PERSONA E CULTURA
IL TRASCENDIMENTO COME FONDAZIONE DEL MONDO DEI VALORI (PERSONA E STORIA)
4.5 IMPERATIVO ETICO DEL MONDO
Il mondo, abbiamo compreso fin qui, «è la storia vivente degli altri in noi, e non importa se questa vita si muove ora in noi come abitudine, come continua evocazione di gesti tecnici meccanicamente compiuti, come un ovvio operare e utilizzare questo o quello, come un anonimo “si fa così” operante ai margini della consapevolezza».538 Sostiene de Martino che proprio «questo
in-der-Welt-sein-sollen è l’impegno relazionale per eccellenza».539 E lo è in quanto, proprio perché il dovere etico impone il trascendimento nel valore propriamente intersoggettivo, esso in fondo impone la presenza degli altri, quindi l’esserci per nel mondo è essenzialmente con-esserci, «l’esserci “è” quindi essenzialmente in-vista degli Altri».540 E questo a partire dal valore della utilizzazione e dalla primordiale regola sessuale e alimentare, cioè a partire dagli istinti, già dai quali io devo rendere conto agli altri perché non vi è valore che non sia per agli altri. «Ogni utilizzazione è decisione, ogni decisione nel campo dell’utilizzabile è insieme multanime e nostra, ed è nostra, singolarissima, nella misura in cui è multanime, in cui si relaziona agli altri nella storicità di un mondo socioeconomico vivente, nel rendere conto a tale mondo con una scelta di osservanze».541 Questo “essere con gli altri” per de Martino è da intendersi secondo tre significati fondamentali e coesistenti. Anzitutto significa «l’inaugurale dover essere con gli altri, il non essere soli, deietti, gettati, anche nella più ovvia condotta del nutrirsi, dell’abbigliarsi, del camminare, del respirare»542. Da qui la universalità delle nozze rituali o dell’esperienza convivale. Poi, soddisfare l’imperativo etico significa non cominciare mai da una “esperienza zero”, «ma assumere qualcosa che c’è già, innestandovi la propria condotta utilizzante con un minimo o un massimo di iniziativa,
536 Ibidem. 537Ivi. 538 Ivi, p. 528.
539 E. de Martino, Scritti filosofici, cit., pp. 95.
540 Ivi, p. 98. Questa importante riflessione presenta una fondamentale quanto esplicita impronta heideggeriana.
«“All’essere dell’esserci appartiene il con-essere con gli altri”. […] Questa affermazione deve essere intesa nella sua essenza esistenziale. Anche quando l’esserci non si volge effettivamente verso gli altri, crede di poter fare a meno di loro, oppure ne è privo, esso esiste sempre nel modo del con-essere. Nel con-essere, in quanto esistenziale in-vista degli Altri, gli Altri sono già aperti nel loro esserci. Questa apertura degli Altri, già preliminarmente costituita col con- essere, esprime quindi anche la significatività cioè la mondanità in quanto fondata nell’in-vista-di-cui esistenziale», ibidem. La frase fra virgolette è di Heidegger, tratta dal Sein und Zeit, 1953, 7’ ed., pp. 50 e riportata per esteso da de Martino.
541 Ivi, p. 165. 542 Ibidem.
123 di riadattamento, di innovazione».543 Infine, l’impegno relazionale mondano «significa memoria di storia e iniziativa, fedeltà e decisione singola; significa tener presente, sia pure nella forma contratta dell’abitudine e del “si fa così”, le decisioni degli altri, i loro risultati e i corrispondenti orizzonti operativi, significa sicurezza e domesticità del mondo dell’utilizzabile onde poter decidere, qui ed ora, con vario impegno, la utilizzazione singola»544. L’impegno relazionale mondano è insomma sano e felice esercizio di fedeltà all’ethos quale fondamento trascendentale dell’intersoggettivo, quindi è in ultimo condizione di libertà, laddove «la decisione del singolo, per questo suo innestarsi in un mondo sociale definito, non è mai un esperire la libertà come pura possibilità, ma come scelta di una fedeltà particolare al già deciso da altri»,545 per cui la persona si esperisce come libera paradossalmente nella continuazione fedele di questo decidere altrui ma per entro la sua «nuova irripetibile situazione singola».546 Tenere fede a questa obbedienza, è segno, per de Martino, dell’autenticità della persona umana; autenticità che si manifesta a partire dal proprio corpo:
Questo essere con gli altri in un determinato regime culturale dell’utilizzabile è tanto poco una modalità “inautentica” dell’esserci che, al contrario, inaugura l’autenticità dell’esistere, e costituisce lo sfondo più ampio da cui emergono le altre autenticità, le altre valorizzazioni del mondo. Nella valorizzazione socio-economica del mondo si dischiude il tema fondamentale dell’esistere: non esser soli, sentirsi impegnato con gli altri, anche nelle condotte del proprio corpo, anche nella più elementare dialettica del piacere e del dolore “individuali”.547
Quale “testimonianza di non solitudine”, il mondo è luogo umano dove universale ovvietà e singolare iniziativa si coappartengono. Senza gli altri, insomma, non posso emergere nel mondo. Il mio storico farmi “presente nel mondo” è il mio farmi compresente. La mia presenza è compresenza. Il mio esistere mondano è il mio coesistere. «La valorizzazione inaugurale del trascendimento della vita nel valore è il coesistere comunitario in un mondo domestico di cose utilizzabili. Questo coesistere, che comporta le sue fedeltà e le sue iniziative, abbraccia nella sua propria sfera di valorizzazione»548 ogni cosa ed ogni esperienza: gli istinti, il governo del cosmo, gli strumenti di comunicazione con le cose (i sensi) e con gli altri uomini (il linguaggio), il regime economico, la plasmazione dei bisogni, il controllo della natura con strumenti sia materiali che mentali. «Con ciò la vita è già oltrepassata in senso culturale, cioè viene plasmata la condizione storica fondamentale di un “mondo” in cui può ulteriormente svolgersi la presentificazione valorizzante dell’ethos, la distinzione cioè di altre valorizzazioni intersoggettive autonome»549 che, a partire da questo mondo coreutico e comunitario, diventano scienza, arte, storiografia, filosofia; 543 Ibidem. 544 Ibidem. 545 Ivi, p. 154. 546 Ibidem. 547 Ivi, pp. 165-166. 548 Ivi, pp. 20. 549 Ibidem.
124 ed infine –come vedremo molto più avanti- «la consapevolezza che l’ethos raggiunge di sé nelle dottrine morali e nelle teorizzazioni del costume».550 Con ciò non si vuole intendere, spiega de Martino, che per giungere alla piena consapevolezza dell’ethos sia necessaria un’esigenza umana continua e consapevole di stare con gli altri e fra gli altri. O, almeno, non si vuole intendere solo questo. Certamente, scrive lo studioso, «questa comunione con gli altri che popola il nostro passato e che raggiunge nella memoria solo pochi volti di persone a noi prossime, si rinnova di continuo nell’attualità di un bisogno anche fisico di mantenere i vecchi rapporti e di intrecciarne di nuovi» 551. Ma ciò che qui è importante è che la persona, rispetto alla bestia, è nel mondo, è cioè “tra gli altri”, pure se chiusa da sola in una stanza per un’intera settimana; pure quando addormentata nel suo letto la notte. Proprio l’intersoggettività distingue l’ambiente animale dal mondo umano, dove nel primo si è “soli tutti insieme” mentre nel secondo si è “tutti insieme anche da soli”. Ed infatti «la verità è che anche quando non sentiamo il desiderio di essere con gli altri, anche quando crediamo di essere soli, gli altri vivono nelle nostre abitudini, nelle tecniche del nostro corpo, nel mondo come orizzonte di utilizzabili».552 In tal senso, nemmeno il monaco eremita può dirsi solo: il suo eremitaggio, semmai, è la pubblica risposta ad un modo diverso di assumere in sé l’umana mondanità, non certamente nei termini della vita “esplicitamente” intersoggettiva di tipo sociale e politica, ma in quelli di un silenzio comunque “mondano”, “storico”, “culturale” (quale appunto il silenzio “religioso”). E nemmeno è da credere, precisa de Martino, che il rapporto umano con la società sia smentito nella mistica. Ed infatti, «anche i mistici più impegnati nella negazione della storia e della società cui appartengono sono giudicabili da un punto di vista storiografico non già nell’isolamento delle loro eccezionali avventure psicologiche strettamente individuali, ma come organi di una società storica funzionante, aperta –se si mantiene nella storia- al mondano operare».553 Perfino, dunque, nella domesticità mondana di un eremita o di un mistico, che come tale rappresentano un “certo mondo culturalmente condizionato” «vive una folla di memorie attuali o possibili, di comportamenti efficaci e di limiti operativi di questi comportamenti; vivono le abilità conquistate dalle passate generazioni, i risultati del lavoro di un numero sterminato di contemporanei, l’esito del nostro essere stati educati ad operare così e così le cose del mondo e il nostro stesso corpo sin dalla primissima infanzia».554 Nell’intersoggettività mondana, così, si manifesta sempre e comunque l’imperativo etico che fonda la persona: “io non devo stare solo”.
550 Ivi, pp. 20-21.
551 E. de martino, La fine del mondo…, cit., p. 602. 552 Ibidem.
553 E. de Martino, “Mito scienze religiose e civiltà moderna”, in Furore, simbolo, valore, cit., p. 67. 554 E. de Martino, Scritti filosofici…, cit., p. 69.
125 Ancor meno lo debbo essere e lo sono in quell’atto inaugurale del mio doverci-essere-nel- mondo, che si esprime nella utilizzazione, cioè nella incessante partecipazione a un progetto comunitario dell’utilizzabile. Non si tratta di un essere insieme meramente fisico, poiché si può esser soli nella folla e si può vivere una vita multanime di impetuosa comunicazione, nel silenzio di uno studio o in quello di una cella di un convento o di un carcere: la verità è che questo imperativo ci accompagna e ci sostiene dalla culla alla bara, ed è così profondamente radicato nel nostro esserci da accompagnarci e sostenerci anche quando non ne abbiamo coscienza teorica e anche quando formuliamo ideologie individualistiche o addirittura solipsistiche (alle quali poi non ci manteniamo di fatto coerenti nella vita, a meno di non voler pagare con la follia il prezzo di questa coerenza).555