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LA PIRAMIDE DI VETRO DEL GRAND LOUVRE *

Nel documento Questioni di Progettazione Architettonica (pagine 197-200)

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Alberto Manfredini

e modernisti, presupponeva un intervento moderno che fosse in sintonia con la preesistenza monumentale. L’aver sviluppato la maggior parte delle richieste progettuali di nuovi spazi sotto il livello di campagna costituì, già di per sé, un efficace éscamotage per eludere il problema, o meglio, per conferirgli la soluzione più consona. Ma il contatto tra esterno e interno, tra sottosuolo per gli spazi specializzati e piano di campagna per la vita di relazione e di fruizione degli spazi esterni, anche a seguito dell’ubicazione pre- scelta, il centro della cour napoléon, costituiva il punto più delicato della composizione. Pei risolve tale problema nell’unico modo possibile. Non affida il complesso sistema degli ingressi a una struttura architettonica vera e propria, ma copre il “buco” dell’ingresso con un elemento neutro, senza peso e senza spessore: una piramide dalla esilissima struttura in acciaio interamente rivestita con lastre di vetro trasparente. lo spazio della cour napoléon non è compro- messo irrimediabilmente (mentre qualsiasi altra soluzione, diversa dall’adottata, sarebbe stata meno compatibile con il monumento). Si avverte, ed è vero, il volume della piramide ma si continuano a percepire senza fatica le tre facciate che definiscono la Corte. Pure penetrando all’interno della nuova struttura, la qualità e la trasparenza del vetro non interclude la percezione dello spazio architettonico esistente e nemmeno il colore delle facciate storiche è falsato dall’in- terposizione della membrana vitrea. Sotto il profilo urbano la presenza di questo elemento architettonico nuovo, apparen- temente estraneo al tessuto della città, che si percepisce, ma che è senza massa e senza colore, contribuisce a sottolineare ulteriormente un asse viario urbano preesistente. Tale asse, lineare con leggero flesso dopo Place de l’Étoile, è profon- damente radicato nella morfologia parigina per il fatto di costituire la congiunzione tra una parte della città storica e una parte del suo intorno periferico di recente edificazione. la congiungente spaziale che si diparte dalla cour napoléon e si spinge all’arc du triomphe e che dall’Étoile, oltre la Senna, giunge sino alla Défense costituisce un asse urbano sostanzialmente portante che connette la città storica alla periferia contemporanea. Il Louvre da un lato e la Défense dall’altro costituiscono i due termini di un confronto e i punti iniziale e finale di un percorso di difficile o impossibile percezione visiva (per gli eccessi della grande scala) ma di sicuro effetto morfologico intimamente legato alla spa-

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zialità urbana di Parigi. Questo sottosistema urbano viene ulteriormente evidenziato dalla presenza di due elementi: l’Arco delle Telecomunicazioni della Défense di Bouffi (su elaborazione di un’idea di Spreckelsen) a un’estremità di tale percorrenza e la “Piramide di Vetro” di Pei, nel cuore del Louvre, all’estremo opposto. Il significato più emblema- tico della realizzazione dell’architetto sinostatunitense sta proprio nel sapersi porre all’interno di uno spazio urbano come elemento di individuazione di un sistema compositivo unitario anche se minimo. santa maria della consolazione a todi o san Biagio a montepulciano o più su nel tempo nôtre Dame du Haut a Ronchamp si qualificano e si connotano per la loro decisa monofunzionalità: sono oggetti architettonici pregevolissimi ma di nessuna potenzialità urbana. Possono costituire dei riferimenti urbanistici ma non si integrano alla vita di un intorno edificato essendo completamente estranei a ogni idea di spazio urbano. Il loro valore intrinseco si basa sulla specificità del proprio spazio architettonico. La Piramide di Pei solo apparentemente potrebbe parere in tal senso. È sì intrecciata a complessi spazi architettonici al di sotto di essa (è la classica “punta dell’iceberg”), a loro volta esemplarmente connessi ad ambiti spaziali storicizzati, ma è pure partecipe di una complessità più ampia e articolata: quella determinata dall’intera vita di una città. L’analisi della soluzione progettuale adottata induce ben poche perples- sità, una volta noti gli elementi al contorno, i vincoli e le necessità di riferimento per la composizione dell’insieme. Semmai è lecito chiedersi e interrogarsi sull’opportunità o meno di un intervento di questo genere in un contesto del tutto particolare: il cuore della cour napoléon, spazio urbano unico nell’ambito dell’architettura occidentale. sino a che punto tale realizzazione è scaturita da esigenze oggettive del Museo del Louvre e della città di Parigi, o piuttosto è stato generato e voluto dal desiderio di vedere incrementare a ogni costo la grandeur della committenza, costituisce invece un dubbio legittimo che solo la verifica del tempo, dell’uso e della critica architettonica e urbanistica approfondite, potranno, seppure di molto a posteriori dalla realizzazione, forse completamente dissipare.

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Questioni di progettazione architettonica

L’identità tra pittura realista e architettura razionalista finalizzata alla creazione e codificazione di un’architettura “realista” è sempre stata, sin dagli anni ’50 e continua a esserlo tuttora, un punto fondamentale nella poetica di Gabriele Mucchi. Concetto estraneo alla critica ufficiale d’architettura che vede nel “neorealismo” il superamento storico del razionalismo e che non affronta compiutamente il problema del realismo. Pur non essendo facile individuare all’interno del “movimento moderno” italiano architetti “realisti” nell’accezione sopraesposta, analizzando l’opera di Luigi Cosenza si può ritenere che forse la sua architettu- ra, più di altre, sia quella che meglio risponde al postulato di mucchi. l’architettura “realista” deve essere di sicura derivazione razionalista e pur attingendo ai princìpi del neorealismo deve da questo sapersi discostare per perseguire una propria autonomia formale e sostanziale. La matrice funzionalista è in Cosenza evidente. In un saggio al catalo- go sulla sua opera in occasione della mostra antologica di Napoli della fine ’87, De Seta riporta un giudizio di Pagano sull’architetto partenopeo pubblicato su “Casabella” del ’36. “(...) È la qualità che conta: non la mole o l’enfasi. Per questo mi piace riconoscere nell’ingegner Cosenza un buon collega: un architetto vivo (...)”. Se tale affermazione sanci- sce a buon diritto l’ingresso ufficiale del ”napoletano” nel “movimento moderno”, la sua distanza dal “razionalismo italiano” è sempre leggibile. Collaborando a Casabella e a domus di quegli anni, egli sottolinea la sua presenza in seno all’architettura moderna italiana, ma non apparterrà mai in senso stretto né al gruppo milanese né a quello romano né più in generale al “razionalismo”. Persegue la propria strada autonoma di architetto moderno con “sempre davanti agli occhi”, dirà Mucchi, “la terra campana”. All’interno

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