dalle tipologie classiche alle nuove prospettive
4. Nuove dimensioni critiche: i sistemi di welfare tra rischio, frammentazione e vulnerabilità sociale.
4.1 Dal rischio alla vulnerabilità: un cambiamento non solo concettuale
L’emergere dell’area della vulnerabilità come dimensione sempre meno aleatoria, ma anzi sempre più tangibile e diffusa anche tra quelle che fino a pochi decenni fa venivano definite come classi sociali sicure e stabili, rappresenta la dimensione forse più critica per gli attuali sistemi di welfare, in quanto mette in crisi il modello storicamente consolidato di sistema di protezione sociale basato su una concezione del rischio ben precisa (c.d. concezione attuariale del rischio). I sistemi di welfare, quali terzo polo di quel processo di erosione che coinvolge
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E. PAVOLINI, Il Welfare alle prese con i mutamenti sociali: rischio, vulnerabilità,
contemporaneamente l’organizzazione del lavoro e le reti di solidarietà familiare297, sembrano infatti soffrire di un’eccessiva rigidità che non permette loro di confrontarsi costruttivamente con le sfide più attuali, in quanto, riprendendo l’espressione di Ferrera, ‘intrappolati’ dentro un modello non più in sintonia con il profilo dei rischi sociali dominante nella società contemporanea298. Anzi, è proprio il profilo dei rischi sociali299 ad apparire sempre più mutevole ed indefinito, perdendo la definizione tipica della società fordista ed aprendo invece ad una nuova dimensione dell’incertezza: quella appunto della vulnerabilità. Lo scivolamento da rischio a vulnerabilità è chiaramente esplicato da Rosanvallon300, il quale evidenzia come tale passaggio sia determinato dal venir meno della concezione del rischio come dimensione sociale circoscritta solo a determinate condizioni contingenti (il rischio come incidente), a favore di una concezione del rischio come dimensione fortemente individualizzata, ma al tempo stesso sempre più estesa e diffusa come condizione di ‘anormale normalità’. Più specificatamente si possono distinguere tre processi che hanno svuotato la categoria tradizionale del rischio aprendola ad una diversa connotazione sociale e soggettiva. In primo luogo, si assiste ad una tendenziale ineludibilità del rischio: le situazioni di crescente disoccupazione e precarizzazione hanno infatti messo in crisi i tradizionali assetti di protezione pubblica, incrinando nel profondo l’equilibrio che ha permesso, a partire dal secondo dopoguerra, il loro mantenimento e la loro estensione: si tratta di un processo reso ancor più complesso dal parallelo, consistente aumento di soggetti esposti a crescenti
297 Cfr. in particolare con C. R
ANCI, Le nuove disuguaglianze sociali in Italia, Il Mulino, Bologna 2002; ID., Fenomenologia della vulnerabilità sociale, in «Rassegna Italiana di Sociologia», 4/2002, pp.521-551; R. CASTEL, De l’indigence à l’exclusion, la désaffiliation.
Précarité du travail et vulnérabilité relationnelle, in J DANZELOT (a cura di), «Face à l’exclusion. Le modèle français», Paris, Esprit 1991, pp. 137-168; ID., Disuguaglianza e vulnerabilità sociale, in «Rassegna Italiana di Sociologia», 1, 38, pp.41-56. Per una trattazione più approfondita del tema si rimanda inoltre al capitolo II. di questa tesi.
298 Cfr. M. F
ERRERA, Le trappole del welfare, Il Mulino, Bologna 1997.
299 Per l’analisi della dimensione del rischio nel dibattito sociologico, Cfr. in particolare
U. BECK, La società del rischio. Verso una nuova modernità, Carocci, Roma 2000.; A. GIDDENS,
Le conseguenze della modernità. Fiducia e rischio, sicurezza e pericolo, Il Mulino, Bologna 1994
300 Cfr. P. R
momenti di fragilità nel proprio percorso di vita lavorativa. Ad aumentare ulteriormente la complessità di questo duplice processo è il massiccio coinvolgimento di fasce di popolazioni tradizionalmente definite come sicure e garantite: in altri termini, se il rischio sociale veniva considerato nella società salariale un’esperienza che riguardava solo una minoranza, oggi l’esposizione alla condizione di rischio diviene sempre più estesa e, drammaticamente, ordinaria, specialmente in relazione alla nuova articolazione del mercato del lavoro, con tutte le implicazioni che esso determina anche nelle altre sfere della vita sociale e relazionale. Il rischio tende così a perdere la sua specifica connotazione di evento minaccioso, ma solo probabile, per divenire invece una dimensione diffusa di disagio sfuggente, labile e insinuante, generando più complesse dinamiche di apparente normalità in cui però si nascondono gravi esposizioni al rischio e ad una progressiva erosione delle sicurezze acquisite.
A questo processo, e conseguentemente a questo, si salda una nuova dinamica critica nella definizione del rischio: la mancanza del radicamento
temporale del rischio, vale a dire il protrarsi sempre più diffuso di una condizione
di instabilità prolungata, difficilmente arginabile, ma protratta in un tempo indefinito, sul quale diviene più difficile agire, intervenire, risolvere. Ancora una volta, come evidenzia Ranci, la dimensione lavorativa rappresenta l’esempio forse più calzante di questa nuova fenomenologia della vulnerabilità:
«l’origine della situazione appare incerta (da quando l’instabilità lavorativa si protrae eccessivamente nel tempo? Da quando si è perduta l’autosufficienza?), così come l’evolversi della situazione si estende in un orizzonte temporale indefinito. Mancando di radicamento temporale, la cronicità corrisponde ad uno stato sospeso nel presente»301
Questa sfuggente, latente e persistente cronicità della dimensione del rischio attuale ci conduce verso un ulteriore tratto tipico della società postindustriale: l’impossibilità di classificare e definire gli eventi all’interno di una precisa categoria del rischio, ma anzi l’affermazione dell’incertezza come unico tratto che accomuna e tipizza la dimensione della vulnerabilità. Si assiste
301 C. R
insomma ad un progressivo processo di tipizzazione dell’incertezza che diviene paradossalmente l’unico elemento stabile e definito, nella sua pluralità di modi e contenuti, della condizione sociale attuale.
Tali processi, oltre a definire quella che con sempre maggiore chiarezza si può definire una fenomenologia della vulnerabilità, conducono ad un altrettanto preoccupante indebolimento delle capacità progettuali, alimentando una condizione di «sofferenza senza disagio»302 che trova le sue basi non tanto nella mancanza di risorse in senso stretto, quanto piuttosto nell’impossibilità di gestire queste risorse, sempre più frammentate e disperse, nella costruzione di un percorso di vita stabile e sicuro. Tale dimensione assume una specifica rilevanza anche per i sistemi di welfare, in quanto l’elaborazione di nuove risposte verso una domanda sociale sempre più frammentata dovrà muoversi anche in direzione di una più attenta calibratura sulla dimensione individuale e soggettiva dei programmi di protezione: in questa specifica direzione muovono, come si vedrà, le politiche attive, inserite nel più ampio disegno di una nuova gestione della vulnerabilità, come sfida condivisa tra soggetto e nuovo sistema di welfare.
Diviene allora interessante, prima di soffermarsi sull’elemento specifico dell’attivazione, cogliere almeno sinteticamente dimensioni e traiettorie di questa difficile gestione della vulnerabilità, aprendo sulle sfide e sulle nuove domande sociali di questa transizione dei sistemi di welfare.