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PARTE SECONDA

1. Il principio di separazione

Il tema della separazione o distinzione tra politica e amministrazione e del rapporto tra gli organi appartenenti alle due sfere si impone con il tramonto dello stato autoritario e il conseguente sviluppo di una articolata organizzazione amministrativa preposta alla cura degli interessi della collettività, ai membri della quale si riconosce la titolarità di corrispondenti diritti a determinate prestazioni pubbliche. Al soddisfacimento di tali bisogni riconosciuti meritevoli di cura pubblica è preposto un corpo di funzionari, i quali, al fine di garantire il corretto assolvimento dei loro compiti e, pertanto, la puntuale tutela degli interessi pubblici, devono essere tenuti esenti da qualsivoglia forma di influenza.

Il principio di separazione tra politica e amministrazione si affaccia già nel IXX secolo ed è presente nel pensiero di Weber. Nell’Ordinamento italiano, tuttavia, esso è recepito soltanto in tempi molto recenti. Come abbiamo già accennato, l’organizzazione amministrativa del Regno d’Italia, disegnata in gran parte dalla legge Cavour, unificava nella figura ministeriale il ruolo di responsabilità politica e la funzione di capo dell’amministrazione burocratica nella quale si strutturava ciascun dicastero. Gli uffici ministeriali erano organizzati in un sistema rigidamente gerarchico di sottoposizione al ministro, sistema che non fu oggetto di modifica alcuna nemmeno a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana. Dopo più di un secolo, il T.U. impiegati civili dello Stato del 1957 introdusse una prima riforma di portata assai blanda e marginale.

L’organizzazione amministrativa comincia ad essere interessata da interventi normativi di sostanziale riforma a partire dal D.P.R. 748/1972, che istituisce la dirigenza statale, attribuendo ai funzionari inquadrati nelle relative qualifiche autonomi compiti che includono l’esercizio di poteri discrezionali, mentre riserva al ministro generali e residuali competenze di amministrazione attiva, ampi poteri di intervento, nonché la funzione di indirizzo, da esercitarsi attraverso l’emanazione di direttive generali e l’adozione di programmi che vincolano i poteri di amministrazione concreta attribuita ai dirigenti. Il rispetto degli atti ministeriali di indirizzo e programmazione si lega alla previsione di una specifica forma di responsabilità a carico dei dirigenti.

Questa normativa rappresentava un primo serio tentativo di introdurre nel nostro ordinamento positivo il principio di separazione tra politica e amministrazione. Il primo passo di un lungo

cammino. Il D.P.R. citato, infatti, manteneva in capo al ministro importanti occasioni di ingerenza nell’amministrazione sotto forma di residui poteri gestionali nonché di facoltà di intervento e sostituzione nei confronti dei dirigenti, poteri che si esprimevano concretamente negli istituti dell’annullamento d’ufficio, della revoca, della riforma o modifica di atti dirigenziali, dell’ avocazione o preventiva riserva a sé di singoli affari, in relazione a fattispecie predeterminate. Inoltre, l’introduzione di tale principio non fu accompagnato dalla revisione delle tradizionali strutture organizzative di tipo scalare proprie del sistema gerarchico, la cui modifica doveva rendersi invece indispensabile in conseguenza del nuovo sistema di competenze.

L’ effettiva operatività del principio posto alla base della riforma fu altresì paralizzata da ragioni di ordine pratico. Era carente, infatti, nella mentalità della classe burocratica la propensione ad assumersi responsabilità dirette derivanti dall’adozione di atti discrezionali di immediato rilievo esterno. Elemento questo, determinato anche dal fatto che la normativa consentiva l’accesso alle qualifiche dirigenziali anche a funzionari non dotati di adeguata cultura e formazione, anziché favorire l’ingresso di nuovo personale con maggiore preparazione. Specularmente, anche gli organi politici non favorirono l’efficacia delle nuove norme, omettendo il più delle volte di adottare i necessari atti di indirizzo in base ai quali doveva modellarsi la concreta attività di gestione, che veniva così di fatto ad essere paralizzata.405

Il principio di separazione tra politica e amministrazione, pertanto, fino alle riforme degli anni novanta fu quasi del tutto disapplicato. Gli organi del potere politico esercitavano intensi poteri di gestione amministrativa, così come i vertici burocratici interferivano in varie modalità nelle attività di indirizzo politico.406 Carattere allarmante, in particolare, aveva assunto nel nostro Paese la degenerazione del sistema politico, fenomeno che faceva si che i partiti al potere si “impadronissero” di fatto degli apparati amministrativi, nominando ai loro vertici personale fiduciario, ripartendosi le sfere di influenza (c.d. lottizzazione), gestendo la spesa pubblica a proprio piacimento. L’adozione da parte dell’ordinamento di strumenti idonei a contrastare tali fenomeni avvenne dopo che essi erano sfociati in gravi episodi di corruzione messi a nudo da indagini giudiziarie (ad es. tangentopoli).407

Un contributo all’affermazione di un nuovo rapporto di distinzione tra i ruoli politici e quelli amministrativi fu dato anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 453 del 1990, in cui venne ritenuta contrastante con il principio di imparzialità la predominante presenza nelle commissioni di concorso di rappresentanti politici e sindacali anziché di soggetti esperti delle

405

P. Colombo, L’intervento del ministro sugli atti di gestione, Maggioli, 2004,72-77.

406

B. Guy Peters, La Pubblica Amministrazione,cit. 239 240 241.

407

M. S. Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, seconda edizione a cura di Mirabelli- Centurione, cit., 83.

materie oggetto delle prove di esame, al fine di garantire il carattere esclusivamente tecnico del giudizio.

Negli stessi anni il legislatore fece propri tali principi introducendo un nuovo modo di amministrare basato sulla distinzione tra l’elemento politico e l’elemento tecnico; mediante l’attribuzione ai dirigenti di autonomi poteri di gestione viene consacrata la fine del modello gerarchico e la nascita del rapporto di direzione.408

Il rapporto di direzione presenta, rispetto a quello gerarchico, una minore intensità dell’influenza dell’organo sovraordinato nei confronti dell’attività di quello subordinato; al potere del primo di impartire ordini si sostituisce la capacità di emanare indirizzi e direttive, cui l’organo destinatario può uniformarsi con un certo margine di discrezionalità valutativa, potendo anche motivatamente disattendere tali atti. La differenza si riflette anche sui controlli, che nel rapporto gerarchico investono il puntuale adempimento mentre nel rapporto di direzione hanno ad oggetto il risultato complessivo. Caratteristica della direzione, inoltre, è l’assenza di poteri di revoca, riforma, avocazione e di decisione dei ricorsi gerarchici, attribuzioni proprie all’organo gerarchicamente sovraordinato 409

Le riforme hanno attribuito agli apparati amministrativi “attitudini decisionali”, in quanto le potestà di decisione sono state trasferite dagli amministratori, cioè dai titolari degli uffici di comando delle organizzazioni pubbliche, agli uffici di vertice degli apparati, secondo un fenomeno che viene definito “autonomizzazione delle burocrazie”.410

Il principio di separazione tra politica e amministrazione costituisce uno strumento per l’attuazione dei principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione posti dall’articolo 97 della Costituzione, e perseguiti, sempre secondo il disposto della norma costituzionale, mediante la sottoposizione dell’organizzazione degli uffici pubblici a disposizioni di legge e la predeterminazione nell’ordinamento degli uffici delle sfere di competenza, delle attribuzioni e delle responsabilità proprie dei funzionari. Il principio di responsabilità di funzionari pubblici è previsto anche dall’articolo 28.

Attraverso la predeterminazione normativa delle competenze di funzionari pubblici assunti per concorso si esclude che la pubblica amministrazione venga controllata da soggetti che assommano funzioni politiche e competenze amministrative.411

408

L. Rinaldi, Autonomia, poteri e responsabilità del dirigente pubblico:un confronto con il

manager privato, cit., 25,26,36,37.

409

C. D’Orta, Politica e amministrazione, la dirigenza pubblica, Cedam Padova 1994, 27, 28.

410

M. S. Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, seconda edizione a cura di Mirabelli- Centurione, cit.84.

411

Sulla crisi dell’accentramento gerarchico, v. G. Marongiu, L’attività direttiva nella teoria

Il principio di responsabilità dei funzionari può operare solo allorché sia a costoro imputabile una sfera predeterminata di attribuzioni ad essi riservate, il che costituisce condicio sine qua non di buon esercizio della funzione amministrativa. 412

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