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dalle tipologie classiche alle nuove prospettive

3. Per una revisione critica dei regimi di Esping-Anderson: dai Three worlds all’elaborazione attuale.

3.1 Stratificazione e rischi social

Si può affermare che tutta l’elaborazione teorica dell’autore ruoti attorno ai due concetti di stratificazione e cittadinanza sociale, in una prospettiva che, discostando in parte con l’impostazione marshalliana che fa della cittadinanza sociale il nucleo centrale del welfare, interpreta quest’ultima come una componente che deve ampliarsi e rafforzarsi, coinvolgendo anche il concetto di stratificazione in una spiegazione del welfare più dinamica, articolata nelle tre dimensioni di stato, famiglia e mercato271 e centrata su un’analisi dei diritti sociali in relazione alla loro più o meno ampia capacità di demercificazione (de-

commodification), vale a dire alla loro capacità di sottrarre il cittadino lavoratore

dalla dipendenza dal mercato272.

E’ proprio sulla base di queste coordinate che viene impostata la tipologia tripartita dei modelli sopra esplicati, in base alla quale il modello scandinavo si dimostrerebbe quello maggiormente capace di de-mercificare i cittadini, mentre, al polo opposto, il grado di demercificazione realizzato dal modello liberale risulterebbe solamente minimo, generando come si è visto pericolosi ed involutivi meccanismi di dipendenza dal sistema di welfare per i gruppi sociali considerati ad alto rischio.

In questa prospettiva, il sistema di welfare stesso, nelle sue differenti modalità di articolazione delle politiche sociali, è da interpretarsi secondo Esping-Andersen non come un semplice meccanismo che interviene sulla diseguaglianza per

271 G. E

SPING-ANDERSEN, The Three World of Welfare Capitalism, o.c., p.21.

272 «Inspired by the contributions of Karl Polany, we choose to view social rights in terms

of their capacity for ‘de-commodification’. The outstanding criterion for social rights must be the degree to which they permit people to make their living standards independent of pure markets forces. It is in this sense that social rights diminish citizens’ status as ‘commodities’» (Ivi, p.3)

correggerne gli effetti, ma come un sistema di stratificazione, in quanto forza attiva nel definire e dirigere le relazioni sociali273

Tale impostazione del rapporto tra welfare e stratificazione sociale mantiene la sua centralità in tutta l’elaborazione di Esping-Andersen, ma è sicuramente nella fase di revisione critica della sua impostazione sui tre modelli di capitalismo del benessere che essa trova maggior spazio di riflessione.

Nell’opera del 1990, infatti, la propensione ad un’analisi dinamica ed articolata nelle tre diverse dimensioni del welfare -stato, famiglia e mercato- resta in parte nascosta dalla preponderante attenzione riservata all’analisi dei sistemi sociali nella loro interazione tra stato e mercato, con una particolare focalizzazione sulle dinamiche inerenti il sistema occupazionale ed i meccanismi di protezione ad esso connessi; un’impostazione sicuramente utile ai fini dell’analisi, ma che ha scatenato forti critiche274 in relazione alla sottovalutazione del ruolo della famiglia nella produzione e nella gestione del welfare.

E’ principalmente proprio da questa accusa di rigidità e mancanza di una visione prospettica, onnicomprensiva di tutti gli elementi costitutivi del welfare, che l’autore muove una revisione critica dei suoi contenuti, inaugurando una riflessione più attenta alle dimensioni sociali e relazionali: si assiste, insomma, ad un leggero spostamento dell’asse di riflessione analitica, che da un approccio più vicino all’impostazione istituzionalista muove verso un approccio centrato sulla dimensione socio-relazionale, piuttosto che sulle categorie sociali.

In questa prospettiva assumono una più spiccata centralità nell’analisi questioni quali la disuguaglianza, la promozione dell’inclusione in un contesto di mutamento della struttura occupazionale e demografica ed una specifica attenzione alle politiche per le famiglie, nel quadro di una necessaria ridefinizione dei rischi sociali -e in particolare di come questi vengono socializzati-, quale

273 Ivi, p. 23. 274

In particolare, la critica maggiore riguarda la sottovalutazione del ruolo della donna e il non aver conferito la giusta rilevanza alle differenze di genere.

primo passo per una più generale reimpostazione dei sistemi di welfare. L’autore sottolinea infatti come

«il postindustrialismo [stia] modificando la struttura dei rischi in modo profondo –non solo infatti stanno emergendo nuove disuguaglianze, ma mutano inoltre i mercati del lavoro e la struttura demografica. […]Per comprendere l’attuale crisi del welfare state dobbiamo dunque partire da a) una diagnosi della mutata struttura dei rischi sociali e della loro nuova gravità, e b) un esame generale del modo in cui questi o altri rischi vengono socializzati e la protezione dai loro effetti distribuita tra lo stato, il mercato, la famiglia.»275

Se, infatti, lo stato sociale ha funzionato nei decenni successivi al secondo dopoguerra promuovendo una maggiore uguaglianza, non tanto attraverso la piena occupazione e la crescita della ricchezza (secondo l’autore dipendenti, più che dal sistema di welfare stesso, dalla particolare congiuntura di un mercato del lavoro favorevole e di una situazione demografica fortunata), ma attraverso un consistente consolidamento dei diritti di cittadinanza sociale- quindi garantendo una buona gestione dei rischi sociali-, allora è proprio da qui che bisogna ripartire per arginare ed attenuare i nuovi rischi sociali276.

Ma quali sono questi rischi sociali? E perché, prima ancora, alcuni rischi vengano considerati sociali? La risposta a questa seconda questione va ricercata sicuramente in due fattori concomitanti: da un lato, la società riconosce come rischio sociale tutte quelle condizioni che, anche se vissute a livello del singolo individuo (o gruppo di individui), si ripercuotono a livello collettivo, determinando conseguenze negative su una sfera ben più ampia della cittadinanza. Dall’altro lato, è la società stessa che, nella sua crescente complessità, aumenta progressivamente il «numero dei rischi sulle cui cause gli individui non sono in grado di esercitare alcun controllo»277, basti pensare, ancora una volta, alle trasformazioni che coinvolgono il mercato del lavoro (e conseguentemente anche

275 Cfr.E

SPING-ANDERSEN, I fondamenti sociali delle economie postindustriali, o.c., pp.62-63.

276

Ivi, p. 60.

la struttura familiare) con lo sviluppo della globalizzazione e con la crescente tecnologizzazione278.

I rischi sociali (per rispondere così alla prima domanda) si caratterizzano quindi per un’intrinseca dinamicità, mutando in relazione ai cambiamenti del contesto socio-economico nel quale si inseriscono. Se tradizionalmente, infatti, si poteva effettuare una distinzione tra rischi di classe, rischi connessi al ciclo di

vita e rischi intergenerazionali, oggi tutto diviene più complesso, sfumato e

sfuggente, tra nuove fratture sociali ed affermazione di inaspettate chiusure, in un contesto in cui le tre categorie tradizionali di rischi sociali non scompaiano, ma piuttosto si articolano in nuove forme, generando ulteriori, nuove tipologie di rischi.279 Se, per esempio, nel tipico modello familiare basato sul male

breadwinner l’azione di copertura dello stato sociale riguardava principalmente i

due estremi “inattivi” – infanzia e anzianità – e, assumendo come pre-requisito la stabilità della famiglia, concentrava i sistemi di protezione sulla figura del capofamiglia lavoratore (protezione dell’impiego), oggi i rischi connessi al ciclo di vita divengono molto più sfaccettati, diversificati e plurali, poiché, specialmente in conseguenza dell’elevata flessibilizzazione del mercato del lavoro, i soggetti più vulnerabili divengono proprio i giovani e gli adulti in età lavorativa. Al tempo stesso, le categorie tipiche del rischio tradizionalmente intese, anzianità ed infanzia, divengono oggetto di una più attuale attenzione problematica, che pone nuove domande in termini di conciliazione tra politiche del lavoro e policies family-friendly. Sul fronte dell’infanzia, in particolare, il problema principale si pone in termini di una nuova povertà emergente che coinvolge specialmente i paesi in transizione e di nuova adesione in Europa, ma anche di una più ampia e trasversale a tutti i paesi europei, scarsa qualità nella cura dell’infanzia, aprendo alla necessità di un nuovo welfare centrato proprio sulle esigenze dell’infanzia. Ma anche i rischi intergenerazionali richiedono strategie di intervento sempre più articolate, poiché è orami evidente che non

278

Cfr. ivi, pp.165-70.

basta più il solo aumento dell’istruzione come requisito per progredire sulla scala dei diversi status sociali e «il fondamento della loro nuova strategia è la scoperta delle molteplicità delle fonti di svantaggio», così ampie e variegate che nessun gruppo sociale può considerarsi estraneo ad una possibile situazione di vulnerabilità.280

Il bisogno di una riformulazione degli attuali sistemi di welfare si svela insomma in tutta la sua complessità, mettendo in dubbio anche l’esaustività della tripartizione tra modello liberale, conservatore e universalista nella spiegazione della variegata geografia sociale contemporanea.

3.2 La complessità della geografia sociale contemporanea: solo tre modelli di

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