Esclusione sociale e lavoro
4. Inclusione e lavoro: tra approcci teorici e problematiche in corso
4.1 Verso una nuova stratificazione sociale?
La dimensione ‘lavoro’, in particolare nel suo attuale svolgimento critico tra crescente flessibilità e rischio di precarizzazione sociale, conduce sempre più spesso a parlare di fine della società delle classi, di crisi ed erosione del ceto medio96, ma anche di nascita di un nuovo proletariato postindustriale. Sono tutte argomentazioni non univocamente accettate e condivise, ma che certo devono destare attenzione in quanto portatrici di una più generale riflessione critica sull’attuale ruolo della stratificazione sociale, cioè di come essa si definisca e si strutturi nelle società attuali.
Senza entrare nel merito delle diverse scuole di pensiero, che ormai tradizionalmente hanno distinto gli studi sul postindustrialismo tra ottimisti e pessimisti, si può però affermare con sempre più certezza che le ipotesi formulate da Bell, di una società postindustriale come una società fondata sulla conoscenza e caratterizzata da una progressiva riduzione delle diseguaglianze, si stanno dimostrando ormai solo una speranza utopistica97. Lo spostamento verso attività ed occupazioni centrate sulla conoscenza si sta infatti realizzando; tuttavia a questo non corrisponde una parallela diminuzione delle disparità sociali, ma anzi: come si sottolinea ripetutamente nel corso di questa analisi, proprio tali trasformazioni stanno determinando l’affermazione di nuove classi di disuguaglianze e più ampiamente nuovi spazi del rischio e della vulnerabilità, che della disuguaglianza sono una facile, quanto pericolosa anticamera.
E tra tutte queste trasformazioni cambia anche la struttura delle classi sociali ed il loro stesso ruolo, non più così rigidamente impostato, ma sempre più fluido nei suoi confini ed indefinito nei suoi contenuti, chiara espressione di quel
96
Cfr. L. CHAUVEL, Les classes moyennes à la dérive, Seuil, Paris 2006.
97 Cfr. D. B
più complesso processo di fragilizzazione e contemporanea individualizzazione della dimensione sociale che sta caratterizzando gli scenari socio-economici delle realtà postindustriali. Ma non solo la stratificazione sociale perde il suo ruolo di categoria guida nell’interpretazione dell’attuale dinamica sociale: essa diviene difficile anche da cogliere e delineare univocamente, aprendo su nuovi scenari di analisi. Esping-Andersen, nella sua analisi sulla stratificazione e la mobilità sociale nelle società postindustriali, ha sintetizzato i numerosi studi in materia in due possibili scenari della stratificazione sociale postindustriale, in relazione agli svolgimenti inerenti il mercato del lavoro ed i sistemi di produzione98. I due scenari, opposti ma accomunati da una stessa valenza pessimistica, propongono o una società senza lavoro (workless society), quale conseguenza di processi di tecnologizzazione crescenti ed implicanti la formazione di una frangia di outsiders sempre più consistente (quindi aprendo su una visione dicotomica inclusi-esclusi), o l’affermazione di una massiccia de-industrializzazione e di una parallela terziarizzazione delle attività, che conducono alla preoccupante nascita di un nuovo proletariato dei servizi. Per questo secondo scenario, il declino del fordismo e l’enfasi posta su un tipo di produzione che richiede sempre più un alto grado di flessibilità ed adattabilità e, conseguentemente, un altrettanto elevato grado di competenze da parte dei lavoratori, conduce ad un’importante perdita di occupazione per i lavoratori scarsamente qualificati99. Questo fenomeno, intersecandosi con lo spostamento dell’occupazione verso il terziario, determina un’ulteriore, preoccupante conseguenza: la crescita di occupazione non qualificata nei servizi, i cosiddetti Macjobs (lavori qualunque) e junk-jobs (lavori non qualificati)100. Tali degenerazioni del sistema occupazionale, fino a pochi decenni
98
Cfr. G. ESPING-ANDERSEN,Post-industrial Class Structures: An Analytical Framework,
in G. ID. (ed.), «Changing Classes. Stratification and mobility in Post-industrial Society», AIS ISA, Sage, London 1993, pp.9-11.
99
A questo proposito si rimanda, tra gli altri, a A. WREN, The challenge of de-
industrialisation. Divergent ideological responses to welfare state reform, in B. EBBINGAUS and P. MANOW (eds.), «Comparing Welfare Capitalism» o.c., pp.239-269.
100 Ovviamente, non tutte le occupazioni nel settore dei servizi sono occupazioni
scarsamente qualificate. Per un’analisi dell’occupazione nel settore dei servizi si rimanda però al paragrafo successivo.
fa propri del mercato del lavoro statunitense, stanno divenendo un rischio sempre più consistente anche per le realtà sociali europee, portando, secondo numerosi studiosi, alla nascita di un proletariato dei servizi. Si tratta di una tesi ampiamente dibattuta e da molti contrastata sulla base della difficoltà (ed in parte dell’inadeguatezza) di fare, oggi, un discorso centrato sulle classi, poiché nella società attuale si assisterebbe ad una minore separatezza di classe (ad una minore chiusura), in quanto la mobilità tenderebbe ad essere molto più alta e l’omogeneità dei percorsi sociali e formativi decisamente minore. In altre parole, sarebbe difficile definire contorni e caratteristiche di un nuovo proletariato postindustriale, ma anzi: la questione potrebbe giocarsi, oggi, sempre più fuori dal mercato del lavoro, cioè nella formazione di quella nuova classi di esclusi (outsiders), composta da categorie sociali dipendenti dal sistema di welfare (disoccupati e pre-pensionati) o dalle famiglie (in particolare donne e giovani) 101.
Più che all’affermazione di un nuovo proletariato, impostato sul mantenimento, seppure rivisto, della stratificazione per classi, si tenderebbe insomma ad un movimento di crescente dicotomizzazione tra inclusi ed esclusi. Questa ipotesi, che purtroppo per molti versi sembra trovare fin troppe conferme negli svolgimenti socio-economici europei contemporanei, si presta però a due osservazioni critiche: in primo luogo, infatti, se è vero che ci stiamo allontanando dall’identificazione della società come una struttura di classe tradizionalmente intesa, è altrettanto vero che questo cambiamento non coincide con uno spostamento del problema fuori dalla dimensione ‘mercato del lavoro’; al contrario, le dinamiche più attuali di precarizzazione dell’occupazione stanno riportando il problema dell’esclusione ad una dimensione strettamente connessa al lavoro, per cui la frangia degli outsiders si sta drammaticamente ampliando, coinvolgendo tanto le categorie tradizionalmente più vulnerabili (donne e anziani), quanto i lavoratori stessi.
101 G. E
SPING-ANDERSEN, Un nuovo «proletariato dei servizi»?, in M. PACI (a cura di), «Le dimensioni della disuguaglianza», Rapporto della Fondazione Cespe sulla disuguaglianza sociale in Italia, Il Mulino, Bologna 1993, pp. 55-75: 63.
Secondariamente, inquadrare la questione della nuova stratificazione sociale nella dialettica inclusione-esclusione non deve tradursi in un restringimento dell’analisi ai soli due poli contrastanti, ma deve saper guardare anche agli scenari, alle dinamiche ed alle dimensioni critiche (prime tra tutte la vulnerabilità) che definiscono il continuum lungo i quali inclusione ed esclusione si collocano solo come esiti opposti di uno stesso, più complesso processo di transizione sociale102. In questa prospettiva, alla polarizzazione occupazionale delineata dalle dinamiche di frammentazione del mercato del lavoro103, si affianca, sovrapponendosi, una segmentazione qualitativa del lavoro, che appare particolarmente evidente nell’analisi delle terziarizzazione occupazionale104.