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Terziarizzazione economica ed occupazionale.

Esclusione sociale e lavoro

4. Inclusione e lavoro: tra approcci teorici e problematiche in corso

4.2 Terziarizzazione economica ed occupazionale.

La terziarizzazione delle attività produttive rappresenta uno dei fattori peculiari del passaggio da un regime di regolazione sociale tipicamente fordista a quello più attuale dell’accumulazione flessibile105. Tuttavia, se chiaramente inquadrabile da un punto di vista economico, quale spostamento delle attività dalla produzione di beni all’erogazione di servizi, la terziarizzazione non è altrettanto facilmente definibile dal punto di vista occupazionale, i cui esiti incerti e contrastanti sono da attribuirsi tanto alle caratteristiche intrinseche del nuovo modello di regolazione produttiva, tanto alle peculiarità stesse del terziario, che si caratterizza come un settore dall’equilibrio instabile e sottoposto ad un costante rischio di obsolescenza106. Rispetto alle attività produttive tradizionali, infatti, le

102Si veda, a tale proposito, R. C

ASTEL, De l’exclusion comme état à la vulnérabilité

comme processus, in J. AFFICHARD e J.B. DE FOUCAULD (eds.), «Justice sociale et inégalités», Esprit, Paris, 1992, pp. 135-148.

103 Cfr. E. P

UGLIESE, E. REBEGGIANI, Occupazione e disoccupazione in Italia, Edizioni Lavoro, Roma, 2004.

104

Cfr. M.L. BIANCO, Classi e reti sociali. Risorse e strategie degli attori nella

riproduzione delle diseguaglianze, Il Mulino, Bologna, 1996.

105 A. A

CCORNERO, Il mondo della produzione, Il Mulino, Bologna 1994; E. MINGIONE,

Sociologia della vita economica, Carocci, Roma1997.

106

D. FARINELLA, F. PARZIALE, Processi di terziarizzazione e disuguaglianze socio-

attività di servizio sono soggette ad un effetto di sostituzione, in quanto non necessariamente ed unicamente producibili sul mercato, ma anche, come evidenzia Chiesi, auto producibili attraverso processi di internalizzazione nelle aziende o nella famiglie107. In questo senso i modi ed il grado della terziarizzazione divengono strettamente dipendenti non solo dalla disponibilità di tempo, risorse e tecnologie, ma anche -e soprattutto- dal modo in cui i tre sistemi tipici di integrazione sociale (stato, famiglia e mercato) sono organizzati e si articolano nei diversi sistemi di welfare, generando equilibri ed assetti diversi.

Per entrare nel vivo della complessa relazione tra espansione del settore terziario e cambiamento delle struttura occupazionale, vale la pena soffermarsi sulla classificazione proposta da Esping-Andersen, che distingue quattro diversi comparti all’interno della macro-categoria del terziario, svelandone tutta la complessità e la variabilità di forme108. Il primo comparto comprende i cosiddetti servizi alle imprese, vale a dire tutto l’insieme dei servizi ad alto contenuto di professionalità, che spaziano dalla consulenza (finanziaria, immobiliare, di

marketing etc..) alla progettazione dei servizi ad alto valore aggiunto. Si tratta cioè

di attività caratterizzate in larga misura da elevati livelli di conoscenza109, caratteristiche di questo nuovo regime di accumulazione flessibile non tanto perché necessariamente innovative, quanto perché sintetizzano chiaramente il passaggio da una struttura aziendale gerarchizzata ad una a rete. Nel secondo comparto convergono invece tutti i servizi pubblici e sociali, categoria che comprende sia attività altamente qualificate, sia attività che richiedono scarse competenze professionali e prevalentemente di natura esecutiva. I più bassi livelli di qualifica richiesti si trovano invece negli ultimi due comparti, quello dei servizi le ricerche sulla Sociologia del Diritto e delle Istituzioni Giuridiche, Università di Messina, working paper n. 30, p. 6.

107

A.M. CHIESI, La trasformazione dei contenuti del lavoro, in A.M. CHIESI, I. REGALIA, M. REGINI (a cura di), «Lavoro e relazioni industriali in Europa», NIS, Roma1995.

108 Cfr. G. E

SPING-ANDERSEN, Post-industrial Class Structures: An Analytical Framework, o.c., pp. 23-24. Per un’ulteriore, affine classificazione, si rimanda anche a M.

CASTELLS, La nascita della società in rete, Università Bocconi Editore, Milano 2002, pp.246-250.

di distribuzione (attività di vendita, attività di trasporto e comunicazione etc…) e dei servizi alla persona, categoria decisamente variegata che include attività legate alla cura delle persone o alle pulizie (domestici, parrucchieri etc..), ma anche attività legate al tempo libero ed al divertimento, quali ad esempio tutti i servizi di ristorazione o per il turismo. Proprio per questa specifica caratteristica di fornire servizi finiti al privato (singoli o famiglie), gli ultimi due comparti possono essere assimilati in un’unica macro-categoria occupazionale omogenea: quella dei servizi al consumatore, o, come li ha definiti Reich, dei servizi interpersonali110. Ed è proprio questo ultimo macro-comparto ad essere oggetto più degli altri alla malattia dei costi, tipica del settore dei servizi, delineata da Baumol111. Secondo questa teoria, i servizi al consumatore, trattandosi come si è visto di attività ad alta intensità di lavoro, non possono generare alti incrementi di produttività, se non abbassando la qualità del servizio stesso; questo determina un gap ineliminabile con la produttività industriale, che tende invece ad accrescersi grazie all’utilizzo delle innovazioni tecnologiche ed organizzative. E’ proprio questa ineliminabile forbice che si genera tra la produttività crescente dell’industria e quella stagnante dei servizi a determinare l’effetto paradossale della malattia dei costi, la cui strutturale sperequazione può essere arginata solo attraverso l’intervento della regolazione pubblica o del mercato, dalla cui scelta per l’una o per l’altra opzione ne deriva un diverso trad-off nel rapporto tra disoccupazione e disuguaglianza. Comparando la situazione europea con quella statunitense, gli esiti contrapposti di questo trad-off emergono chiaramente: nei sistemi europei, dove sussiste una maggiore regolamentazione del lavoro ed il suo costo è elevato, il settore dei servizi cresce molto lentamente ed è relativamente concentrato, generando una più elevata uguaglianza a costo di una più elevata disoccupazione. Al contrario, negli Stati Uniti, dove i salari dei servizi non sono regolamentati, ma seguono l’andamento dei servizi, il terziario ha visto una ben più ampia espansione, con la

110 Cfr. R. R

EICH, The Work of Nations: Preparing Ourselves for 21st Century

Capitalism, Vintage Books, New York 1991.

111

W. J. BAUMOL, and W. G. BOWEN, Performing Arts: The Economic Dilemma, New York: The Twentieth Century Fund, 1966.

creazione di numerosi posti di lavoro nell’ambito dei servizi al consumatore, ma con una ben più elevata disuguaglianza112.

Lo sviluppo della terziarizzazione si presta insomma ad interpretazioni contrastanti, a seconda degli scenari in cui è inserita, delle scelte differenti da cui è guidata, ma anche in relazione alla sua ineliminabile pluralità e diversità interna, che la rende tanto espressione di un sistema di regolazione economica ed occupazionale innovativo, che insiste sulla conoscenza e la qualità, quanto espressione di una opposta tendenza alla de-valorizzazione e frammentazione del lavoro. Si tratta di scenari divergenti e contrastanti, ma sempre più coesistenti, che anzi rischiano di interagire in forme e modi più complessi di quelli facilmente inquadrabili nella dicotomia tra lavoratori della conoscenza e lavoratori privi di qualifica, aprendo su nuovi dilemmi, quali quello dei lavoratori poveri e della società della conoscenza.

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