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La flexicurity tra continuità ed innovazione.

Per una revisione critica del modello danese 1 Breve premessa

4. La flexicurity tra continuità ed innovazione.

Analizzando quanto detto fino ad ora, potrebbe essere avanzata la critica di una scarsa portata innovativa di questo modello della ‘solidairetà competitiva’. Nella sua forma storica, infatti, il sistema danese si è sempre caratterizzato, come si è visto, per un’elevata flessibilità del lavoro bilanciata da alti livelli di sicurezza sociale come contropartita ad una molto debole stabilità occupazionale.

In che cosa consiste, allora, il contributo particolarmente innovativo che ha conferito tanto successo alla flexicurity? Sicuramente la risposta va ricercata nelle politiche di attivazione, inseritesi come terzo polo nella dialettica tra mercato del lavoro e sistema di welfare per dar vita ad una nuova articolazione integrata e fortemente dinamica tra sistema produttivo e sistema sociale. Il ‘triangolo d’oro’, così come viene chiamato questo modello tripartito attraverso il quale si realizza concretamente la flexicurity (v. schema seguente), si basa infatti su tre cardini che assumono contemporaneamente una valenza costitutiva del modello ed integrativa delle altre sue componenti: il primo elemento è rappresentato da quella grande mobilità del lavoro che caratterizza la Danimarca come uno dei paesi europei a più bassa protezione del posto di lavoro (all’ultimo posto tra gli stessi paesi nordici) ed in questo molto vicina alle realtà anglosassoni e nordamericane. Al tempo stesso, tuttavia, i lavoratori danesi sono quelli che avvertono un grado di sicurezza della propria condizione lavorativa tra le più alte in Europa396: quello che a prima vista può sembrare un paradosso, si spiega facilmente con l’elevato livello di protezione contro la disoccupazione (graficamente espresso attraverso le

396

S.K. ANDERSEN, M. MAILAND, The Danish flexicurity model, University of Copenhagen, 2005

frecce bidirezionali che collegano welfare397 e flessibilità nello schema del

triangolo d’oro) che garantisce il mantenimento di standards di vita dignitosi anche nei frequenti periodi di disoccupazione tra un impiego e l’altro: i sistemi di indennità contro la disoccupazione danesi, infatti, coprono fino al 70% dello stipendio percepito dal lavoratore, arrivando fino al 90% per i lavoratori collocati nelle fasce di reddito più basse.

Fig. 1 “Il triangolo d’oro” della flexicurity

Il cambiamento apportato a questo livello dalla riforma del lavoro del 1994 è tuttavia consistente: il periodo di disoccupazione coperto da indennità, infatti, prima illimitato, è stato progressivamente ridotto a quattro anni,398 un irrigidimento ritenuto necessario per disincentivare l’adattamento passivo ad uno

397 Il sistema di welfare rappresenta infatti, come evidenziato nello schema, il secondo

elemento di questo modello tripolare.

398 La riduzione è stata progressiva: nel 1994, anno di avvio della riforma, l’indennità di

disoccupazione era stata ridotta a sette anni, ulteriormente ridotti a cinque nel 1996 ed infine a 4 nel 1999. (Fonte: Danish Ministry of Employment, 2005)

WELFARE MdL

stato di disoccupazione di lunga durata e sviluppare una maggiore attivazione nella ricerca di un nuovo posto di lavoro.

Sulla base di questa impostazione, le politiche di attivazione (terzo elemento) definiscono un contributo nuovo quanto centrale nella riforma del mercato del lavoro danese, spingendo verso una duplice articolazione (temporale e qualitativa) del sistema di benefit: nel primo periodo, definito passivo e con una durata di un anno, il disoccupato può cercare autonomamente lavoro, ma possiede anche i requisiti di eleggibilità per dodici mesi di attivazione. Scaduto questo termine, si entra in un secondo periodo di attivazione, della durata di tre anni, caratterizzato da un diritto-dovere di accedere ai programmi di formazione e/o di accettare le proposte lavorative offerte dai Sistemi Pubblici per l’Occupazione. Tali servizi sono organizzati sulla base di un forte decentramento istituzionale che, come si è accennato, ha rappresentato lo spirito della riforma del welfare degli anni Novanta, spingendo così verso una gestione il più possibile locale e compartecipata tra i diversi livelli istituzionali, le forze sindacali e le parti imprenditoriali. Il sistema di attivazione funziona infatti proprio sulla base di questo alto livello di decentralizzazione, in cui i centri pubblici per l’impiego rappresentano dei veri e propri luoghi di incontro e confronto tra domanda-offerta, vedendo la rappresentanza in posizione paritaria degli enti locali, dei sindacati e dell’industria.399 Il principio alla base del buon funzionamento dei centri è quello dell’individualizzazione, ovvero si tende a garantire, attraverso un’attenta costruzione di job plans altamente personalizzati, percorsi di formazione e reinserimento lavorativo il più possibile in sintonia con le possibilità e le esigenze dei disoccupati.

Si tratta di un percorso che si inserisce pienamente nella prospettiva promossa dalle strategie occupazionali europee, che fin dalla metà degli anni Novanta hanno spinto verso una valorizzazione del ruolo dei centri pubblici per

399 L’organo direttivo di ogni centro per l’impiego è costituito da sette rappresentanti delle

diverse parti istituzionali e sociali e costituisce un vero e proprio organo decisionale, consultivo e propositivo, in cui si elaborano attività di monitoraggio, valutazione e formazione.

l’impiego quale risorsa centrale nell’articolazione di una dinamica maggiormente partecipata e condivisa tra le diverse parti sociali, attribuendo uno specifico ruolo alle istanze locali400. Nell’articolazione danese, progressivamente (cioè con l’avvicinarsi della scadenza dei quattro anni di indennità), diminuiscono per il disoccupato le possibilità di rifiutare le offerte lavorative proposte: dopo questo termine, infatti, coloro che non sono riusciti a reinserirsi nel mercato del lavoro escono dal sistema dei sussidi di disoccupazione ed entrano in quello, illimitato, ma con tassi di sostituzione del reddito più bassi, dei sussidi sociali. Anche in questo sistema permane il diritto-dovere di ricevere proposte di formazione e/o attivazione; tuttavia, secondo alcune voci critiche, tale sistema condurrebbe a forme crescenti di esclusione e povertà, in quanto vincolerebbe sempre di più un diritto socialmente garantito nella tradizione welfaristica danese, alla partecipazione al mercato del lavoro .

La flexicurity come modello di relazioni tra competitività e coesione sociale tende perciò ad assumere dimensioni più complesse di quelle sintetizzate nello slogan di ‘flessibilità più sicurezza’: rispetto al tradizionale assetto di

welfare scandinavo, infatti, si mantiene quella garanzia di protezione in caso di

perdita del lavoro che, in un sistema con ampia libertà di licenziamento quale è quello danese, rappresenta un tratto necessario quanto fondante la preservazione del consenso sociale. Differentemente dal modello di welfare consolidatosi a partire dal secondo dopo guerra, invece, la flexicurity introduce questo crescente vincolo alla partecipazione attiva al mercato del lavoro quale prerequisito per accedere al sistema di benefici elargiti dallo Stato. Il nucleo centrale di questa dialettica tra flessibilità e sicurezza assume perciò in Danimarca una connotazione specifica: non è tanto il rapporto in sé tra queste due dimensioni apparentemente contrapposte a rappresentare un argomento di discussione (l’esistenza della flessibilità, come si è visto, è infatti un elemento socio-economico ormai

400 In questa direzione si è mossa in particolare la più recente riforma del mercato del

lavoro, la cosiddetta “Structural Reform” del 2006-2007, la cui implementazione ha visto un ulteriore rafforzamento delle strutture municipali e dei governi locali, finalizzata ad un maggiore coordinamento e ad una più ampia cooperazione tra le diverse parti sociali.

storicamente acquisito nella cultura danese); è piuttosto la capacità di mantenere questo binomio virtuoso, garantendo l’equilibrio tra efficienza ed eguaglianza, a costituire, come si analizzerà nei paragrafi seguenti, la sfida prioritaria nel contesto della riforma in atto.

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