1. Gli approcci teorici all’analisi del welfare state nei Paesi Baltici.
L’analisi dei sistemi di welfare si caratterizza, come si è visto nei precedenti capitoli dedicati alla riflessione sulla riforma dei modelli di stato sociale in Europa, per una spiccata impostazione occidentalistica. Le più tradizionali teorie e tipologie ad esse conseguenti sono infatti nate nel contesto delle società capitaliste occidentali (si pensi in particolare alla tripartizione proposta da Titmuss ed alla successiva elaborazione dei tre regimi di welfare di Esping-Andersen), per studiare, sia pur con approcci e modalità differenti, le caratteristiche e le interazioni intervenute tra istituzioni, forze partitiche, classi sociali e società civile in senso lato. Nell’ambito dei paesi cosiddetti in transizione -tra cui appunto i Paesi Baltici- tali svolgimenti non sono tuttavia altrettanto facilmente analizzabili, proprio perché è mancato quel lungo periodo di evoluzione storico-politica, nonché economica e sociale, che ha condotto alla formazione dei tipici modelli di welfare occidentali. La rincorsa verso il raggiungimento di questi modelli economici e sociali, condotta spesso (come si vedrà) con forme e metodi confusi e contraddittori, ha teso alla definizione di una dinamica multiforme, che attinge dalle diverse tradizioni welfaristiche europee per convergere su una nuova, ancora confusa elaborazione, definita appunto come
catching up model419.
La scelta di questi controversi quanto complessi percorsi può essere rintracciata in alcune precise ‘mancanze’, che hanno impedito per lungo tempo la formazione di un sistema di welfare tradizionalmente inteso. Da un punto di vista socio-politico, infatti, le formazioni partitiche che hanno determinato -o quantomeno consolidato- la formazione dei differenti regini di welfare (residuale,
corporativo, universale) non solo non si sono sviluppate storicamente, ma per lungo tempo dopo la caduta del regime sovietico hanno vissuto una fase confusa, dalla quale emerge chiaramente come per le principali forze politiche attuali la questione concernente l’assetto del welfare e la relativa implementazione di una riforma delle politiche sociali sia stata molto vaga e per molti versi lo sia ancora.420. La frammentazione politica si salda inoltre ad una più profonda mancanza di integrazione etnica, che, specialmente in Estonia, marca ulteriormente le divisioni interne al tessuto sociale, determinando difficili dinamiche di cittadinanza e radicalizzando rischiosi processi di ghettizzazione. Analizzando la transizione in una prospettiva specificatamente sociologica, questo basso grado di coesione ed integrazione è stato storicamente cronicizzato anche a causa dell’assenza della società civile, la cui presenza come nuovo soggetto sociale si è dimostrata decisamente debole anche durante il primo periodo post- sovietico.
Dal punto di vista economico, infine, è mancata quella logica dell’industrializzazione che si è strettamente intrecciata con l’evoluzione dei sistemi di welfare421 in tutte le società occidentali, quali poli contrapposti ma
interattivi nell’articolazione della dinamica tripartita famiglia-stato-mercato. Proprio questo affanno verso il raggiungimento quanto più possibile accelerato di certi standards di produzione e crescita, tradottosi in una scivolosa vulnerabilità economica quanto sociale, giustifica la particolare influenza esercitata in questo contesto dalla globalizzazione, con una preponderante tendenza verso sistemi di privatizzazione tipici dei modelli più liberisti (welfare residuale). In questo senso, trova conferma l’adesione di tali paesi alle proposte più marcatamene pro-
420 Cfr. in particolare R. L
AZUTKA, V. KOSTELNICKIEN, Social Security in Lithuania, in J. SIMPURA (ed.) «Social Policy in Transitional Societies Experience from the Baltic Countries and Russia», The Finnish ICSV Committee, The Finnish Federation for Social Welfare, Helsinki, 1995, pp. 103-114.
421 Cfr. G. E
SPING-ANDERSEN, I fondamenti sociali delle economie postindustriali, o.c.; H. WILENSKY, The Welfare State Convergence and Divergence, in ID.(ed.), «Rich Democracies Political Economy, Public Policy and Performance», University of Californian Press, Berkley 2002, pp. 211-251.
globalizzazione, sostenute da organizzazioni internazionali quali Banca Mondiale e Fondo monetario Internazionale422, piuttosto che a quelle promosse dall’Unione Europea attraverso il Metodo di Coordinamento Aperto per il rafforzamento della dimensione sociale nel processo di allargamento423. Si evidenziano così due scenari particolarmente densi di stimoli per l’analisi sociologica: da un punto di vista teorico, infatti, tale contesto spinge ad elaborare nuovi modelli interpretativi, superando la tradizionale analisi ideal-tipica centrata sui tre modelli di welfare, che risultano (almeno parzialmente) inadeguati a cogliere la complessità della nuove geografia sociale disegnata dai transition countries424. Secondariamente, nell’ambito dell’acceso dibattito sul futuro del Modello Sociale Europeo, l’ingresso di queste realtà nazionali caratterizzate da dinamiche di sviluppo spesso controverse, pone nuovi ed interessanti interrogativi circa il senso della società europea, la sua reale capacità di tenute, le sue prospettive.
2. Transizione e crescita economica: la nuova povertà
Nell’analisi delle tre realtà baltiche, l’Estonia rappresenta un case study particolarmente interessante rispetto alle vicine Lituania e Lettonia perché
422
Cfr. in proposito i numerosi studi in materia di B. DEACON, in particolare: East
European Welfare: Past, Present and Future in Comparative Context, in ID.(ed.) «The New Eastern Europe Social Policy Past, Present and Future», Sage Publication, London 1992, pp. 1-31;
The Future of Social Policy in Eastern Europe, in Ibidem, pp. 167-192; International Organizations and the Making of Post-Communist Social Policy, in B. DEACON, M. HULSE and P. STUBBS (eds.) «Global Social Policy International Organizations and the Future of Welfare», Sage Publications, London, 1997. pp. 91-53; Eastern European Welfare States: The Impact of the
Politics of Globalisation, in «Journal of European Social Policy, 10(2) 2000, pp. 146-161. Cfr.
inoltre A. CHANDLER, Globalisation, Social Welfare Reform and Democratic Identity in Russia
and other Post-Communist Countries, in «Global Social Policy», 1(3) 2001, pp. 310-337 e K.
MULLER, The Political Economy of Pension Reform in Eastern Europe, in «International Social Security Review», 54(2-3) 2001, 57-79.
423
Numerosi studi evidenzierebbero come le procedure per l’accesso all’Ue siano state interessate solo alla componente finanziaria dei sistemi di protezione sociale comunitari, e non ai loro contenuti. In particolare, la scelta europea di non imporre specifiche procedure normative in materia di politica sociale, ma di redigere solo raccomandazioni e linee guida, sembrerebbe aver favorito questo atteggiamento (Cfr. V. RYS, Transition Countries of Central Europe Entering the
European Union: Some Social Protection Issues, in «International Social Security Review», 54(2-
3) 2001, pp. 177-189 e C. WEHNER et al., The Role of the Different Actors in the Development of
Social Policy, EU-Special Conference, Ghent, 13-16 May 2004.
424
Cfr. J. AIDUKAITE, The Emergence of the Post-Socialist Welfare State. The Case of