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Efficienza, efficacia, economicità dell’azione pubblica.

PARTE SECONDA

7. Efficienza, efficacia, economicità dell’azione pubblica.

A partire dagli anni novanta si è avviato un imponente processo di riforma della pubblica amministrazione con lo scopo di accrescerne la funzionalità, razionalizzarne l’organizzazione, incrementarne la competitività

Gli interventi di politica economica e sociale tesi ad aumentare la capacità produttiva del sistema economico ed il livello di soddisfacimento dei bisogni della collettività adottati dai vari sistemi governativi includono misure che, pur non potendosi tecnicamente definire di politica economica e sociale, giocano un ruolo determinante nel processo di crescita, tra esse quelle che investono il comportamento degli apparati amministrativi pubblici, la cui azione è frenata dalla vischiosità delle procedure e dalla inefficienza dell’organizzazione.

La realizzazione dei prescritti obiettivi richiede, invece, che le amministrazioni, nei loro rapporti con il sistema produttivo, adottino procedure snelle e rapide, regole chiare e trasparenti, infrastrutture e servizi efficienti, e, nei rapporti con il cittadino - non più amministrato ma cliente dei servizi pubblici - siano in grado di offrire servizi efficienti e qualificati.

Il miglioramento e l’adeguamento dei servizi della pubblica amministrazione assume così la qualità di importante strumento di politica economica..

Tra le finalità del processo riformatore, come detto, v’è quella di aumentare l’efficienza della pubblica amministrazione. L’efficienza non si identifica con la produttività, che è una capacità che dipende dalla efficienza. Differisce anche dal rendimento, che si riferisce ai singoli momenti del processo produttivo. Si distingue dall’economicità, che è la capacità di produrre il massimo risultato al minor costo. L’efficienza racchiude tutti questi elementi. Essa si definisce come il rapporto tra tutti i fattori e le risorse produttive impiegate ed i risultati ottenuti.

L’evoluzione delle forme di intervento pubblico ha imposto l’introduzione della verifica dei risultati dell’attività amministrativa, incidendo sul tradizionale sistema di controllo sugli atti della pubblica amministrazione. I controlli investono sia il razionale ed economico impiego delle risorse che il livello di soddisfazione dei cittadini destinatari dei servizi, e sono finalizzati, oltre

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che a indicare il livello di efficienza raggiunto, a produrre informazioni utili a determinare l’adozione di idonee modifiche gestionali.384

In base alla concezione di Vilfredo Pareto una realtà efficiente è quella in cui non è possibile migliorare contemporaneamente la situazione di tutti i consociati, in altri termini quando non è possibile migliorare la situazione di qualcuno senza far peggiorare quella di altri. Si tratta di una nozione non iniqua dell’efficienza.385 La razionalità pubblica guida le decisioni collettive verso l’efficace raggiungimento di obiettivi di bene pubblico. Essa nasce nel periodo illuminista in uno con l’esigenza che le decisioni di interesse pubblico non siano soggette ad arbitrio ma siano collegate ad obiettivi trasparenti e controllabili dalla collettività. 386 Il criterio paretiano giudica efficiente, pertanto, quell’allocazione di risorse che permette il massimo soddisfacimento dei bisogni. Sono, invece, inefficienti le situazioni in cui non tutte le risorse sono sfruttate al meglio, ed è possibile che qualcuno possa migliorare la propria posizione senza detrimento per altri. In tal caso, infatti, le risorse disponibili del sistema sono sottoutilizzate (esempio classico: se un mezzo di trasporto viaggia con alcuni posti vuoti, la salita di altri passeggeri determina vantaggi senza corrispondenti pregiudizi, poiché non richiede l’impiego di nuove risorse ma il miglior uso delle risorse già disponibili) L’inefficienza si verifica, pertanto, quando si può accrescere il vantaggio senza costi aggiuntivi, situazione che è indice di un uso non ottimale delle risorse.

Si tratta di un criterio esente da implicazioni etiche, in quanto scarta come inefficiente soltanto ciò che è fonte di spreco, senza entrare nel merito della divisione dei vantaggi.

L’efficienza paretiana è configurabile solo in un mercato in concorrenza perfetta, in cui il livello dei prezzi è fissato a seguito dell’incontro tra venditori e acquirenti, nessuno dei quali può singolarmente influire in modo determinante su di esso. Ciascun operatore economico persegue i propri fini personali, ma il prezzo, come “una mano invisibile” regola il mercato e l’allocazione delle risorse. 387

Un altro modo di individuare le soluzioni efficienti, specie in ambito pubblico, si basa sul criterio di compensazione, originatosi dalle teorie di Hicks e Kaldor. Esso si fonda sull’analisi costi- benefici, espressi in termini monetari, e considera efficienti le soluzioni che massimizzano i vantaggi al netto dei costi. Le scelte, pertanto, sono efficienti se la somma dei benefici supera la somma dei costi.

384

M.V. Lupò Avagliano, L’efficienza della pubblica amministrazione. Misure e parametri, cit.,

9-20.

385

L.A. Franzoni, Introduzione all’economia del diritto, cit., 14.

386

L.A. Franzoni, Introduzione all’economia del diritto, cit. 19.

387

A differenza del criterio paretiano, neutrale rispetto agli obiettivi distributivi, questo criterio è influenzato dal c.d. effetto di reddito, che, legandosi alla situazione economica di partenza degli operatori, incide sulla compensazione poichè favorisce coloro che, disponendo di maggiori somme di denaro, possono acquisire maggiori utilità. Questo criterio di efficienza, pertanto, in un sistema di diseguale distribuzione del reddito, accentua l’iniquità della distribuzione di risorse, con conseguenze pericolose quando dal mercato si passa al campo delle decisioni pubbliche. Si osserva che, poiché attraverso la modulazione dell’imposizione fiscale si incide sulla distribuzione del redditi, in fin dei conti è l’autorità pubblica a decidere i redditi elevati e, di conseguenza, la distribuzione delle risorse del sistema. 388

L’equità negli scambi coincide con il tradizionale equilibrio sinallagmatico, che si ha quando il valore di mercato dei beni ceduti è uguale a quello dei beni ricevuti..

L’equità investe le misure adottate per sanare il conflitto tra interessi divergenti, risolto dalla scienza economica attraverso una funzione di benessere sociale, che attribuisce i vantaggi maggiori a coloro che sono in grado di trarne maggiore utilità. Quando l’utilità marginale del reddito è decrescente il criterio utilitarista offre soluzioni egualitarie poiché, attribuendo i vantaggi a coloro che ne necessitano maggiormente, fa aumentare il benessere sociale. La funzione di benessere sociale utilitarista è quella che assegna pesi diversi alle utilità individuali, attribuendo maggiore importanza agli individui con utilità più bassa. 389

Ulteriori criteri di valutazione dell’efficienza delle scelte pubbliche sono il consequenzialismo e il welfarismo. Il primo prevede che esse siano giudicate soltanto in base alle loro conseguenze anziché alle procedure seguite per arrivarvi. Il secondo attribuisce maggior peso ai loro effetti sul benessere degli individui, in termini di soddisfacimento dei loro bisogni. I beni sono strumenti per ottenere delle utilità piuttosto che per la realizzazione di libertà. L’efficienza in termini consequenzialisti e welfaristi, a differenza della neutrale efficienza paretiana, si pone in contrasto con l’equità. 390

Secondo l’impostazione di Marshall, qualunque cambiamento, normativo o economico, introduce benefici a favore di qualcuno e svantaggi a carico di altri. Se il valore dei miglioramenti supera l’ammontare di quanto sarebbero disposti a pagare coloro che subiscono i pregiudizi può affermarsi che si è prodotto un miglioramento economico, in quanto, in sede di comparazione costi-benefici, il valore dei vantaggi supera quello dei danni. In tali termini si misura l’efficienza delle scelte, che ricorre allorché il beneficio è attribuito a colui che gli conferisce maggior valore massimizzandone l’utilità. La principale critica a questo modo di intendere l’efficienza consegue

388

L.A. Franzoni, Introduzione all’economia del diritto, cit. 30, 31.

389

L.A. Franzoni, Introduzione all’economia del diritto, cit. 32, 33.

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alla espressione della misura dei benefici e dei danni in termini monetari, senza tener conto che il valore della stessa quantità di moneta differisce in base alle condizioni economiche dei soggetti considerati. Questa nozione di efficienza non attiene alle problematiche sulla distribuzione dei redditi. Altra obiezione si lega al fatto che l’efficienza delle scelte è valutata soltanto in base a criteri consequenziali, cioè in relazione agli effetti senza considerazione alcuna per altri principi, come quello di giustizia. Ulteriore critica consegue alla valutazione di tali effetti in base alle convinzioni personali dei soggetti interessati, di tal che essi assumono un valore relativo. 391

L’efficacia è il grado di raggiungimento degli obiettivi, cioè il rapporto tra risultati e obiettivi. L’efficienza è il rapporto tra le unità di risorse impiegata e le unità di prodotto ottenuto.

Essa rappresenta il livello di produttività o di rendimento delle risorse, o, in altri termini, l’ammontare di risorse per una determinata quantità di risultato (efficienza in senso stretto). Tale rapporto può essere espresso in quantità fisiche o in valori monetari. Il concetto di efficienza assume particolare importanza in riferimento all’impiego del capitale monetario.

In relazione a ciò, va chiarito che l’efficienza non coincide con la riduzione dei costi ma implica una razionale relazione tra due quantità, quella della produzione ottenuta e quella del capitale impiegato. Indiscriminati tagli alla spesa pubblica, pertanto, non costituiscono valide soluzioni al problema dell’inefficienza, che può essere accertato e valutato soltanto in base al rapporto tra risorse e quantità e qualità di output prodotti. La decisione di ridurre le risorse disponibili deve, pertanto, accompagnarsi alla revisione della quantità e qualità degli output attesi. 392 L’economicità attiene, invece, alla sola dimensione economica, essa investe i vari aspetti della gestione e rappresenta la dimensione economica dell’efficacia e dell’efficienza. E’ valutabile in termini di confronto tra grandezze, in particolare tra risultati e obiettivi, tra costi e ricavi in una prospettiva di lungo periodo, tra input ed output. Il primo punto ha ad oggetto la misurazione dei risultati. Il secondo aspetto investe l’equilibrio economico – reddituale, o autosufficienza economica, condizione indispensabile alla sopravvivenza di una organizzazione. Esso richiede che i costi di gestione siano ripianati mediante ricavi, senza necessità di ricorrere al prelievo fiscale e/o all’indebitamento a carico delle generazioni future. Il terzo aspetto dell’economicità implica il razionale impiego e la massimizzazione delle risorse scarse, e si identifica con la produttività o rendimento dei fattori.

L’equilibrio tra costi e ricavi è condizione necessaria ma non sufficiente di economicità, in quanto gli scambi di mercato generano entrate e uscite temporalmente sfalsate, in cui i flussi monetari in

391

D.D. Friedman, L’ordine del diritto, perché l’analisi economica può servire al diritto, Il

Mulino 2004, 45-58.

392

A Pavan, E. Reginato, Programmazione e controllo nello Stato e nelle altre amministrazioni

uscita precedono quelli in entrata. Altra condizione di economicità è, pertanto, l’equilibrio patrimoniale, vale a dire la preventiva copertura del fabbisogno finanziario, generalmente garantita mediante l’attribuzione di specifiche risorse finanziarie precostituite. Ulteriore requisito di economicità è l’equilibrio nella gestione monetaria, cioè la corrispondenza tra le continue entrate ed uscite di moneta, alle quali si lega la liquidità disponibile. Tutte queste condizioni di economicità sono strettamente legate e interdipendenti le une dalle altre, in quanto operano in relazione a ciascun aspetto della gestione. 393

Le misure tese all’aumento dell’efficacia dell’azione pubblica investono il livello della domanda, i tempi di attesa per l’accesso ai servizi, il grado di soddisfazione degli utenti.

Le misure di efficienza hanno, invece, ad oggetto il rendimento e i costi dei servizi.

L’economicità investe il risultato economico di lungo periodo, valutato non in considerazione del solo dato economico di sintesi (avanzo, disavanzo, pareggio) ma in relazione ad un determinato sistema di valori, come la qualità e la quantità di bisogni soddisfatti in rapporto al sacrificio sostenuto dalla collettività. 394 Essa è definibile come “efficienza economica”, ed il suo contenuto si differenzia in relazione ai diversi soggetti economici. Per l’impresa coincide con la massimizzazione del valore di scambio nel lungo periodo, per la pubblica amministrazione con la massimizzazione dell’utilità sociale della sua azione e con il consenso sociale ottenuto mediante essa, per gli enti no profit con la massimizzazione dei servizi erogati, per le famiglie con la massimizzazione dei bisogni soddisfatti.

Secondo la teoria economico aziendale, per ogni organismo, pubblico o privato, l’efficienza rappresenta la migliore possibile combinazione economica delle risorse in una certa condizione. Riguardo alla pubblica amministrazione si distingue: l’economicità della gestione, cioè la capacità di soddisfare i bisogni pubblici nel lungo periodo imponendo alla collettività un sacrificio economico accettabile; l’ efficacia dell’azione, vale a dire la coerenza tra qualità e quantità dei bisogni soddisfatti, che costituisce il risultato finale dell’azione; l’efficienza nell’impiego delle risorse, che rappresenta il rapporto tra quantità e qualità delle risorse impiegate e quantità e qualità delle prestazioni e servizi prodotti. 395

393

A Pavan, E. Reginato, Programmazione e controllo nello Stato e nelle altre amministrazioni

pubbliche, cit. 78-86.

394

A Pavan, E. Reginato, Programmazione e controllo nello Stato e nelle altre amministrazioni

pubbliche, cit. 91,92.

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