Dalla disuguaglianza all’esclusione: la riflessione in Europa
3. Le trame dell’esclusione tra povertà e disuguaglianza sociale
3.1 Il rapporto esclusione/disuguaglianza/ povertà
Il dibattito sulla povertà ha trovato un rinnovato vigore negli ultimi decenni con il diffondersi di quelle che sempre più comunemente vengono definite le nuove povertà, vale a dire le forme di impoverimento generate in prima istanza dai meccanismi di precarizzazione del mercato del lavoro e che hanno visto (e stanno vedendo) come loro principale conseguenza il venir meno di un nucleo sociale stabile e pienamente integrato all’interno dei sistemi sociali contemporanei.
In questo senso l’esclusione diviene l’elemento chiave attraverso il quale interpretare la nuova povertà, proprio perché si definisce come processo all’interno del quale si realizzano percorsi dagli esiti diversi, non definibili a priori e nel quale il fattore precarietà assume al tempo stesso una connotazione socio- economica e psicologico-identitaria. Tuttavia, è proprio in questa prospettiva che possiamo contemporaneamente individuare gli elementi che maggiormente differenziano il concetto di esclusione da quello di povertà: come sottolineato nell’ambito di uno studio europeo sulle politiche di coesione sociale58, la povertà, pur potendo includere al suo interno alcuni aspetti dell’esclusione sociale, si riferisce principalmente alla dimensione materiale e finanziaria della
58
COUNCIL OF EUROPE, Promoting the policy debate on social cohesion from a comparative perspective, Trends in social cohesion n.1, December 2001
deprivazione, là dove l’esclusione si focalizza invece sugli elementi simbolici e relazionali, connessi a processi di deprivazione economica. In particolare, il suddetto studio evidenzia quattro coppie dicotomiche che definiscono i connotati rispettivamente della povertà e dell’esclusione sociale59:
materiale /immateriale
statico /dinamico
fenomeno individuale /fenomeno collettivo
cause individuali / cause sociali
In effetti, se le prime tre coppie di opposti rimandano a dimensioni rispettivamente tipiche dell’uno e dell'altro concetto, la contrapposizione tra povertà come fenomeno generato da cause individuali e l’esclusione come fenomeno generato esclusivamente da cause sociali risponde forse più ad una logica idealtipica che non alla pratica dell’esclusione: se questa, infatti, è sicuramente generata in prima istanza da processi di trasformazione sociale, è pur vero tuttavia che al suo interno trovano spazio anche percorsi di disagio individuale che non devono essere sottovalutati. Ma al di là della comparazione tra similarità e differenze nei due concetti, qual è la relazione che lega la povertà e l’esclusione? A tale proposito risulta particolarmente interessante l’interpretazione fornita, ancora una volta, da Paugam, il quale per analizzare il rapporto tra esclusione e povertà ricorre al metodo classico dell’elaborazione idealtipica, individuando tre forme tipiche di povertà, che muovono da una forma integrata di povertà fino ad una sua connotazione di progressiva marginalizzazione e dequalificazione sociale. Attraverso questa distinzione in tipi ideali Paugam cerca di interpretare il rapporto tra esclusione e povertà, attribuendo ad ognuno di questi due concetti uno specifico ruolo nelle tre diverse tipologie di povertà e definendo così delle categorie analitiche ben applicabili alle società europee, quali strumenti funzionali alla comparazione tra queste.
La prima tipologia, quella della povertà integrata, «rinvia soprattutto alla questione sociale della povertà in senso tradizionale, piuttosto che a quello dell’esclusione»60. Si tratta infatti di una forma di povertà legata principalmente al ritardo nello sviluppo economico e concerne quindi in particolar modo le disuguaglianze relative al territorio, alla regione ed al sistema sociale di riferimento nel suo insieme. Viene perciò interpretata come una forma tipica delle società tradizionali, in cui i poveri non vengono inquadrati come underclass, secondo la concezione anglosassone del termine, e proprio per questo non subiscono un processo di forte stigmatizzazione sociale.
La forma idealtipica della povertà marginale, invece, rimanda tanto al dibattito relativo alla povertà tradizionale che a quello dell’esclusione. In questa tipologia i poveri e gli esclusi rappresentano una piccola frangia della popolazione, interpretata come gruppo periferico e residuale di soggetti disadattati, incapaci di (re)inserirsi funzionalmente nel sistema socio-economico ed in quanto tali oggetto di un pesante processo di stigmatizzazione sociale. Proprio per queste caratteristiche, tale forma di rapporto sociale rischia di originare ed alimentare pericolosi processi involutivi in particolar modo nelle società industriali avanzate.
Con la povertà dequalificante, invece, il dibattito si concentra specificatamente sulla questione sociale dell’esclusione piuttosto che sulla povertà, riferendosi in particolare ai soggetti espulsi dalla sfera produttiva e connettendosi quindi direttamente ai processi di precarizzazione del mercato del lavoro. In questo senso la povertà dequalificante non descrive uno stato di povertà stabilizzato, quanto piuttosto un processo, all’interno del quale trovano spazio
deficit di tipo materiale e simbolico, in una dinamica che si articola secondo tre
livelli progressivi: fragilità del sistema lavorativo, dipendenza dall’assistenza pubblica conseguente alla fuoriuscita dal mercato del lavoro e, infine, rottura dei legami sociali, quale esito di un progressivo assommarsi di svantaggi derivanti
60 S. P
dalla disoccupazione e dalla dipendenza dal sistema pubblico di sostegno ed assistenza. Differentemente dalla povertà marginale, quest’ultima non coinvolge frange residuali di popolazione, bensì la società nel suo complesso (in particolare quelle caratterizzate da alti livelli di disoccupazione), richiamando a quella che Castel definisce la crisi della società salariale.
Nell’analisi di Paugam i tre tipi ideali appena descritti trovano una loro precisa collocazione nelle diverse realtà europee, delineando quasi una sorta di percorso che attraversa e caratterizza le differenti fasi di sviluppo delle società industriali: la povertà integrata si caratterizzerebbe infatti, secondo l’autore, come fenomeno tipico delle società tradizionali, in cui la solidarietà e le forme di reciprocità sostituiscono i sistemi di protezione sociale; la povertà marginale si collocherebbe invece all’interno delle società industriali avanzate, dove i marginali sono tutelati da sistemi di protezione sociale, mentre la povertà dequalificante rappresenterebbe la forma di disagio tipica della società attuale, generatrice di nuovi svantaggi e nuove disuguaglianze. Tuttavia, come lo stesso autore sottolinea, non si tratta di un processo così semplicemente schematizzabile su di un asse temporale-evolutivo, ma anzi le tre forme idealtipiche persistono anche nelle società europee contemporanee, alternandosi e combinandosi nelle diverse aree e regioni, evidenziando come non esista un’evoluzione lineare nell’elaborazione del rapporto povertà/esclusione, ma anzi diventi necessario un’interpretazione integrata, in cui le diverse forme della povertà e dell’esclusione si sovrappongono costantemente, spingendo verso nuovi approcci interpretativi attraverso i quali confrontarci con il cambiamento sociale.