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Funzioni amministrative strumentali alla giurisdizione e incarichi extragiudiziar

Gli organi giudiziari possono distinguersi a seconda che esercitino solo funzioni giurisdizionali, o anche funzioni di amministrazione della giurisdizione, cioè attività amministrative strumentali alla giurisdizione. La separazione tra le due sfere di attività assume rilievo nell’ambito delle regole di formazione degli organi giudiziari; mentre l’esercizio delle funzioni giurisdizionali è soggetto alle regole costituzionali, l’esercizio di funzioni amministrative ricade sotto i comuni principi dell’organizzazione amministrativa, tra cui quello gerarchico.107 Questa distinzione non opera nell’ambito dell’ufficio del pubblico ministero, nei quali, l’organizzazione gerarchica non investe solo l’esercizio delle funzioni amministrative, ma, entro certi limiti, anche di quelle requirenti vere e proprie.

A differenza che nell’organizzazione amministrativa, formata da un complesso di uffici cui fanno capo altrettante funzioni spettanti ai loro titolari in quanto organi a competenza esterna, gli uffici giudiziari, nei quali i magistrati sono inquadrati da un punto di vista amministrativo, si distinguono dagli organi giudiziari, titolari dell’esercizio delle funzioni giurisdizionali; non vi è in tal caso corrispondenza tra ufficio e organo.

Le attività dirette a costituire gli organi giudiziari e a metterli in condizioni di funzionare costituiscono funzioni amministrative strumentali all’esercizio della giurisdizione spettanti al Consiglio superiore della magistratura e agli organi di amministrazione della giurisdizione da esso dipendenti, compresi i capi degli uffici giudiziari. 108 Il principio di separazione dei poteri

dovrebbe impedire l’attribuzione di compiti amministrativi ad organi del potere giurisdizionale, mentre i capi degli uffici risultano titolari di un complesso di funzioni amministrative attinenti all’organizzazione e alla distribuzione del lavoro. Al riguardo deve osservarsi che l’articolo 110 Costituzione assegna al Ministro della giustizia (solo) il compito di assicurare i servizi relativi alla giustizia; si tratta dell’unico esempio di norma costituzionale che attribuisce direttamente specifiche e limitate competenze al capo di uno dei rami dell’amministrazione statale (agli altri ministri fa capo, invece, tutto il complesso di attribuzioni afferenti agli affari affidati alla cura dei rispettivi dicasteri).

compromesso tra le varie correnti; sono state espunte, infatti, le previsioni della legge Castelli volte a condizionare l’attribuzione degli incarichi ad un giudizio a contenuto tecnico- professionale, nella formulazione del quale la Scuola di magistratura assumeva un rilievo non indifferente.

107

A. Pizzorusso, L’organizzazione della giustizia in Italia, cit., 95.

108

Dal disposto di tale articolo e dalle altre norme costituzionali sulla giurisdizione si evince che tutti gli altri compiti inerenti l’amministrazione della giustizia non appartengono all’Esecutivo ma all’ordine giudiziario, in particolare al Consiglio Superiore della Magistratura, che li esercita attraverso i magistrati capi degli uffici giudiziari. 109

L’autonomia della magistratura, infatti, non si esplica attraverso l’esercizio di poteri di normazione, come per altri soggetti, ad esempio gli enti autonomi territoriali, ma attraverso la sottrazione agli altri poteri, in particolar modo all’Esecutivo, del “governo” della magistratura, ragione per la quale le limitate attribuzioni del Ministro della Giustizia nei confronti della magistratura hanno natura residuale.110

Il concreto riparto tra Ministro e Consiglio Superiore della Magistratura delle competenze relative all’amministrazione della giustizia in base ai principi posti dall’articolo 110, può far sorgere un conflitto tra poteri dello Stato per la salvaguardia delle rispettive attribuzioni.111

Costituiva oggetto di critica il tradizionale sistema di promozione ad incarichi direttivi degli uffici giudiziari, conferiti a tempo indeterminato ed in base a criteri prevalentemente “gerontocratici”.112 Veniva lamentato altresì che il Consiglio non responsabilizzava adeguatamente i capi degli uffici in ordine ai loro doveri di coordinamento e sorveglianza del lavoro giudiziario; come già detto, infatti, il sistema elettivo del Consiglio Superiore della Magistratura, caratterizzato dal determinante apporto delle preferenze espresse dalla base della magistratura, era in grado di influenzare anche il conferimento dei posti direttivi, con l’ulteriore effetto di “dissuadere” i capi degli uffici dall’esercizio di più incisivi poteri di sorveglianza e controllo sui magistrati dipendenti. 113

Da tempo veniva auspicato, pertanto, che l’anzianità di servizio divenisse da principale criterio di conferimento degli incarichi direttivi a “prerequisito” della vera e propria valutazione dei magistrati, giudizio da effettuarsi unicamente in base alle attitudini e ad un progetto di direzione di ufficio. Si suggeriva la temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi, e la previsione di una procedura finalizzata a verificare la reale capacità del magistrato di dirigere l’ufficio assegnatogli, con la possibilità di revocarlo dall’incarico (come avviene per i dirigenti pubblici).

109

G. Di Federico, L’indipendenza della magistratura in Italia: una valutazione critica in

chiave comparata, cit.

110

L. Paladin, Diritto costituzionale, Cedam 1998, 497.

111

L. Arcidiacono A. Carullo G. Rizza, Istituzioni di diritto pubblico, Monduzzi editore 1993,

427.

112

V. sul punto anche L. Berlinguer, I tempi della giustizia, una priorità assoluta, Democrazia e

diritto 2/2005.

113

G. Di Federico, L’indipendenza della magistratura in Italia: una valutazione critica in

Si tratta di considerazioni in base alle quali la garanzia di inamovibilità opererebbe soltanto in relazione alle attività giurisdizionali pure, senza estendersi alle funzioni direttive (come si dirà in seguito a proposito dell’indipendenza). 114

La riforma Mastella ha introdotto il principio di temporaneità delle funzioni, sia di quelle rivestite in seno alle tabelle o ai gruppi di lavoro che di quelle direttive e semidirettive, nel primo caso la durata dovrà essere in concreto determinata dal Consiglio Superiore della Magistratura entro i limiti di otto e quindici anni; per quanto riguarda gli incarichi direttivi e semidirettivi, l’articolo 45 d.lgs 5 aprile 2006 n. 160 come sostituito dall’articolo 2 comma IX legge 30 luglio 2007 n. 111 dispone che siano conferiti per quattro anni al termine dei quali il magistrato può essere confermato per un altro quadriennio a seguito di positiva valutazione dell’attività svolta. Il Consiglio di Stato con sentenza 1762/2009 ha respinto le prospettazioni aventi ad oggetto l’incostituzionalità della predetta disciplina,115 affermando che, in base al principio posto dall’articolo 107 Costituzione a tenor del quale i magistrati si distinguono fra loro solo per diversità di funzioni, il conferimento dell’incarico direttivo non costituisce l’apice di un cursus honorum; il sopra richiamato principio, infatti, esclude dalle norme sull’assetto della magistratura la previsione di una vera e propria carriera e di una gerarchia giudiziaria. La normativa contestata, pertanto, troverebbe, legittimazione in tale principio costituzionale. La temporaneità degli incarichi direttivi manifesta, infatti, la volontà del legislatore di considerare l’incarico non come un privilegio connesso ad una particolare posizione del magistrato, ma come munus, ancorché attribuito a seguito di una positiva valutazione della carriera. Sono stati respinti altresì i rilievi di incostituzionalità della disciplina in esame in relazione al principio di inamovibilità ex articolo 7 Costituzione, il quale, essendo posto a presidio dell’autonomia ed indipendenza del singolo magistrato, non è contraddetto da una normativa generale che dispone lo spostamento dei magistrati in presenza di presupposti predeterminati; la cessazione degli incarichi direttivi per scadenza del termine ed il conseguente spostamento ad altro incarico, infatti, scaturiscono da circostanze indiscriminate e indifferenziate, alle quali sono ovviamente del tutto estranee le situazioni soggettive dei singoli magistrati interessati da tali provvedimenti.

La disciplina in esame è stata anzi ritenuta conforme al perseguimento di valori costituzionali di altrettanto o di superiore rilievo, tra cui specialmente il principio di buon andamento della

114

N. Rossi, Il nucleo professionale di un nuovo ordinamento giudiziario: valutazione e

selezione dei magistrati, direzione degli uffici, cit.

115

pubblica amministrazione ex articolo 97,116 ma soprattutto risulta idonea a realizzare più compiutamente i valori di indipendenza e autonomia dei magistrati ex articolo 104. Il profilo della indipendenza interna, in particolare, risulta maggiormente garantito da una disciplina che impedisce il consolidamento all’interno degli uffici giudiziari di situazioni personalistiche di preminenza che vanno a detrimento del principio di pari ordinazione dei magistrati.

Gli incarichi direttivi possono avere durata quadriennale rinnovabile a seguito di ulteriore procedura concorsuale, essi vengono conferiti a seguito della valutazione delle capacità specifiche, desunte in base a pregresse esperienze di direzione, organizzazione e collaborazione e con riguardo ai risultati conseguiti, corsi di formazione in materia organizzativa e gestionale, ecc. E’ previsto che ogni due anni il Consiglio Superiore della Magistratura debba svolgere il controllo di gestione sull’attività dei magistrati titolari di incarichi direttivi, al fine di valutare l’efficacia e l’efficienza organizzativa. 117

Problemi maggiori, sotto il profilo del rispetto del principio di indipendenza, presenta il fenomeno dell’attribuzione ai magistrati di funzioni amministrative non collegate direttamente all’esercizio della giurisdizione, come quelle svolte in seno agli uffici ministeriali, all’interno dei quali tale personale è incardinato burocraticamente in posizione di dipendenza dagli organi del vertice politico-amministrativo. 118 A parere di chi scrive, preoccupazioni di tal genere sono frutto

di una visione autoreferenziale dell’indipendenza, che, invece, essendo diretta a garantire il cittadino destinatario della funzione, deve ritenersi operante solo nelle attività strettamente legate all’esercizio di questa, e non estendersi ad altre attività che i magistrati siano chiamati a svolgere, funzioni di altra natura per le quali essi sono opportunamente collocati fuori ruolo. A tutto ciò si aggiunga che la denunciata inefficienza della giustizia non dovrebbe consentire la sottrazione di risorse costituite da personale di magistratura e il loro impiego in altre funzioni di competenza di professionalità amministrative.

I magistrati che svolgono incarichi extragiudiziari, sia presso il Ministero della Giustizia che presso altre strutture facenti capo al potere esecutivo o al potere legislativo, rimangono soggetti, dal punto di vista disciplinare e della progressione in carriera, esclusivamente all’autorità del Consiglio Superiore della Magistratura, 119 che continua a garantire loro le promozioni “per meriti

giudiziari”, riammettendoli automaticamente nelle funzioni al termine dell’incarico. I magistrati,

116

L’attuazione del buon andamento di un ufficio giudiziario non deve ovviamente dipendere

dal singolo magistrato dirigente, per quanto capace e meritevole, anzi la rotazione degli incarichi direttivi permette una maggiore diffusione delle competenze.

117

ANM - Osservazioni su DDL riforma dell’ordinamento giudiziario, cit.

118

Guastini, Pizzorusso, Commentario alla Costituzione, cit.

119

G. Di Federico, L’indipendenza della magistratura in Italia: una valutazione critica in

pertanto, sono molto invogliati a ricoprire uffici di tal genere, che, oltre ad essere generalmente molto remunerativi, non compromettono la carriera giudiziaria. Si osserva, come già detto, che tale fenomeno presenta dubbia compatibilità sia con il principio di indipendenza che con quello di divisione dei poteri.

Tra gli incarichi a tempo pieno, per i quali si ha collocamento “fuori ruolo”, si distinguono quelli che vedono il magistrato direttamente impegnato in attività politiche, ad esempio nelle vesti di parlamentare, di membro del Governo, di Sindaco, di Presidente di Regione, ecc. e quelli che lo pongono alle dirette dipendenze dell’Esecutivo, come capo di gabinetto o di dipartimento, direttore di uffici ministeriali, consulente, ecc.

Vi sono anche incarichi a tempo parziale, come quelli di consulenza, insegnamento, studio, ecc., attività potenzialmente idonee a determinare commistione tra magistratura e politica.

Prima dell’entrata in vigore del D. lgs 30 luglio 1999 n. 300 e dei decreti ministeriali n. 55 del 2001 e n. 230 del 2001 tutte le posizioni direttive del Ministero della Giustizia dovevano essere assegnate a magistrati di carriera, oggi tali incarichi possono attribuirsi anche a personale esterno alla magistratura, tuttavia molti di essi continuano ad essere assegnati ai magistrati anche in quei casi in cui dovrebbero essere richieste competenze tecnico-specialistiche (ad esempio nei settori dell’edilizia giudiziaria e penitenziaria, delle innovazioni tecnologiche, dell’informatica ecc). Il Ministro della giustizia, pertanto, esercita le sue funzioni attraverso i magistrati addetti agli uffici dirigenziali del ministero da lui diretto, anche per quanto riguarda l’accertamento delle condizioni di funzionalità degli uffici giudiziari al fine di valutare l’opportunità di iniziative disciplinari. La gran parte delle decisioni gestionali relative al sistema giustizia si concentra così nelle mani dell’ordine giudiziario, malgrado esso in genere sia privo di formazione e cultura manageriale. Tali attribuzioni vengono strenuamente difese dalla magistratura in nome del principio di indipendenza, che determina sfavore verso ogni ipotesi di modernizzazione dell’apparato giudiziario che includa tra le misure dirette ad aumentarne l’efficienza, il trasferimento anche solo parziale di tali competenze a personale non giudiziario in possesso di adeguata professionalità gestionale.

La Costituzione italiana, come sappiamo, assegna al Ministro della Giustizia i compiti relativi all’organizzazione e al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia ed il potere di iniziare l’azione disciplinare nei confronti dei magistrati. Il Ministro, pertanto, è competente al bilancio del sistema giustizia e al reclutamento di tutto il personale non togato, il quale una volta assunto è posto alle dipendenze gerarchiche del capo dell’ufficio giudiziario. 120

120

G. Di Federico, L’indipendenza della magistratura in Italia: una valutazione critica in

La distinzione tra la gestione dei magistrati e quella dei servizi relativi alla giustizia, affidata l’una al Consiglio e l’altra al Ministro può far si che l’esercizio della giurisdizione debba sottostare alle scelte organizzative operate dall’autorità amministrativa (parimenti a quanto avviene in alcune strutture sanitarie con riflessi negativi sulla qualità delle relative prestazioni), competente all’assegnazione della disponibilità di risorse personali e strumentali serventi all’esercizio di attività giurisdizionale.

Tali considerazioni hanno determinano lo sfavore verso la riforma del Ministero della Giustizia di cui al d.lgs 240/2006, che, in attuazione della delega di cui alla legge 150/2005, attribuisce ai dirigenti amministrativi degli uffici giudiziari importanti poteri di gestione del personale e delle altre risorse, coinvolgendoli anche nella programmazione delle linee generali dell’ attività di gestione.

La citata normativa introduce altresì in ordine a tale attività di programmazione,un potere sostitutivo in capo al ministro, che risulta inspiegabile alla luce del sistema costituzionale delle attribuzioni.

Le stesse perplessità sortisce la figura del direttore tecnico, istituito con funzioni di gestione e controllo delle risorse umane, finanziarie e strumentali destinate ai servizi tecnico -amministrativi degli uffici giudiziari del distretto, e di razionalizzazione ed organizzazione del loro utilizzo; l’attribuzione a soggetti estranei al corpo giudiziario di funzioni di costante controllo e monitoraggio implicanti invasivi poteri, anche solo di indirizzo, sulla gestione delle risorse serventi agli uffici giudiziari, potrebbe reputarsi, infatti, in contrasto con la Costituzione.

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