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L’ETHOS SLANCIO ETICO TRASCENDENTALE

PERSONA E NATURA

L’ETHOS DEL TRASCENDIMENTO CONDIZIONE TRASCENDENTALE DELLA NATURA UMANA

2.1 L’ETHOS SLANCIO ETICO TRASCENDENTALE

Abbiamo finora visto come nell’uomo, rispetto alla bestia, «la vitalità ha un senso già pienamente umano e culturale (e non più, come la precedente, meramente animale)»182 e, pertanto, la condizione umana, quale presenza, è peculiarmente «comportamento culturale realisticamente efficace, distacco dalla condizione naturale mediante l’opera dotata di valore umano».183 Tenuto conto di ciò, è da escludere che il principio per cui la natura animale nell’uomo si faccia presenza possa ridursi ad uno “slancio vitale” o biologico, ad un élan vital; e questo perché, scrive de Martino, questo principio semmai “anticipa la vita” e «chiama sempre di nuovo ad andar oltre la immediatezza del vivere»184. E, per conseguenza, si rivela «tanto poco riducibile al dato biologico, ché il condizionamento biologico si fa percepire dentro, non fuori e prima, il suo dispiegarsi»185. Egli nemmeno ritiene, però, che questo principio coincida direttamente con una potenzialità, cioè con la “potenza sintetico-morale” della presenza, in quanto questa è il risultato della valorizzazione categoriale, unità delle forme, centro sintetico dei valori, e non una condizione di: non, insomma, condizione di unità o di sintesi, in quanto già risultato, unità, sintesi.186 Insomma, questo principio «non è mera vitalità o libido, o volontà di potenza».187 Dunque, «occorre un principio formale che fondi la differenza, e che sia il senso formale necessario dell’esistentivo, nelle sua varie modalità reali o possibili».188 A de Martino non resta, insomma, che comprendere nella sua realtà e primalità «questa forza che fa affiorare sempre di nuovo nel mobile arcipelago dell’umanità il sommerso continente della vita»;189 la condizione trascendentale, quindi precategoriale, doverosa, volitiva e primordiale dell’essere intenzionalità, presenza, coscienza, esistenza, esserci nella storia mondana.

Ciò che “dà coraggio” al trascendimento del vitale nell’utilizzabile e nel comunitario non è né il vitale né l’utilizzabile o il comunitario ma appunto quello slancio etico che strappa sempre di nuovo gli individui verso la valorizzazione intersoggettiva della vita, verso la culturalizzazione della natura (e la natura sta sempre dentro, mai fuori, il processo della trasformazione culturale).

182 E. de Martino, Il mondo magico, cit. p. 58. 183 E. de Martino, Scritti filosofici, cit., p. 9. 184 E. de Martino, La fine del mondo, cit., p. 671. 185 Ibidem.

186 Spesso la critica antropologica su de Martino ha confuso insieme vitalità, presenza ed ethos. Cfr, ad esempio, R.

Altamura, “Introduzione. La difficile coerenza”, in E. De Martino, Scritti minori su religione, marxismo e psicanalisi, a cura di R. Altamura e P. Ferretti, Nuove Edizioni Romane, Roma 1993. Berardini coglie acutamente questo “fraintendimento”:cfr Berardini, op. cit., p. 261.

187 E. de Martino, Scritti filosofici, cit., p. 166. 188 Ivi, p. 82.

52 Non si potrà mai comprendere la cultura della “pietra scheggiata”, se non si fa appello a questo “coraggio” che utilizzò la pietra, onde le pietre denotarono la effettiva possibilità di costruire un’amigdale190.

O detto altrimenti, «il vitale “resta privo di senso e di valore” finchè lo spirito –l’ethos del trascendimento, la volontà di cultura e di storia- non lo riplasma nel valore».191 De Martino chiama dunque questo “coraggio” primordiale «che fa passare la materia vitale nella sfera delle scelte plasmate dalla forma inaugurale della vita civile»192 ethos trascendentale del trascendimento della

vita nel valore o ethos della intenzionalità, o ancora «ethos del trascendimento della situazione

singolare nella intersoggettività della valorizzazione culturale»193. Principio, questo, che egli traduce più semplicemente come “dover-essere” nella valorizzazione utilizzatrice e che, come tale, sostiene l’intenzionalità, dunque fonda l’esserci nel mondo (presenza) come doverci-essere-nel- mondo, dasein come dasein-sollen.194 Lo studioso pone un principio non biologico (vitale) e non potenziale-morale (presenza) bensì etico-trascendentale195 («l’élan vital e l’élan moral formano in

190 Ivi, pp. 22-23.

191 Qui si consuma un da Paci, per cui invece «l’esistenza resta priva di senso e di valore finchè non si sottomette allo

spirito e non diventa utile allo spirito», E. de Martino, Scritti filosofici, cit., p. 44.

192 Ivi, p. 22. 193 Ivi, p. 82.

194 Questo concetto di “dover essere” è tratto da de Martino dall’esistenzialismo positivo italiano, specialmente Enzo

Paci e Nicola Abbagnano, fonti ampiamente dichiarate dallo studioso napoletano. L’aderenza di de Martino all’esistenzialismo italiano coincide con il suo distacco da quello tedesco e dal suo concetto di “essere”. «Come dice Paci in Dall’esistenzialismo al relazionismo, p. 363 e come ripete in Tempo e verità, p. 102 “l’essere non è il fondamento del mondo se non in quanto è la forma verso la quale il processo si trascende’, ciò significa che l’essere si risolve nel dover essere; il dover essere nel doverci essere nel mondo, e il doverci essere nel mondo nel doverci essere valorizzante il mondo secondo distinte forme di valorizzazione, in nessuna delle quali l’operare del doverci essere esaurisce l’essere”», E. de Martino, Scritti filosofici…, op. cit., pp. 139-140. Scrive ancora lo studioso: «Alle posizioni di Heidegger e di Jaspers, cioè l’esistenza come “impossibilità di staccarsi dal nulla” e come “impossibilità di essere l’essere”, Abbagnano contrappone l’esistenza come trascendimento, come possibilità del rapporto con l’essere, possibilità che “può” non aver luogo ma che “deve” aver luogo, il rapporto con l’essere, in quanto possibile, deve esserci», ibidem, p. 9. In particolare, si legge in Abbagnano: «La decisione dell’uomo gli è […] suggerita dalla possibilità trascendentale, che è il dover essere dell’uomo nella sua individualità autentica e perciò pure dell’essere e della comunità coesistente. La possibilità trascendentale sottrae l’uomo alla indifferenza delle possibilità offertegli sullo stesso piano e, impegnandolo nel senso della realizzazione integrale della sua individualità finita, lo aggancia all’essere e lo immette nella comunità coesistente. Per la possibilità trascendentale, la struttura diventa dover essere,

normatività», N. Abbagnano, Introduzione all’esistenzialismo. Una svolta della filosofia moderna, Il Saggiatore, Milano

2001, p. 27.

195 Importante fonte filosofica, circa l’etico di questo trascendentale, resta Croce. È lo stesso de Martino a esplicitare

ciò: «In una pagina famosa de La storia come pensiero e come azione il Croce considera l’ethos non più come una distinta forma del circolo spirituale, ma come la potenza suprema che promuove e regola la stessa distinzione del vario operare umano, opponendosi “al disgregamento della unità spirituale”, B. Croce, La storia come pensiero e come

azione, Bari, 1938, pp. 42 e segg.]. In rapporto a questo suo importante tema di pensiero la filosofia del Croce è

apparsa ad un suo commentatore una “teoria della potenza etica” dominata dal senso di una costante immanenza della morte e dalla drammatica tensione fra l’“energia del fare” e il rischio di un assoluto non-fare, cioè di quel nulla “che si manifesta nel travaglio sterile, nell’accidia inconcludente, nel vuoto smarrimento” [C. Antoni, Commento a

Croce, Venezia, 1955, pp. 144 e 150]», E. de Martino, Morte e pianto rituale, cit., p. 17. Ma fonte è anche Kant, circa la

trascendentalità di questo slancio etico, dove secondo de Martino il trascendentale kantiano, «l’inoggettivabile unità dell’appercezione, il suo essere fondamento del categorizzare e il suo non poter essere mai “oggetto” di sintesi categoriali» rinvia all’ethos del trascendimento, cfr E. de Martino, Scritti filosofici, cit., p. 16. E’, dunque, questo ethos «un principio trascendentale in quanto condiziona ogni trascendimento, ovvero in quanto condizione di ogni ‘fare

53 questo senso un’unità»196) a fondamento dell’umanità; quindi a fondamento della storia umana, in quanto l’ethos è responsabile della fondazione dell’uomo «come tempo e come divenire dei singoli, dei gruppi sociali, delle epoche e delle civiltà»197; e a fondamento del mondo umano in quanto «perché vi sia un mondo, e una situazione del singolo in esso, occorre emergere da esso, farsi margine od orizzonte di qualificazione e di comportamento rispetto ad esso, non coincidere immediatamente con la situazione ma distaccarsene sempre di nuovo e sempre di nuovo misurare secondo certi parametri (i valori) la distanza di volta in volta instaurata»198. Se non fosse per il principio dell’ethos, infatti, «tutti i progetti di “distacco”, a cominciare da quello di “esserci-nel- mondo-dell’utilizzabile”, resterebbero velleitarie possibilità, sognanti propositi, “senza voce né gesto” che non fosse di sogno»199. L’ethos infatti «sta a fondamento del doverci-essere-nel- mondo»200 quale “totalità strutturale limite”. Questa struttura intrascendibile è per de Martino a forma di circolo “in movimento”. L’ethos è movimento in quanto si cerca continuamente e mira a ritrovarsi nella dimensione dell’autocoscienza etica; esso vuole la consapevolezza ma di per sé non è consapevolezza; di per sé è trascendimento, ma questa forza è già “etica”, ovvero teleologicamente portata a cercarsi e a trovarsi come dovere, per poi ricadere nella natura in quanto resta la condizione inesauribile alla valorizzazione: mai la persona può trascenderla una volta per tutte, nemmeno nella dimensione dell’autocoscienza etica, che comunque non esonera la persona al mangiare e dormire e in generale al liberarsi mai totalmente dagli istinti della corporeità. Proprio perché «non si entra nel “circolo” della vita dello “spirito” indifferentemente attraverso qualsiasi punto del circolo stesso»,201 ma solo nell’inaugurale economico (che resta condizione necessaria per la persona), né la natura può trascendersi una volta per tutte, né l’ethos trovarsi definitivamente. «Il circolo è “dall’ethos all’ethos attraverso le valorizzazioni dell’utilizzabile, del poetabile, del comprensibile”».202 Ovvero, l’ethos, in quanto movimento “che si cerca per trovarsi” generando in questa circolare ricerca di sé la cultura nella sua varietà (dove «la qualità e l’ordine ideale delle singole valorizzazioni è dettato dal movimento interno dell’ethos»)203, non può che costituirsi come «movimento di sé a sé, ma secondo una progrediente consapevolezza del proprio dover essere».204

storia’. Volendo riprendere e modificare all’uopo il concetto kantiano di ‘Io penso’, l’ethos si poneva qui come una sorta di ‘Io trascendo’, ove era tenuta ferma […] la distinzione, cui l’ethos faceva qui capo, di pensiero e azione, di

theoria e praxis.», Berardini, cit., p. 252.

196E. de Martino, Scritti filosofici…, op. cit., p , 61. 197 Ivi, p. 171.

198 E. de Martino, La fine del mondo, cit., pp. 674-675. 199 E. de Martino, Scritti filosofici, cit., p. 22.

200 Ivi, p. 161.

201 E. de Martino, La fine del mondo, cit., p. 642. 202E. de Martino, Scritti filosofici, cit., p. 41. 203 Ivi, p. 33.

54 Ora, non si deve immaginare che questo circolo della vita spirituale in cui la persona consiste sia necessitato, chiuso, in quanto “circolare”. «La vita spirituale è un circolo, ma per conservare l’immagine, è un circolo che in ogni punto sopporta il rischio di fuggire per la tangente».205 Il pericolo della follia resta costante in ogni movimento dell’ethos. ma non è ancora opportuno, qui, occuparci della follia che sempre minaccia l’ethos. Qui basti sapere che l’ethos è tout court condizione di esistenza storica, slancio intenzionante, forza etica trascendentale che va ad orientare le riflessioni di de Martino «entro un piano ‘ontologico’, nel tentativo di tematizzare l’essere come un dover-essere»206. L’ethos è trascendentale perché «mantiene le “presenze” e il mondo; trascendentale nel senso che è la condizione permanente […] della valorizzazione categoriale».207 E’ “primordiale” condizione della valorizzazione, quindi “vissuto umano per eccellenza”, nel senso che è principio condizionante e regolativo di ogni potenziale esperire esistenziale dei valori, quindi si deve pensare come valore dei valori non nel senso della “pura e semplice vita”, ma «nel senso della vita colta nell’atto di aprirsi ai valori categoriali, cioè alle forme di coerenza culturale»208. Esso si costituisce, per meglio definirlo, come valore precategoriale: «Valore perché già si innalza sulla mera vita, che nella sua impossibile astrattezza, è per l’uomo nulla; precategoriale nel senso che tutti i valori categoriali sono per questo Regno della madri sempre in gestazione»209. L’ethos è, insomma, «principio esistenziale dell’oltre»210, la condizione del dispiegarsi di tutti i valori categoriali, supremo principio di intelligibilità «per il quale la vita “va oltre se stessa” formando la drammatica unità di vita e valore (vita per il valore, valore nella vita)»211. È l’ethos trascendentale, così, che fonda la coappartenenza umana di natura e cultura. Detto ciò, conosciamo nelle sue caratteristiche trascendentali questa doverosa volizione di valore, specialmente descritta da de Martino come: etica, inesauribile, intrascendibile (o onnicomprendente), rinnegabile o teleologicamente realizzabile.

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