dalle tipologie classiche alle nuove prospettive
2. Le tipologie classiche
E’ possibile individuare il primo tentativo di classificazione dei sistemi di
welfare nel lavoro di Titmuss, pur mettendo in luce però che tale classificazione è
ancora relativa ad una distinzione esclusivamente dei modi e delle funzioni assunte dalle politiche sociali, non ai sistemi di welfare256. La sua classificazione
254
Cfr. G. ESPING-ANDERSEN, The Three World of Welfare Capitalism, Cambridge, Polity press 1990, in particolare pp. 18 e 30.
255 Cfr. G. E
SPING-ANDERSEN, I fondamenti sociali delle economie postindustriali, o.c., pp.65 e 67-69.
256
Politiche sociali e welfare non sono infatti da considerare come due sinonimi, rischio in cui spesso si incorre. La distinzione più chiara in materia è effettuata dallo stesso Esping- Andersen, al quale si rimanda (v. supra per definizione di welfare), che vede in questa distinzione uno dei pre-requisiti fondamentali per un’adeguata analisi del welfare. In questa sede ci si limita a ricordare che con l’espressione ‘politiche sociali’ si fa riferimento ad un concetto sicuramente non univoco, che anzi si articola differentemente in relazione ai diversi contesti, sia storici che socio- culturali, definendo l’insieme degli interventi pubblici finalizzati a contenere gli effetti negativi della distribuzione diseguale delle risorse, intese sia in senso materiale sia come opportunità. In questa prospettiva risulta chiarificatrice, sebbene storicamente datata, la definizione fornita da Marshall, per il quale la «politica sociale non è un termine tecnico avente significato esatto
si articola in tre modelli: il modello residuale, in cui lo stato si limita ad interventi minimi ed a spot, che si attivano solo quando falliscono gli ‘strumenti’ tradizionalmente posti a rispondere ai bisogni della collettività: mercato e famiglia; il modello del rendimento industriale remunerativo, che elargisce protezione sociale in relazione ai rendimenti lavorativi e che proprio per questo Naldini definisce anche «modello occupazionale»257; ed infine il modello istituzionale redistributivo, caratterizzato da programmi di sostegno e protezione universale quale fondamento del sistema di welfare e che più si avvicina ad un’idea di cittadinanza sociale258.
Ispirandosi alla tripartizione di Titmuss, Esping- Andersen propone l’ormai classica e sicuramente la più fruttuosa tra le costruzioni tipologiche della
welfare analisy: la distinzione tra i tre mondi del welfare, riconducibile ai tre
modelli liberale, socialdemocratico e conservatore. I tre modelli sono definiti dall’autore anche come ‘regimi’, concetto con il quale si vuole sottolineare la stretta interconnessione tra le varie caratteristiche organizzative degli assetti di
welfare259, che non sono dei meri ed eterogenei insiemi di programmi sociali disgiunti ma anzi sono sistematicamente interrelati260.
[…]con tale termine si fa riferimento alla politica dei governi in relazione alle azioni che hanno un impatto diretto sul benessere dei cittadini, fornendo ad essi servizi e prestazioni monetarie. Il nucleo centrale della politica sociale è costituito dalla previdenza, dalla sanità, dall’assistenza e dalla politica abitativa» (T. H. MARSHALL, cit. in R. TITMUSS, Social Policy, Allen e Unwin, London 1974, p. 30). Il concetto di welfare state risulta invece di più difficile definizione, rimandando ad una concettualizzazione relativamente recente, essendo questo un concetto che si sviluppa nelle sue forme embrionali solo a partire dalla metà del XIX secolo, in relazione agli sviluppi ed ai conseguenti problemi connessi al processo di modernizzazione, come tentativo da parte dei governi di rispondere alle crescenti domande dei cittadini di maggior sicurezza e minor disuguaglianza (Cfr. in particolare P. FLORA, A. HEIDENHEIMER (eds.), The Development of
Welfare State in Europe and America, New Brunswick Transaction Press, New Brunswick, 1981,
p.5; M. NALDINI, o.c., pp.20-21)
257
M.NALDINI, o.c., p. 44
258 Cfr. capitolo 5 259 Cfr. G. E
SPING-ANDERSEN, The Three World of Welfare Capitalism, o.c.
260 Cfr. B. E
BBINGAUS and P. MANOW, Introduction. Studying varieties of welfare
capitalism, in ID., «Comparing Welfare Capitalism. Social policy and political economy in Europe, Japan and the USA», Routledge, p. 8.
Il regime liberale, tipico dei sistemi anglosassone e statunitense, è caratterizzato da programmi di sostegno means-tested, e, nella sua forma più attuale
«riflett[e] l’impegno politico a ridurre al minimo i compiti dello stato, a individualizzare i rischi ed a promuovere le soluzioni di mercato. […] Esso è innanzitutto residuale, nel senso che le garanzie sociali sono in genere limitate ai soli individui ad «alto rischio»[…] Ma la politica liberale può, in secondo luogo, essere definita residuale anche in considerazione dei rischi riconosciuti come «sociali» […] Ciò che, in terzo luogo, caratterizza il modello liberale è la promozione del mercato»261.
Le caratteristiche peculiare di questo modello -la sua residualità e la spiccata promozione del mercato- implicano una pericolosa conseguenza sociale: la creazione e/o il rafforzamento dei dualismi sociali tra soggetti a basso ed alto rischio, per cui i primi devono riuscire a reagire al mercato con le proprie capacità, mentre i secondi divengono facilmente dipendenti dal welfare, con il rischio di aprire pericolosi ed involtivi circuiti di passività. All’estremo oppostosi colloca il regime socialdemocratico, tipico dei paesi scandinavi, definito anche universalista proprio perché tendente a garantire la più ampia protezione possibile dai rischi sociali, grazie a sussidi generosi e promozione dell’uguaglianza262. Il regime conservatore, infine, definito così non in base ad una connotazione valoriale negativa, ma semplicemente in maniera funzionale a «identificare l’orientamento politico che ha guidato la [sua] costruzione»263, si identifica in relazione al grado in cui le assicurazioni sociali si differenziano in distinti, specifici programmi basati sullo status e sulla condizione occupazionale.264
Riprendendo questa tripartizione, Ferrera formula invece una tipologia centrata su quattro modelli, aggiungendo ai suddetti modelli riferiti
261 G. E
SPING-ANDERSEN, I fondamenti sociali delle economie postindustriali, o.c., pp.129-32.
262
Piuttosto che tollerare i dualismi, tipici nel modello residuale, tra stato e mercato, tra classe lavoratrice e classe media, i modelli di matrice socialdemocratica propongono infatti un welfare
state che promuove i più alti livelli di uguaglianza a livello sostanziale e non solo nella garanzia
dei bisogni minimi (G. ESPING-ANDERSEN, The Three World of Welfare Capitalism, o.c., p. 27)
263 G. E
SPING-ANDERSEN, I fondamenti sociali delle economie postindustriali, o.c., p. 140.
264 Cfr. G. E
rispettivamente ai paesi anglosassoni, scandinavi e continentali, una specifica concettualizzazione per i paesi mediterranei265, da separare secondo l’autore dal
welfare state conservatore perché caratterizzati da una configurazione
istituzionale sui generis rispetto a quella di impianto bismarkiano dell’area continentale.266 Tale configurazione si caratterizza principalmente per un più radicato e consolidato ruolo della famiglia quale fondamentale rete di solidarietà sociale, complementare o compensativa dei servizi di welfare, quando non addirittura sostitutiva ad essi, specialmente nelle condizioni di maggiore rischio e vulnerabilità (disoccupazione di un membro della famiglia, bisogni di cura per membri anziani o bambini, presenza di handicap etc…). Questo modello assume purtroppo un’ulteriore, specifica caratteristica, distinguendosi in negativo per un’accentuata tendenza a gestire in maniera clientelare le pratiche distributive, con evidenti ricadute controproducenti e degenerative del sistema di welfare stesso267. Oltre alla distinzione tra le ‘quattro Europe sociali,’ Ferrera individua anche un ulteriore asse di definizione tipologica dei sistemi di welfare, in relazione al modello di solidarietà, ovvero di copertura sociale, prevalente. In questo senso possiamo distinguere due modelli puri, utili come costrutti idelatipci: quello occupazionale, basato sulle performances lavorative, e quello universalista, basato sul principio di cittadinanza. La valenza ideale, con esplicita funziona classificatoria, di tali modelli è importante nella spiegazione dello sviluppo e dei
265 A tale proposito cfr. anche F. G. C
ASTLES, Welfare States development in Southern Europe, in «West European Politics», 1995, 18(2), pp.291-313; F. G. CASTLES and D. MITCHELL, Worlds of
welfare and families of nations, in F. G. CASTLES (ed.) «Families of Nations: Patterns of Public Policy in Western Democracies», Aldershot, Dartmouth, 1993, pp. 93-128.
266 Cfr. M. F
ERRERA, The “Southern Model” of welfare in Social Europe, in «Journal of European Social Policy», 1996, 6(1), pp.17-37; M. FERRERA, The Four ‘Social Europe’: Between
Universalism and Selectivity, in M. RHODES and Y. MÉNY (eds.), «The Future of European Welfare. A New Social Contract?», MacMillan Press, Great Britain, 1998 pp. 79-96: 86-7.
267 Tale impostazione non è condivisa da Esping Andersen, per il quale la degenerazione e
l’uso perverso dei sistemi di welfare e della burocrazia pubblica, pur potendo definire il carattere peculiare di un sistema pubblico, difficilmente può identificare un regime di welfare (Cfr. G. ESPING-ANDERSEN, I fondamenti sociali delle economie postindustriali, o.c., p.154-5.)
diversi percorsi intrapresi dai sistemi di welfare,268 in particolare a partire dal secondo dopo-guerra.
Nella sua analisi sui modelli di welfare in Europa, anche la classificazione sviluppata da Mingione si inserisce nella prospettiva di una revisione dei tre mondi del capitalismo, con una peculiare focalizzazione sul rapporto tra tipologia di welfare e struttura familiare269. Tale revisione conduce all’individuazione di sei diversi modelli di sistemi di integrazione sociale: due puri -quello danese e quello inglese, riconducibili rispettivamente al modello scandinavo ed al modello liberale- e quattro derivati da quello tedesco, le cui varianti si definiscono proprio in relazione al rapporto tra intervento dello stato e grado di gestione innovativa della famiglia (innovative family-business).270
Una volta inquadrate, seppur schematicamente, le principali, o quanto meno più utilizzate, tipologie elaborate per l’analisi del welfare, diviene ora interessante focalizzarci su una specifica chiave di lettura ed interpretazione, per cogliere gli snodi più controversi che aprono ad una riflessione critica sulle prospettive più attuali ed anche future dei sistemi di welfare, nelle loro implicazioni ed articolazioni che spaziano su numerose (e sempre più centrali) questioni aperte della riflessione sociologica contemporanea.
3. Per una revisione critica dei regimi di Esping-Anderson: dai Three worlds