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V. anche G.U Rescigno, Corso di diritto pubblico, cit., 522, 523 che riconosce funzion

4. Il Giusto processo amministrativo

Nel processo amministrativo, una categoria di principi generali attiene alle garanzie strutturali e funzionali: l’imparzialità, la terzietà del giudice, la collegialità, il contraddittorio, la parità delle parti, la concentrazione, l’oralità e la pubblicità, l’economia di giudizio. Un altro gruppo di principi generali, invece, è relativo alla disciplina dei poteri del giudice e delle parti: il principio dispositivo, quello della domanda e dell’impulso di parte, il metodo acquisitivo ed i poteri istruttori del giudice, la regola di giudizio, il libero apprezzamento del giudice, i poteri decisori. Nel diritto amministrativo, l’applicazione dei principi di giustizia procedurale ha addirittura anticipato la formalizzazione costituzionale delle garanzie del giusto processo, già vigenti in base al sistema CEDU. Le medesime garanzie, infatti, nel diritto sostanziale sono alla base del “giusto procedimento amministrativo”, accolto nella riforma della legge 241/1990. Si tratta, in questo caso, di un principio che non è fatto oggetto di diretto riconoscimento costituzionale, ma che rappresenta un fondamentale strumento di attuazione dei principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione consacrati dall’articolo 97 Costituzione. Il principio del giusto procedimento importa la possibilità per tutti i soggetti coinvolti o interessati di partecipare al procedimento medesimo.

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S. Shavel, Fondamenti dell’analisi economica del diritto, a cura di D. Porcini, Giappichelli

Torino 2004, 351-365.

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S. Shavel, Fondamenti dell’analisi economica del diritto, a cura di D. Porcini, Giappichelli

Torino 2004, 373.

V. anche M. D’Antoni, L’analisi economica del contenzioso civile, Politica del diritto 2005, 327.

Il giusto processo amministrativo regolato dalla legge, come già osservato in relazione al processo ordinario, non è solo quello che rispettata la riserva di legge, ma la cui disciplina di legge rispetti e realizzi le condizioni essenziali poste dall’articolo 111 Costituzione, che costituiscono un nucleo di garanzie minime, necessarie e sufficienti affinchè il processo possa qualificarsi giusto. Non è indispensabile che la legge detti una disciplina analitica e puntuale di ciascuna attività e di ogni potere in seno al processo predeterminando rigidamente ogni suo possibile svolgimento, essendo pienamente legittime norme di legge che attribuiscono al giudice ambiti più o meno ampi di autonomia nell’esercizio dei suoi poteri di direzione del processo, ai fini di speditezza ed economia di giudizio e/o di adattare il rito alle finalità sostanziali che il processo tende a soddisfare. Con riguardo alla garanzia del contraddittorio, non si considerano legittime discipline processuali che, anche limitatamente ad una o più fasi del giudizio, non prevedono alcuna forma minima di contraddittorio fra le parti in condizioni di effettiva parità. L’osservanza effettiva di tale principio, infatti, non può essere del tutto differita a momenti processuali successivi.

Il diritto di difesa tutelato dall’articolo 24 Costituzione implica non solo che sia assicurato il contraddittorio, ma che sia rimosso ogni ostacolo, procedurale ed economico, alla tutela in giudizio di diritti e interessi legittimi del cittadino. Le norme processuali non possono creare disparità tra cittadino abbiente e cittadino indigente.

Dal giusto processo scaturisce, com’è noto, il principio di effettività della tutela giurisdizionale, che involge la problematica relativa all’attuazione del giudicato amministrativo e, più in generale, dell’esecuzione nei confronti della pubblica amministrazione .319

Si rileva la presenza di istituti del processo amministrativo che presentano problemi di compatibilità con il principio del giusto processo; la possibile notificazione del ricorso ad uno solo dei controinteressati, ad esempio, non appare sufficientemente garantista del contraddittorio, inoltre contravviene al principio di economia processuale rendendo più probabile la proposizione di opposizione di terzo e di appello da parte del controinteressato pretermesso. Appare in molti casi squilibrato a favore della pubblica amministrazione anche il regime dei termini processuali; facoltà della pubblica amministrazione, come quella di costituirsi in giudizio in un termine non perentorio e di depositare memorie (alle quali il ricorrente, non ha facoltà di replicare) fino a dieci giorni prima dell’udienza di merito e fino all’udienza per la trattazione della domanda di sospensione (le stesse facoltà sono date al controinteressato), sono ritenute in contrasto con il principio di parità delle armi.

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Presenta un serio problema di compatibilità con i dettami del giusto processo la mancata previsione di obbligo di motivazione dell’ordinanza che decide sull’istanza di sospensione, provvedimento avente generalmente natura anticipatoria rispetto alla decisione di merito.

La motivazione di un provvedimento giurisdizionale che disciplina provvisoriamente il rapporto controverso, costituisce, infatti, alla luce dell’ articolo 111 Costituzione, una imprescindibile garanzia di attuazione del giusto processo, che rileva anche ai fini della effettività del diritto alla tutela giurisdizionale - di cui il diritto d’impugnare costituisce proiezione - in quanto la parte trae dalla motivazione argomentazioni di critica avverso la decisione censurata.

Il principio di parità delle armi opera anche nella fase di istruzione probatoria, specie nei casi in cui le incombenze istruttorie devono essere compiute dalla pubblica amministrazione.

Si impone allora l’esigenza di garantire il contraddittorio nelle attività di verificazione, ispezione, sopralluogo, e di prevedere che le perizie e le consulenze tecniche siano effettuate da soggetti terzi, garantendo la partecipazione delle parti in contraddittorio.

Il rispetto del principio del contraddittorio non si accontenta della formale garanzia di partecipazione al giudizio delle parti” tradizionali”, ma richiede che ad ogni soggetto titolare di una posizione soggettiva rilevante sia consentita la possibilità di intervenirvi. Le norme del processo amministrativo sulla chiamata in giudizio e sull’intervento del controinteressato possono essere integrate con gli articoli 106 e 107 del codice di procedure civile, che disciplinano, rispettivamente, l’intervento su istanza di parte e l’intervento per ordine del giudice.

Il ricorso in analogia alle norme dettate per il processo civile può essere ammesso anche in altri casi in cui le disposizioni siano compatibili con il processo amministrativo. La caratteristica di tale processo, infatti, prescindendo dalla natura della situazione giuridica azionata (diritto soggettivo o interesse legittimo), è costituita dalla sua finalità di dirimere controversie coinvolgenti gli interessi pubblici. A differenza del processo civile, esso non ha ad oggetto situazioni liberamente disponibili dalle parti, ma materie soggette ai principi dettati dall’articolo 97 Costituzione. L’integrazione della disciplina del processo amministrativo con l’applicazione dei principi generali del giusto processo deve attuarsi, pertanto, in considerazione di tale fondamentale differenziazione tra i due processi. 320 Sotto il profilo del rispetto del principio di ragionevole durata nel processo amministrativo, la riforma adottata con le legge 205 del 2000 ha operato un rafforzamento dell’effettività del diritto ad una celere definizione del giudizio, attraverso la previsione di riti abbreviati, di decisioni in forma semplificata, della riduzione di

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alcuni termini, dell’introduzione di procedimenti sommari di condanna pecuniaria, del nuovo regime dei “motivi aggiunti”, ecc. 321

Il diritto alla ragionevole durata non è condizionato dalla previsione di mezzi sollecitatori a carico delle parti, 322 come l’istanza di prelievo323 La Cassazione Sezioni Unite ha affermato, infatti, con pronuncia 23.12.2005 n. 28507 che il termine di conclusione del processo amministrativo decorre dalla sua instaurazione, e non dalla data dell’eventuale presentazione dell’istanza di prelievo.324 Quanto detto induce a ritenere che il rispetto del principio di ragionevole durata non è valutabile soltanto in termini di idoneità della norma processuale, ma soprattutto in relazione alla diligenza dimostrata dal magistrato amministrativo, da valutarsi in rapporto alla complessità del caso ed alla condotta delle parti. Il fatto che la parte non si avvalga degli strumenti acceleratori che sono nella sua disponibilità, come appunto l’istanza di prelievo, non esime il giudice dal dovere di pronunciarsi celermente sulla domanda, né trasferisce sulla parte la responsabilità della violazione di quel precetto. Si osserva che il principio di ragionevole durata dovrebbe legarsi alla previsione normativa di criteri di valutazione della durata, differenziati in base alle diverse tipologie processuali. Nel nostro ordinamento non sussistono regole che consentono di definire con esattezza e in via astratta la ragionevole durata di un processo. In base alla costante giurisprudenza della Suprema Corte, ogni vicenda deve essere, pertanto, valutata nella sua specificità, in relazione alla complessità del caso e del comportamento concretamente tenuto dal giudice e dagli altri soggetti. Sul punto soccorrono i criteri affermatisi nella giurisprudenza europea, il cui richiamo è

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Prima della riforma del 2000 e di quella dell’articolo 111 Costituzione, la giurisprudenza

CEDU riteneva operante l’articolo 6 comma 1 in seno al processo amministrativo soltanto quando questo aveva un oggetto patrimoniale o si fondava su un lamentato pregiudizio patrimoniale. In considerazione della “patrimonialità”, infatti, il giudizio amministrativo era sussunto nella dimensione civilistica. Successivamente, la tutela in esame fu estesa ad ogni processo in ordine a posizioni giuridiche soggettive seriamente riconosciute dall’ordinamento, ancorchè nell’ambito di una sfera di discrezionalità riservata all’organo pubblico (interessi legittimi).

322

G. Guzzardo, Tempi del processo amministrativo ed effettività del diritto alla giustizia

“celere”, cit.

323

Cfr. E. Picozza, Il processo amministrativo, cit. 251 -253.

L’istanza di prelievo differisce dall’istanza di fissazione dell’udienza per la trattazione del merito del ricorso, che deve essere presentata entro due anni a pena di perenzione o decadenza. A tale domanda, per ragioni di celerità, si accompagna in genere l’istanza di prelievo, avente ad oggetto la dichiarazione di urgenza del ricorso da parte del Presidente del Tar o della sezione. Si rileva criticamente che la disciplina processuale non predetermina i presupposti e le condizioni di ammissibilità di tale richiesta. In virtù del principio della libertà delle forme e di quello di economia processuale, la domanda di prelievo che sia presentata entro il termine biennale, è equiparata alla domanda di fissazione udienza, specie qualora sia stata presentata un’originaria domanda di fissazione udienza.

324

M.Mengozzi, Il diritto all’equo indennizzo per l’irragionevole durata del processo trova il

operato dalla legge Pinto, dal momento che essa individua il fatto costitutivo del diritto all’equa riparazione per relationem, con riferimento all’articolo 6 comma 1 CEDU. 325

Dalla considerazione in base alla quale la ritardata definizione del processo incide sul godimento dei diritti sostanziali, potrebbe affermarsi, ad esempio, che, in tema di diritti fondamentali, deve osservarsi un criterio particolarmente severo nel valutare il diligente rispetto del principio di ragionevole durata, così come il giudice dovrebbe essere tenuto ad una speciale rapidità quando sia chiamato a decidere questioni semplici. Il principio dovrebbe ritenersi violato altresì ogni qualvolta la condotta del giudice risulti passiva o negligente, mentre dovrebbe escludersi ogni responsabilità qualora, invece, l’eccessiva durata sia giustificabile dalla oggettiva complessità strutturale del procedimento. A tale proposito, deve rilevarsi che il principio di ragionevole durata deve essere realizzato anche mediante un’organizzazione giudiziaria efficiente. Si prestano, infatti, ad essere valutati quali presupposti della violazione del principio in esame non soltanto condotte riferibili esclusivamente al singolo magistrato ma altresì all’organizzazione dell’ufficio giudiziario in genere, nonché, ancora più in generale, alla complessiva organizzazione del sistema giustizia. Dalla normativa e dalla giurisprudenza CEDU emerge, infatti, a carico degli Stati un “obbligo di risultato”, che impone l’adozione di un’ organizzazione adeguata e capace di prevenire l’inerzia delle autorità giurisdizionali, al fine di assicurare una celere amministrazione della giustizia. 326

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