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Alberto Manfredini
quando l’industria del lino assunse un ruolo privilegiato tra le nuove forme di attività: tessili appunto, ma anche carbonifere e metallurgiche. I più vicini centri suburbani si accrebbero poi al punto che il comprensorio individuato da Fives, Wazemmes, moulins-lille e esquermes contava, nel 1851, oltre centomila abitanti sicché nel 1858 fu annesso alla città e incluso nella nuova cinta urbana. Si impone a questo punto una riflessione d’ordine generale. L’architettura è il modo d’essere di un’epoca cioè ogni epoca ha l’architettura che merita. L’architettura ufficiale dell’Ottocento non fu solo quella del “ferro” o quella che produsse l’architettura moderna e le prime istanze urbanistiche degne di essere così definite; fu anche, e sovente lo si dimentica, l’architet- tura di una cultura ipocrita e di una classe dirigente ormai insensibile all’ambiente che la circondava. Così come fu teatro di accademici quanto sterili scontri tra le accademie stilistiche come quelle tra i neogotici-razionalisti da un lato e i neoclassici dall’altro. Fu il secolo dell’École des Ponts
et des Chaussèes a cui forse non sono ancora attribuiti tutti
i meriti avuti nel ruolo promotore dell’architettura moder- na; ma, alla resa dei conti, fu anche quello delle Écoles de
Beaux Arts. Ancora nel 1866 (e il Palazzo di Cristallo è del
1851) c’era chi si scagliava contro la cultura tecnico-scien- tifica “che avrebbe soppresso, per conseguenza (...), l’in- tero corpo degli architetti, con il doppione degli ingegneri Civili”. Ma era ancora la cultura ufficiale a essere in crisi. Erano l’architetto ufficiale e l’ingegnere civile ufficiale a scontrarsi improduttivamente. La cultura “vera” così come l’architettura “vera” ancora una volta non provenivano dalle fonti istituzionali: Paxton, solo per citarne uno, non era un architetto ufficiale. L’architettura dell’ottocento fu dunque consona a una cultura che accoppiava le epidemie, la vita malsana e la speculazione con i sogni e le vaghezze romantiche, con le teorie del libero arbitrio e del laissez- faire col mito dell’uomo libero e autosufficiente in un’età in cui la macchina e l’economia, dunque la civiltà del denaro, divenivano sempre più determinanti. in questa dialettica complessa di rapporti, in queste vicende necessariamente evidenziate tout court, si sviluppa e si articola l’ottocento architettonico in generale e quello francese in particolare. C’è il rinnovo urbano di Vauban a Lilla attuato tramite l’asse viario dell’attuale Rue Royale e ci sono pure la rivoluzione industriale e l’architettura del “ferro” cui fa da contrappunto
Questioni di progettazione architettonica
una lunga serie di condizioni oggettivamente negative come le cooktowns di Dikensiana memoria o le periferie di Londra e Parigi fissate dalle incisioni di Dorè. Dalla visione trion- falistica legata al mito del progresso e dell’industria si vede scaturire un processo di sostituzione continua nelle forme di produzione che hanno significato e significano sensibili cambiamenti di scala architettonica e profonde trasforma- zioni sociali. di qui ai castelli dell’industria dell’italia del nord il passo è breve. Il risalto della esuberante tecnologia presente e l’evidenziazione di quegli elementi rassicuranti sul piano della commerciabilità e della diffusione del pro- dotto sono tutte cose che legano e accomunano, in quanto
prodotte da una stessa matrice, un certo tipo di architettura dell’eclettismo indipendentemente dall’essere al di qua o al di là delle Alpi. Tali “castelli dell’industria” sono legati da canali, strade ferrate e tramways: tre elementi indissociati e indissociabili sia dagli opifici lombardi che da quelli della provincia di lilla. tutti elementi tesi all’evidenziazione del passaggio da una civiltà agricola a una realtà industrializzata le cui forme sono strettamente finalizzate alle esigenze produttive. tanto la ciminiera e i merli romantici della Manufacture de
velours Motte quanto le decorazioni pregne di risonanze
moresche presenti sulla torre della Filature T.B., testimonia- no un’avvenuta evoluzione dell’architettura industriale, nel senso che era anche il desiderio di autorappresentanza e di affermazione del proprio potere, a condurre all’elaborazione di segni sovrastrutturali direttamente riconducibili alle for- me del castello inteso quale luogo di potere, più di offesa che di difesa. Il significato più profondo di questa esposizione induce più a meditare sul presente in crisi dell’architettura contemporanea che non sull’eclettismo. il valore storico e perenne a un tempo di questa rassegna è proprio quello di far pensare al presente tramite la lezione storica di un territorio intriso di profonde dissonanze architettoniche e culturali. Dal razionalismo di Labrouste al purismo cubista di Lurçat e Mallet Stevens; dai Chatiments di Hugo alla Lacrymosa di Berliotz ma soprattutto dai Chateaux de l’industrie al- l’internazionale comunista.
note
* “Parametro”, n. 83, gennaio febbraio 1980, pp. 3 e ss. 1. “Abitare” n. 179, pp. 66 e ss.
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Questioni di progettazione architettonica
nel marzo ’78 gli istituti ospedalieri neuropsichiatrici “San Lazzaro” di Reggio Emilia hanno bandito un concorso nazionale di idee per l’attivazione di un museo storiografico della psichiatria nel padiglione “Lombroso” all’interno del- l’istituto psichiatrico stesso. nel momento storico odierno in cui la legge n. 833 sull’istituzione del servizio sanitario nazionale è ormai in vigore e pure nel momento in cui è operante la tanto discussa legge n. 80 che vieta in ogni caso l’edificazione di nuovi ospedali psichiatrici così pure come l’uso di quelli oggi esistenti, l’iniziativa intrapresa dall’amministrazione dell’istituto “s. lazzaro” di Reggio Emilia offre l’occasione per alcune riflessioni sui problemi socio-sanitari connessi con l’applicazione della legge n. 80. tale disposto legislativo impone l’eliminazione completa dell’assistenza psichiatrica da parte dei vecchi manicomi. Ma è evidente che i centri di igiene mentale (CIM) non possono da soli sopportare in senso programmatore e or- ganizzativo dei compiti che vanno ben al di là, se non delle proprie competenze, almeno della loro stessa organizzazio- ne. Così come si deve convenire che l’assistenza psichia- trica non può essere demandata solo ed esclusivamente ai presìdi di unità sanitaria locale (ULSSS) o di distretto di base, bensì a strutture specifiche. Si è proprio certi che tutti gli edifici degli ex istituti psichiatrici italiani non possano più avere alcun contenuto sanitario o di sicurezza sociale, a fronte delle nuove ipotesi di prevenzione, di diffusione del servizio sanitario sul territorio e di riabilitazione del malato mentale? Come inserire nel recupero del patrimonio edilizio esistente quello dei tanti ex ospedali psichiatrici del nostro paese? Qualche riferimento ad alcuni dei tanti vet- tori di malattia mentale appare indispensabile. La malattia mentale può accrescersi anche perché una città può essere