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PARTE SECONDA

3. Le leggi di riforma

Oltre alla citata legge 241/1990, che costituisce un’ importante riforma della regolamentazione generale dell’azione amministrativa poiché ha dettato la disciplina del procedimento amministrativo in base a principi di imparzialità, trasparenza, partecipazione, 348 fondamentali

347

C. Franchini, M. Lucca, T. Tessaro, Il nuovo procedimento amministrativo, Maggioli edit.

2005, 78-80.

348

Cfr. V. Cerulli Irelli, Innovazioni del diritto amministrativo e riforma dell’amministrazione -

Convegno Associazione Italiana Professori di diritto amministrativo, Roma 22 marzo 2002, in Costituzione e Amministrazione, cit. 385-392.

La legge 241/1990 ha anche introdotto elementi di democraticità nell’esercizio della funzione amministrativa attraverso la previsione di varie forme di partecipazione al procedimento. Non ha avuto però l’effetto di incrementare l’efficacia, l’efficienza e l’economicità dell’azione pubblica, poichè le garanzie contemplate, come il diritto di accesso, gli obblighi di comunicazione a carico della pubblica amministrazione, l’obbligo di motivazione a pena di illegittimità, ecc. costituiscono altrettanti aggravamenti del procedimento.

V. anche L. Rinaldi, Autonomia, poteri e responsabilità del dirigente pubblico: un confronto con il manager privato, Giappichelli, Torino, 2002, 21. La Corte Costituzionale, infatti, ha affermato che la partecipazione dei privati al procedimento determina la previsione di norme di condotta eccessivamente minuziose che, anziché aumentare le garanzie determinano il ristagno dell’azione amministrativa (sentenza n. 234/1985).

Sul punto v. anche Franchini, Lucca, Tessaro, Il nuovo procedimento amministrativo, cit. 95. La nuova normativa sulla partecipazione si pone in potenziale conflitto con i principi di efficacia, efficienza, semplificazione, valorizzazione dei risultati. Si è dato allora rilievo al profilo funzionale della partecipazione procedimentale, in termini di arricchimento dell’azione amministrativa; escludendo ad esempio l’obbligo della comunicazione ex articolo 7 legge 241/90 nei casi in cui l’informativa agli interessati in ordine all’avvio del procedimento non

tappe normative del processo di riforma della pubblica amministrazione italiana sono state: la legge 142/1990 sull’ordinamento degli enti locali; la legge 15 marzo 1997 n. 59, che opera il generale decentramento delle funzioni amministrative riservando allo Stato soltanto materie tassativamente indicate, in base ai principi di sussidiarietà, differenziazione, adeguatezza; la legge costituzionale n. 3/2001, che, rovesciando il rapporto centro-periferia, attribuisce rango costituzionale alla competenza generale degli enti locali riservando allo Stato soltanto funzioni residuali. 349

Particolare importanza rivestono le leggi n. 50 e n. 127 del 1997, c.d. Bassanini, che hanno introdotto un importante complesso normativo di riforma della Pubblica Amministrazione allo scopo di rimediare alle più evidenti disfunzioni e dare piena attuazione ai principi costituzionali sul suo funzionamento, sino ad allora rimasti inattuati.

I fattori cui maggiormente veniva imputata l’insoddisfazione dei cittadini e degli operatori economici intorno al funzionamento dell’apparato pubblico erano individuati nell’eccessivo centralismo statale, nella lunghezza e complessità delle procedure amministrative, nell’irrazionale organizzazione amministrativa, realtà che si legavano alla mancata o incompleta attuazione di alcune norme e principi costituzionali, come l’articolo 5 che prevede lo sviluppo delle autonomie locali e del decentramento amministrativo.

La riforma Bassanini interviene nel rendere effettivi tali principi costituzionali attraverso quattro fondamentali direttrici: il decentramento di funzioni amministrative dello Stato alle Regioni e agli enti locali; la semplificazione dell’azione amministrativa e dei rapporti tra cittadini e amministrazione; la riorganizzazione dell’amministrazione centrale dello Stato; la riforma e la contrattualizzazione del pubblico impiego.

Il secondo punto prosegue un processo riformatore della materia dei procedimenti amministrativi e di semplificazione dell’attività amministrativa avviatosi con la legge 241/1990 e proseguito con la legge 537/1993. La semplificazione dei procedimenti amministrativi implica la sostituzione della disciplina di fonte legislativa con una disciplina dettata da regolamenti e rispondente a determinati principi posti dalla legge 59/1997 come modificata dalla legge 191/1998: riduzione del numero delle fasi procedimentali e delle amministrazioni che intervengono nel procedimento,

presenti alcuna utilità nei confronti dell’azione amministrativa. La partecipazione, infatti, come ha precisato il Consiglio di Stato Ad. Plen. n. 20/1992, non è prevista dalla legge soltanto allo scopo di tutela degli interessi dei privati ma risponde anche all’interesse pubblico al corretto e imparziale svolgimento del procedimento. L’articolo 21 octies della legge 80/2005, pertanto, prevede che la mancata comunicazione di inizio procedimento non determina, ex se l’automatica annullabilità del provvedimento se l’amministrazione dimostra che il contenuto di esso non avrebbe comunque potuto essere diverso.

349

riduzione dei termini per la conclusione dei procedimenti, riduzione del numero dei procedimenti amministrativi e accorpamento di procedimenti, accelerazione delle procedure di spesa e contabili, soppressione di procedimenti non più rispondenti alle finalità e agli obiettivi di settore definiti dalla legislazione di settore, e dei procedimenti che comportino per l’amministrazione e i cittadini costi più elevati dei benefici conseguibili. 350

Tra i principali obiettivi di riforma v’è stato il superamento del centralismo che caratterizzava l’organizzazione amministrativa.

L’amministrazione centralista presenta un minor grado di efficienza, in quanto comporta necessariamente procedure rigide, complesse e formalistiche, disciplinate da invasive e inderogabili norme di diritto pubblico. Ad essa si è sostituito, pertanto, un modello di amministrazione decentrata, che scaturisce dall’affermazione del principio di sussidiarietà introdotto dalla riforma del titolo V della Costituzione e vigente anche in ambito comunitario, in base al quale le decisioni politico-amministrative devono essere adottate dai centri di direzione più vicini ai cittadini che ne sono interessati, principio idoneo ad ispirare anche forme più accentuate di federalismo politico, oltre al mero riconoscimento delle autonomie locali.

Oggetto di riforma è stata pure la distribuzione di competenze nell’organizzazione statale, prima caratterizzata, secondo una logica partitocratrica, dalla concentrazione dei compiti politici e amministrativi e delle relative responsabilità in capo ai ministri. Questo sistema si poneva in contrasto con il principio di imparzialità dell’amministrazione e con il tecnicismo che deve presiederne l’operato affinché essa possa incidere efficientemente entro un moderno e ormai globalizzato sistema statale. A tale assetto, pertanto, se ne è sostituito un altro, basato sul principio di separazione tra politica e amministrazione, che è stato attuato affidando alla competenza esclusiva dell’autorità amministrativa i compiti di amministrazione attiva, ed istituendo le Autorità amministrative indipendenti, organi con funzioni a carattere regolativo e sanzionatorio nei relativi specifici settori, dotati di indipendenza e esenti da forme di influenza.351

Con il d.lgs 29/1993, modificato dal d.lgs 80/1998, e, successivamente, dal d.lgs 165/2001, si riserva ai dirigenti delle pubbliche amministrazioni la funzione di amministrazione concreta, mentre agli organi di direzione politica si attribuiscono poteri di indirizzo e di controllo sui risultati. I dirigenti agiscono con le capacità dei managers privati. 352

350

V. Cerulli Irelli, Principi ispiratori della riforma amministrativa: verso un’amministrazione

al servizio dei cittadini, in Costituzione e Amministrazione, cit. 334, 335, 336, 339,340.

351

V. Cerulli Irelli, intervento al Seminario IISA -Istituto Italiano di Scienze Amministrative

(San Marino 22 giugno 2000), in Costituzione e Amministrazione, cit. 343-346.

352

L’efficienza della pubblica amministrazione. Misure e parametri, a cura di M.V. Lupò Avagliano, cit., 9-20.

La separazione tra politica e amministrazione ha, pertanto, trasformato il rapporto tra potere politico e amministratori da vincolo di subordinazione a potere di indirizzo e controllo.

Le scelte operative sono, infatti, di competenza dei dirigenti della pubblica amministrazione, che ne assumono le relative responsabilità, mentre gli organi di direzione politica sono competenti alla definizione degli obiettivi amministrativi e alla verifica dei risultati della gestione amministrativa e della conformità di questa alle direttive generali impartite.

L’autorità politica non ha il potere di ingerirsi nelle concrete scelte di gestione, che devono sottostare soltanto ai principi di imparzialità e di buon andamento posti dall’articolo 97 Costituzione.353

Il cambiamento nel modo di intendere la pubblica amministrazione, che si sostanzia nel riconoscimento di essa come organizzazione al servizio di cittadini-clienti e finalizzata al soddisfacimento dei loro bisogni, si lega, come abbiamo già accennato, al recepimento in ambito pubblico dei principi dell’economia di mercato. La trasformazione della cultura amministrativa in senso manageriale ha determinato, in seno alla burocrazia pubblica, il trasferimento del potere dai ruoli più elevati delle gerarchie amministrative, prima preposti a decidere dall’alto il livello dei servizi pubblici, ai funzionari addetti a forme di più diretto contatto con il pubblico e perciò maggiormente idonei a decidere sui servizi da erogare. 354

Si osserva però che importare nella pubblica amministrazione la cultura manageriale richiede l’impiego di una larga parte delle energie e delle risorse a disposizione della burocrazia. I vertici amministrativi, infatti, sono soggetti a pressioni molto forti affinché gestiscano la loro organizzazione efficacemente per aumentarne la produttività e l’efficienza. Tali stimoli non sempre rispecchiano una genuina volontà di miglioramento delle performances pubbliche, ma possono nascondere l’intento di frenare la partecipazione della burocrazia ai processi decisionali, da assoggettare in toto all’esclusivo controllo degli attori politici. La managerialità ed i suoi sistemi di verifica basati sulla misurazione dei rendimenti possono, infatti, costituire un efficace strumento di controllo della politica sulla pubblica amministrazione. 355

Ulteriori riforme amministrative sono state costituite dalla delegificazione e dalla semplificazione dell’azione amministrativa. Mediante la delegificazione, nella disciplina della funzione B. Guy Peters, La Pubblica Amministrazione, cit., 339, 340. Si osserva che l’introduzione di

criteri e mentalità manageriali nei quadri amministrativi ha trasformato la figura del funzionario pubblico in quella del dirigente aziendale piuttosto che favorire lo sviluppo di ruoli somiglianti a quello del consulente pubblico o del policy maker.

353

M.V. Lupò Avagliano, L’efficienza della pubblica amministrazione. Misure e parametri, cit.,

9-20.

354

B. Guy Peters, La Pubblica Amministrazione, cit., 442.

355

amministrativa si fa arretrare la fonte legislativa a favore della più snella fonte regolamentare. La semplificazione, invece, è l’introduzione di misure di snellimento che rendano più elastica, rapida e flessibile l’azione amministrativa, anche mediante la liberalizzazione di alcune attività non più soggette a preventive autorizzazioni o licenze, ed altresì mediante l’uso di strumenti privatistici in vasti settori di azione amministrativa. 356

Le riforme, benché abbiano coinvolto i tre livelli, istituzionale, del sistema amministrativo, del management, non hanno prodotto i risultati positivi sperati, in quanto è carente la cultura di gestione del cambiamento in contesti pubblici. 357

Il cambiamento della pubblica amministrazione, infatti, non si può operare soltanto attraverso gli interventi normativi, i quali sono destinati a rimanere lettera morta se si inseriscono in un contesto legislativo e culturale inadeguato e rigido, attento al solo rispetto del principio di legalità formale. Si è osservato che uno dei problemi della pubblica amministrazione è il fatto di essere retta esclusivamente da norme cogenti di diritto pubblico, la cui inosservanza determina inevitabilmente l’ illegittimità degli atti. L’introduzione e, soprattutto, la corretta attuazione delle riforme dovrebbe imporre il ripensamento del principio di legalità dell’azione amministrativa. La legalità dell’azione pubblica, infatti, se intesa come stretta osservanza di ogni norma legislativa e regolamentare anziché (soltanto) come inderogabile rispetto delle norme fondamentali e, soprattutto, di quelle maggiormente congrue con gli obiettivi specifici da perseguire, è in grado di paralizzarne di fatto l’efficiente funzionamento. All’interno delle norme di diritto pubblico bisogna allora distinguere le norme cogenti da quelle derogabili, affinché l’azione amministrativa non sia più solo diretta al rispetto della legge ma alla produzione di risultati utili per la collettività, sottoposti a forme specifiche di controllo che si affiancano a quelle di legittimità. 358

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