niemeyer possono certamente rappresentare un riferimento, ancorché discutibile, per chi voglia impegnarsi nel fare architettura. anche se, soprattutto oggi, è dalla “architettura degli eroi” (quale per esempio quella di Niemeyer) che si dovrebbe tenere le distanze, perché alla fine è proprio quella che maggiormente calpesta le reali esigenze delle società.
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Questioni di progettazione architettonica
Il numero di aprile ’80 della rivista “Abitare” è dedicato per intero alle tematiche urbanistiche ed edilizie affrontate, discusse e risolte in questi ultimi anni in danimarca con particolare riferimento all’edilizia residenziale, al recupero edilizio, alla pianificazione urbanistica, ai problemi ener- getici e al disegno industriale. attraverso la descrizione dei diversi modi di abitare l’illustrazione delle nuove architet- ture è esaminata sia sotto gli aspetti formali che tecnologici ma soprattutto attraverso l’immagine dell’impegno corale con cui tali problemi sono affrontati con alto spirito civico da parte di tutti. silvia latis e italo lupi hanno compiuto una lettura attenta e quanto mai stimolante, della danimarca di oggi, per tutta una serie di risvolti e implicazioni che dovrebbero far pensare alle nostre realtà territoriali. I tre quartieri modello presentati (Tinggarden, Hyldespjaldet, Syølund), tutti sorti nei pressi di piccole città, ma comunque tutti dell’hinterland di Copenaghen, rispettano assai bene, quasi emblematizzandola, la politica edilizia in Danimarca alla vigilia degli anni ’80. si tratta di tre esempi di insedia- menti abitativi a bassissima densità edilizia, sorti dopo la “svolta” degli anni ’70, allorché prevalse la tendenza di non continuare a edificare intensivamente per grossi complessi multipiano come era invalso negli anni immediatamente successivi al ’60. Tornare quindi a costruire a bassissima densità ha significato, per la Danimarca, rinnovare le an- tiche tradizioni abitative che peraltro non erano casuali, bensì in stretta funzione e dipendenza con tutto l’habitat geomorfologico dell’Europa del nord con tutte le implica- zioni e conseguenze che esso comporta . si tratta dunque
di edifici di eccellente e rara qualità architettonica che solo raramente raggiungono i tre piani contribuendo in tal modo alla definizione di un townscape di alto livello qualitativo.