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L’evoluzione del sistema di giustizia amministrativa Il riparto di giurisdizione.

V. anche G.U Rescigno, Corso di diritto pubblico, cit., 522, 523 che riconosce funzion

4. L’evoluzione del sistema di giustizia amministrativa Il riparto di giurisdizione.

La storia della giustizia amministrativa italiana parte dal 1865, anno in cui si varò un’importante riforma tesa ad uniformare i diversi sistemi di giustizia amministrativa degli stati preunitari.179 Questa legge abolì i tribunali del contenzioso amministrativo dello stato sardo piemontese, che facevano capo al potere esecutivo, ed attribuì la giurisdizione su ogni controversia nella quale si facesse questione di un diritto civile o politico, ancorché vi fosse interessata la pubblica amministrazione e fossero stati emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell’autorità amministrativa, alla autorità giudiziaria ordinaria (art. 2 Alleg. E legge 20 marzo 1865 n. 2248). Il principio cardine di questa riforma era l’abolizione del foro privilegiato della pubblica amministrazione e la conseguente affermazione della centralità del ruolo del giudice ordinario nella tutela al cittadino anche nei confronti dei pubblici poteri, principio che si poneva perfettamente in linea con l’ideologia liberale, tesa a garantire le libertà attraverso il primato della legge, unica “autorità” alla quale il giudice, è tenuto a sottostare.

Si riteneva che l’espressione usata dal legislatore “diritti civili e politici” determinava la devoluzione al giudice ordinario della giurisdizione generale su tutte quelle posizioni giuridiche successivamente denominate “diritti soggettivi”. All’epoca della riforma si distingueva un tipo di attività amministrativa c.d. “giuridica” in quanto regolata dalla legge, e un’altra sfera di attività c.d. “amministrativa pura” o “economica”, soggetta ad essere “regolata” dalle scelte dell’autorità amministrativa.” Nell’ambito di tale concezione, la legge del 1865 opera una distinzione tra gli affari giuridici, definiti come quegli affari in cui “si controverte di un diritto civile o politico”, che devono essere decisi in applicazione di norme predeterminate, e gli affari amministrativi, vale a dire gli “altri affari” menzionati nell’articolo 3 della stessa legge, non regolati dalle norme ma affidati alla sola cura dell’autorità amministrativa. Le controversie intorno ad essi, pertanto, non sono decise dal giudice, ma dalla amministrazione stessa.

Gli articoli 4 e 5 stabilivano che i poteri del giudice ordinario, nelle controversie cui era interessata la pubblica amministrazione o in cui erano stati emanati provvedimenti d’autorità, erano limitati a conoscere degli effetti dell’atto. Il giudice cioè non poteva revocare, modificare o annullare l’atto amministrativo. Al contempo si faceva obbligo all’autorità amministrativa di conformarsi al giudicato riguardo al caso deciso. I giudici ordinari dovevano applicare gli atti amministrativi e i regolamenti in quanto conformi alla legge, e potevano disapplicarli nel caso concreto, se illegittimi.

179

Cfr. V. Caianiello, Manuale di diritto processuale amministrativo, Torino Utet 2003, da p.

Con la legge 31 marzo 1889 fu istituita una nuova giurisdizione mediante la creazione della IV sezione del Consiglio di Stato con funzioni giurisdizionali, avente il compito di decidere sui “ricorsi per incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge contro atti o provvedimenti di un’autorità amministrativa o di un corpo amministrativo deliberante aventi ad oggetto un interesse di individui o di enti morali giuridici non di competenza dell’autorità giudiziaria né spettante alla giurisdizione di corpi o collegi speciali”. Rimaneva intatta la competenza dell’autorità giudiziaria ordinaria stabilita dalla legge del 1865, e al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale era dato il potere di annullare l’atto amministrativo giudicato illegittimo.

La ragione di questa seconda riforma si legava alla constatazione che il sistema introdotto dalla legge del 1865 non tutelava pienamente il cittadino nei confronti della pubblica amministrazione; il giudice ordinario, infatti aveva limitati poteri allorquando l’amministrazione si poneva nella sua tipica veste autoritativa mediante l’emanazione di atti giurisdizionalmente insindacabili.

L’istituzione della IV sezione del Consiglio di Stato con competenze giurisdizionali fu motivata dall’esigenza di incrementare la tutela del cittadino verso la pubblica amministrazione attraverso la creazione di una giurisdizione da affiancare a quella ordinaria ma dotata di più incisivi poteri di censura nei confronti dell’operato amministrativo.

La legge 1 maggio 1890 n. 6837 istituì le Giunte Provinciali Amministrative, organi di giurisdizione amministrativa con competenza nei riguardi di atti degli enti locali, le cui decisioni erano impugnabili al Consiglio di Stato.

L’art. 23 T.U. 17 agosto 1907 n. 638 istituì la V sezione giurisdizionale del Consiglio di Stato, e il decr. l.vo 5 maggio 1948 n. 642 creò la VI. Venne istituita anche l’Adunanza plenaria.

Il R.D 30 dicembre 1923 n. 2840 attribuì al Consiglio di Stato e alle Giunte provinciali amministrative competenza su determinate materie tassativamente elencate (tra le quali ad es. il pubblico impiego) che furono sottratte al giudice ordinario in deroga al normale criterio di riparto di giurisdizione. Tale sfera di competenza fu denominato giurisdizione esclusiva.

La Costituzione repubblicana conservò il sistema appena delineato. L’articolo 102 comma I pone il principio della giurisdizione unica affidata ai magistrati ordinari, istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario, e l’art. 103 comma I attribuisce al Consiglio di Stato e agli altri organi di giustizia amministrativa la giurisdizione per la tutela degli interessi legittimi nonché, in particolari materie indicate dalla legge, dei diritti soggettivi nei confronti della pubblica amministrazione.

Il riparto di giurisdizione è confermato nell’articolo 113, a norma del quale: “contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa […..] la legge determina

quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa”.

La regola della giurisdizione unica, pertanto,acquista un significato più limitato rispetto a quello volto ad escludere la coesistenza di diverse giurisdizioni, collegandosi al disposto divieto di istituzione di giudici straordinari e speciali.

La Corte Costituzionale con sentenze n. 30 del 22 marzo 1967 e n. 49 del 27 maggio 1968 dichiarò incostituzionali le Giunte provinciali amministrative per contrasto della loro normativa con l’articolo 108 comma II Costituzione, che demanda alla legge di assicurare l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse e degli estranei che partecipano all’amministrazione della giustizia, in quanto tali organi giurisdizionali non presentavano sufficiente indipendenza dal potere esecutivo.

Dalla scomparsa della Giunte Provinciali Amministrative fino alla istituzione, con la legge 6 dicembre 1971 n. 1034 dei Tribunali Amministrativi regionali (Tar) quali giudici amministrativi di primo grado sui ricorsi contro gli atti amministrativi di tutte le Amministrazioni pubbliche, statali e non, il Consiglio di Stato funzionò quale giudice amministrativo di unico grado dei ricorsi avverso tutti gli atti amministrativi. Con l’entrata in funzione dei Tar, assunse il ruolo di giudice d’appello.

Fatte queste premesse sulla distinzione tra giurisdizioni, occorre affermare che tra le maggiori difficoltà insite in tale sistema v’è proprio quella di individuare a quale giudice spetti la giurisdizione. 180 A tale riguardo, si osserva che in uno stato democratico la pienezza della garanzia del diritto di azione e di difesa in giudizio per la tutela della propria sfera giuridica non può essere pregiudicata dalla difficoltà di individuare il giudice al quale rivolgersi, incertezza tale da compromettere la tempestività e, dunque, l’utilità del ricorso al giudice. Le garanzie consacrate nella Costituzione implicano infatti il diritto del cittadino di ottenere da uno stesso giudice la pronuncia intorno al bene della vita o all’utilità oggetto della sua pretesa nei confronti dell’amministrazione, senza necessità di moltiplicare le azioni e i giudizi. Secondo il disposto dell’articolo 113 Costituzione, infatti, la tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione non può essere limitata “a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti”. 181

L’origine del più tradizionale criterio di riparto di giurisdizione risale all’espressione usata dal legislatore del 1865 di “diritti civili e politici”, nozione lungamente intesa come coincidente con

180

Diritto e Processo, E. Capaccioli, op. cit. da p. 338.

181

S. P. Panunzio, Il ruolo della giustizia amministrativa in uno stato democratico.

quelle posizioni giuridiche soggettive, da un certo momento in poi denominate “diritti soggettivi” 182 e contrapposte ad altre situazioni denominate “interessi legittimi”.

La necessità di individuare una situazione giuridica differente dal diritto soggettivo fu imposta dalla esigenza di tutelare giurisdizionalmente il privato nei confronti della pubblica amministrazione.

La costruzione teorica dell’interesse legittimo si lega alla posizione di supremazia sostanziale del soggetto pubblico, che imponeva la deroga al principio di parità delle parti nel processo.

La disuguaglianza delle parti si motivò in base alla particolarità della posizione giuridica sostanziale tutelata, individuata come interesse legittimo. Entro tale categoria confluirono molte situazioni soggettive normalmente tutelate davanti al giudice ordinario come diritti soggettivi, che, azionati nei confronti della pubblica amministrazione dovevano trattarsi mediante un processo “speciale”, caratterizzato, vista la natura pubblica di una delle parti, da un’attenuazione del principio di parità. Con l’entrata in vigore della Costituzione il principio di parità delle parti, insieme ad altri principi garantistici, si estese ad ogni forma di esercizio della giurisdizione, imponendo un adeguamento della disciplina del processo amministrativo.183

Il sistema di giustizia amministrativa italiana ed il tradizionale criterio di riparto di giurisdizione costuiscono frutto del compromesso tra due sistemi tra di loro antitetici, quello posto dalla legge 20 marzo 1865 allegato E abolitrice del contenzioso amministrativo, e quello della legge 31 marzo 1889 numero 5992 che istituì la IV sezione del Consiglio di Stato con attribuzioni contenziose (che la legge 7 marzo 1907 numero 62 dichiarerà definivamente di natura giurisdizionale). La legge 20 marzo 1865 attribuiva al giudice civile le controversie con la pubblica amministrazione concernenti un “diritto civile o politico”anche quando fossero stati emanati provvedimenti del potere esecutivo o dell’autorità amministrativa, mentre tutte le controversie non involgenti diritti erano escluse dalla tutela giurisdizionale, peraltro limitata alle azioni di condanna (non ad un facere) stante il divieto per l’autorità giudiziaria di annullare gli atti amministrativi (perciò non potevano aversi azioni costitutive) e di obbligare la pubblica amministrazione a tenere un determinato comportamento.

La cognizione del giudice sulla lesione del diritto implicava la cognizione sull’atto amministrativo ai limitati fini di accertare la lesione stessa e stabilire il risarcimento, previa disapplicazione dell’atto giudicato illegittimo. Si trattava di un sistema sostanzialmente finalizzato alla tutela risarcitoria dei diritti patrimoniale e dominicali, primo tra tutti la proprietà, lesi o limitati da atti illegittimi della pubblica autorità.

182

Diritto e Processo, E. Capaccioli, op. cit. da p. 338.

183

Dopo un certo numero di anni in Italia si introdusse, come negli altri paesi europei, un sistema di giustizia amministrativa attraverso l’istituzione di apposite sezioni del Consiglio di Stato.

A differenza di altri ordinamenti, che affidavano al contenzioso amministrativo tutte le controversie con le pubbliche amministrazioni aventi un oggetto pubblico, in Italia si mantennero in vita due sistemi, il Consiglio di Stato non era competente nei giudizi spettanti all’autorità giudiziaria (ordinaria), e alle giurisdizioni di corpi o collegi speciali.

Sorsero allora due giudici per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione, uno per i diritti e l’altro per tutti gli altri casi. Il riparto di giurisdizione, fondato sulla diversità di posizioni soggettive, penalizzò però proprio i titolari delle posizioni giuridiche ritenute più meritevoli, vale a dire i diritti soggettivi, stante la limitatezza dei poteri del giudice ordinario, unico titolare della loro tutela. La giurisprudenza elaborò, pertanto, la nozione di degradazione del diritto soggettivo, in base alla quale anche il diritto soggettivo diventava tutelabile innanzi al giudice amministrativo allorché degradava o si affievoliva in interesse legittimo a causa dell’esercizio di un potere amministrativo (esempio classico: il diritto di proprietà a fronte di un provvedimento di espropriazione).

Una volta che il giudice amministrativo avesse pronunciato l’annullamento dell’atto amministrativo illegittimo che aveva indebitamente operato la degradazione del diritto, quest’ultimo si riespandeva, e poteva avanzarsi al giudice ordinario domanda di risarcimento del danno. La tutela degli interessi legittimi puri, invece, si fermava al giudizio amministrativo, sostanziandosi soltanto nell’annullamento. Scaturì così il c.d. “dogma della dell’irrisarcibilità degli interessi legittimi”, vale a dire la convinzione che solo i diritti soggettivi fossero risarcibili. La ricostruzione dogmatica ora esposta operò un ribaltamento del sistema raffigurato dalla legge del 1865, teso ad affidare direttamente alla tutela risarcitoria ordinaria i diritti patrimoniali dominicali lesi da atti dell’amministrazione. 184

La teoria dei diritti affievoliti fu contestata dalla dottrina, che negò la sussistenza di una situazione giuridica intermedia tra diritto ed interesse. L’ oggetto del giudizio amministrativo è la legittimità di un atto amministrativo, valutazione mediante la quale il giudice accerta se la pubblica amministrazione ha esercitato correttamente il suo potere incidendo sul diritto soggettivo del privato. Il diritto costituisce il presupposto dell’esercizio del potere amministrativo, a fronte del quale il privato vanta un interesse legittimo. Quel che si sostiene è che non vi è degradazione o trasformazione dei diritto in interesse, ma che le due posizioni coesistono nel procedimento amministrativo, in cui il privato conserva il suo diritto soggettivo sul quale l’amministrazione

184

V. Cerulli Irelli, La riforma della giustizia amministrativa: considerazioni introduttive, Verso

intende interferire, e vanta al contempo l’interesse legittimo affinché l’azione pubblica si svolga legittimamente. L’interesse legittimo, pertanto, vive solo nel procedimento. Quando questo ha termine con l’adozione di un provvedimento amministrativo restrittivo, il titolare del diritto soggettivo limitato, compresso o estinto non può rivolgersi al giudice ordinario (che nel nostro ordinamento non giudica della legittimità dei provvedimenti amministrativi) ma soltanto al giudice amministrativo, mediante gli strumenti di tutela tipici dell’interesse legittimo, in quanto il diritto soggettivo come tale non è azionabile nei confronti dell’esercizio di potere amministrativo. L’interesse legittimo vive solo nell’ambito del procedimento amministrativo, e, successivamente, nel processo amministrativo, ma non ha natura sostanziale. Quando il giudizio di annullamento si conclude in modo favorevole al ricorrente, infatti, i suoi effetti investono il diritto soggettivo illegittimamente colpito, che, in conseguenza della retroattività della pronuncia di annullamento, ritorna a presentarsi nella sua pienezza come se non fosse mai stato inferito.

Le considerazioni appena svolte si riflettono sulla problematica della risarcibilità degli interessi legittimi. 185

La categoria del diritto affievolito o condizionato, pertanto, non è più accettabile, se non in termini diacronici; l’esercizio di alcune potestà pubbliche ha l’effetto di estinguere in toto il diritto soggettivo o singole facoltà ad esso inerenti, qualora l’atto autoritativo sia annullato la situazione soggettiva è ripristinata e si considera come mai estinta o diminuita.. Non esiste, pertanto, una categoria intermedia tra diritto e interesse riconducibile ai c.d. diritti affievoliti, ma dei fatti estintivi o modificativi del diritto rappresentati dal provvedimento amministrativo, nei confronti del quale il privato è titolare di un interesse legittimo.186

Il sistema di giustizia amministrativa testé delineato è stato innovato ad opera della legge 21 luglio 2000 n. 205 “Disposizioni in materia di giustizia amministrativa”. Pur senza operare modifiche delle norme costituzionali, che forse sarebbero state opportune, sembra essere stato superato il principio, accolto dalla Costituzione, in base al quale nelle controversie con la pubblica amministrazione vi sono due giudici e due differenti processi, l’uno per i diritti soggettivi e l’altro per gli interessi legittimi, ed in base al quale la diversità di tali posizioni giuridiche dà luogo, nell’ambito di un medesimo rapporto, a controversie distinte soggette a giurisdizioni diverse. La legge in esame aderendo agli altri sistemi europei, attribuisce le controversie all’uno o all’altro giudice, non in base alla diversità della situazione giuridica soggettiva ma in base alle materie.

185

F.G. Scoca, Divagazioni su giurisdizione e azione risarcitoria nei confronti della pubblica

amministrazione, Dir. process.amm. 1/2008.

186

M. S. Giannini, Istituzioni di diritto amministrativo, seconda edizione a cura di Mirabelli- Centurione, Giuffrè 2000, 259 nota n.4.

Si tratta di una modifica che, si ripete, non è operata espressamente poiché in tal caso sarebbe stata necessaria la riforma dell’articolo 113 Costituzione, ma, adottata a Costituzione invariata, attraverso l’estensione (e forse anche la forzatura) dell’istituto della giurisdizione esclusiva. La giurisdizione del giudice amministrativo è ampliata sia con riguardo alle materie che con riguardo alla cognizione su di esse, egli, infatti, può conoscere di ogni azione esperibile, comprese quelle risarcitorie, da sempre riservate esclusivamente al giudice ordinario. 187

L’accresciuta competenza attraverso la previsione di nuovi ambiti di giurisdizione esclusiva ha indotto l’affermazione secondo la quale il giudice amministrativo non è più il giudice degli interessi legittimi ma dei rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione, e il giudizio amministrativo non costituisce più giudizio sull’atto ma sul rapporto. 188

La sostituzione della tradizionale regola del riparto di giurisdizione con la tesi del riparto “per blocchi di materie” è stata contestata da autorevole dottrina; il Picozza, l’ha ritenuta “dogmaticamente non corretta in fatto e in diritto”. In linea di diritto, infatti, tale teoria, contrasta con la Costituzione (l’articolo 113 prevede che i giudici amministrativi abbiano giurisdizione sui diritti soggettivi soltanto in particolari materie individuate dalla legge), in linea di fatto si osserva che l’unica materia realmente attribuita in blocco al giudice amministrativo in quanto afferente a funzioni omogenee, è quella relativa al “governo del territorio”, ex articolo 34 D.P.R. 80/1998, mentre le altre materie attengono a settori differenziati di intervento pubblico. 189

Quanto sostenuto ha ricevuto convalida dalla Corte Costituzionale con sentenza 204 del 2004, confermata sostanzialmente dalla 191/2006. La giurisprudenza costituzionale ha ritenuto pienamente operante il tradizionale criterio di ripartizione della giurisdizione. In base alla considerazione che il giudice amministrativo è giudice dell’esercizio del potere, 190 il discrimine tra la giurisdizione ordinaria e la giurisdizione amministrativa è ricondotto alla differenziazione tra le situazioni soggettive. Il giudice ordinario si occupa delle controversie che hanno ad oggetto diritti soggettivi, e il giudice amministrativo di quelle relative ad interessi legittimi, con l’eccezione di quelle materie affidate in toto alla giurisdizione amministrativa esclusiva. Tale criterio opera anche quando la controversia ha ad oggetto il risarcimento del danno derivante da

187

La riforma della giustizia amministrativa: considerazioni introduttive, Verso il nuovo

processo amministrativo, a cura di V. Cerulli Irelli (Torino 2000), in Costituzione e Amministrazione, cit. 458 - 476

188

G. Leone, Brevi note a margine della legge n. 205 del 2000. Un passo avanti verso il “giusto

processo amministrativo”?, cit.

189

E. Picozza, Il processo amministrativo, cit. 27.

190

M. A. Sandulli, Diritto europeo e processo amministrativo, Riv.ital.di dir.pubb.comunitario,

lesione dell’una o dell’altra situazione soggettiva. 191 Tuttavia, sostiene il Picozza, la Corte non

differenzia i casi in cui l’esercizio del potere incida su situazioni parificate ai diritti soggettivi e, pertanto, oggetto di giurisdizione amministrativa esclusiva.192

Su tema del riparto di giurisdizione assume rilievo la problematica della c.d. translatio iudicii. Si tratta di un istituto previsto dall’articolo 50 c.p.c. il quale dispone che “se la riassunzione della causa davanti al giudice dichiarato competente avviene nel termine fissato nella sentenza o, in mancanza, entro sei mesi dalla comunicazione della sentenza di regolamento o della sentenza che dichiara l’incompetenza del giudice adito, il processo continua davanti al nuovo giudice”.

Se la riassunzione non ha luogo nei predetti termini, viceversa, il processo si estingue.

L’istituto della translatio iudicii era teso tradizionalmente ad assicurare la conservazione degli effetti della domanda e degli atti processuali nei casi di erronea proposizione dell’azione ad un giudice incompetente, mentre non operava nei rapporti tra giurisdizioni diverse, vale a dire qualora, in luogo di una pronuncia di incompetenza, vi fosse una pronuncia negatoria della giurisdizione del giudice adito. 193

La Corte di Cassazione con sentenza 22 febbraio 2007 n. 4109 aveva avanzato l’estensione di tale istituto anche al caso di declinatoria della giurisdizione del giudice civile a favore del giudice amministrativo, e viceversa. Questa interpretazione non è stata condivisa dalla Corte Costituzionale che, con sentenza interpretativa di accoglimento 77/07, si è limitata a dichiarare l’illegittimità dell’articolo 30 legge 1034/71 nella parte in cui non prevede che gli effetti sostanziali e processuali della domanda si conservino nel nuovo processo instaurato a seguito di declinatoria di giurisdizione. La Corte ha mostrato di considerare espunto dall’ordinamento il principio in base al quale tale pronuncia impone di iniziare ex novo il giudizio (principio non ricavabile da espressa disposizione normativa ma dal complesso del sistema dei rapporti tra giurisdizioni) ma, astenendosi dall’operare interventi additivi - per il rispetto dei confini del suo

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