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Giusta causa e giustificato motivo soggettivo di licenziamento nella giurisprudenza fino alla riforma Fornero

Nel documento Commentario riforma Fornero (legge 92/2012) (pagine 103-108)

LA DISCIPLINA DEI LICENZIAMENTI DISCIPLINARI di Anna Luisa Terzi

2. Giusta causa e giustificato motivo soggettivo di licenziamento nella giurisprudenza fino alla riforma Fornero

La elaborazione giurisprudenziale delle clausole generali introdotte dalla l. n.

604/66 si è svolta inizialmente in un clima politico e culturale in progressiva effervescenza, di cui non può che risentire, ed anche beneficiare la stessa magistratura. Era vivamente avvertita in quegli anni la necessità di rompere schemi formali consolidati di teoria generale del negozio giuridico, per affrontare un campo nuovo, caratterizzato, per quanto riguarda il licenziamento per motivi soggettivi, dalla necessità di esprimere valutazioni su condotte che devono molto spesso essere inserite in dinamiche relazionali fra persone, riferite a un contratto che implica un rapporto gerarchico e che, nel momento in cui viene denunciata l5incidenza sull5elemento fiduciario (ossia sull5affidamento sulla corretta esecuzione dell5obbligazione per il futuro), comportano scelte di valore nel contemperamento degli opposti interessi.

Non diversamente che per qualsiasi altra materia per la quale deve essere consolidata l5interpretazione di disposizioni innovative, anche nella elaborazione della disciplina dei licenziamenti si sono creati contrasti, che hanno rappresentato invero tappe di assestamento progressivo dei principi di riferimento per l5applicazione delle nuove norme.

Uno dei contrasti giurisprudenziali più importanti ha avuto per oggetto l5applicazione dell5art. 7 dello Statuto al licenziamento, quando non previsto dal

contratto collettivo fra le sanzioni disciplinari. Il contrasto è stato infine risolto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 204/82, che vara la definizione del licenziamento per ragioni attinenti alla condotta del lavoratore come licenziamento <ontologicamente> disciplinare, affermando, in uno dei passaggi fondamentali, che: <La risposta affermativa deve essere data da chiunque ravvisi il valore essenziale dell'ordinamento giuridico di un Paese civile nella coerenza tra le parti di cui si compone; valore nel dispregio del quale le norme che ne fanno parte degradano al livello di gregge privo di pastore: canone di coerenza che nel campo delle norme di diritto è l'espressione del principio di eguaglianza di trattamento tra eguali posizioni sancito dall'art. 3>.

Successivamente a questa sentenza la giurisprudenza si è consolidata intorno ai seguenti principi, destinati via via a trovare applicazione uniforme: necessità di contestazione specifica e tempestiva ex art. 7; obbligo di rispetto dei termini;

necessità di un espresso giudizio di proporzionalità della sanzione, che non può essere surrogato dalla valutazione astratta compiuta dal contratto collettivo, che al più può avere valore meramente indicativo.

Il potere disciplinare incontra dunque due limiti normativi, uno di natura procedimentale, di cui all5art. 7 l. n. 300/70, diretto a consentire l'esercizio del diritto di difesa, e l5altro di natura sostanziale, di cui all5art. 2106 c.c., volto ad imporre la proporzione fra sanzione e illecito: entrambi con lo scopo di garantire la pari dignità in un rapporto non paritario. In definitiva, il potere disciplinare deve essere esercitato con l5esclusiva finalità di ottenere il rispetto degli obblighi e dei doveri strumentali all5esatto adempimento della prestazione.

3. La riforma dellWart. 18 operata dallWart. 1, co. 42 della l. n. 92/2012: la struttura della norma

L5art. 1, comma 42, lett. b), della legge n. 92/2012 riproduce nei primi tre commi dell5art. 18 l. n. 300/70 la disciplina del licenziamento discriminatorio già in vigore, senza alcuna modifica, specificando che la stessa si applica anche al licenziamento intimato per motivo illecito determinante, in forma orale, ovvero nullo in forza di disposizioni di legge.

I successivi due commi dell5art. 18 si occupano del licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo. Le ipotesi contemplate sono le seguenti: a) insussistenza del fatto contestato o contestazione di una condotta punibile con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, b) altre ipotesi in cui viene accertato che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro.

Nella prima ipotesi il licenziamento deve essere annullato, e contestualmente deve disporsi la reintegrazione del lavoratore a cui spetta anche il pagamento di un'indennità commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto percepita, senza limite minimo delle cinque mensilità e con un limite massimo di dodici mensilità, detratto quanto il lavoratore abbia percepito o avrebbe potuto percepire se si fosse dedicato con l'ordinaria diligenza alla ricerca di un nuovo

posto di lavoro. Nella seconda ipotesi viene riconosciuta solo la indennità risarcitoria, in ammontare da un minimo di dodici a un massimo di ventiquattro mensilità, da determinarsi in relazione all'anzianità, al numero dei dipendenti occupati dall'azienda, alle dimensioni dell'attività economica, al comportamento e alle condizioni delle parti, con un relativo onere specifico di motivazione.

Ai commi 6 e 7 vengono disciplinate le ipotesi di illegittimità per vizi formali e per mancanza del giustificato motivo oggettivo5.

Il comma 42 in esame si prefigge di introdurre all'interno dell5art. 18 una disciplina complessiva dei licenziamenti, che si viene a sovrapporre in modo asistematico alla disciplina in vigore, in quanto ignora le varie disposizioni contenute nelle altre leggi, ad iniziare dagli artt. 2119 c.c. e 1 e 3 l. n. 604/66, la cui formulazione e la cui portata sul piano del diritto sostanziale vengono completamente trascurate. Nel contempo, la disposizione cerca di compendiare nel testo tutte le possibili conseguenze del licenziamento illegittimo, anche con previsioni di estremo dettaglio (ad es. per quanto riguarda le conseguenze sul piano contributivo).

Non vengono incisi direttamente, come detto, gli artt. 1 e 3 della legge del 1966, ma si introducono diverse tipologie di licenziamento attraverso la differenziazione delle tutele per il caso del licenziamento illegittimo.

Se si prescinde dal licenziamento discriminatorio o nullo, per cui rimane fermo il diritto sia alla reintegrazione, sia al risarcimento integrale del danno patito, la riforma introduce criteri di ristoro del pregiudizio patrimoniale subito dal lavoratore informati ad una drastica riduzione di tutela.

La discussione, che si è svolta dopo la presentazione del disegno di legge governativo, nel corso degli incontri con le parti sociali e durante i lavori parlamentari, è stata focalizzata dai mezzi di informazione sul mantenimento della tutela ripristinatoria e sull'alternativa della tutela solo indennitaria. Si è così trascurato di portare la dovuta attenzione sulle innovazioni relative alle conseguenze economiche del licenziamento illegittimo e sul diverso atteggiarsi delle stesse sotto molteplici profili, non sempre riconducibili a un disegno logico.

La riparazione di natura monetaria non è più soggetta alla disciplina generale in materia di responsabilità patrimoniale da inadempimento contrattuale, ma diviene di tipo meramente indennitario, con diversi limiti minimi e massimi, secondo tre distinte ipotesi: una indennità variabile da zero a 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, che si accompagna al diritto alla reintegrazione (eventualmente monetizzabile su opzione del lavoratore in una ulteriore indennità pari a 15 mensilità); una indennità variabile fra un minimo di 12 ed un massimo di 24 mensilità interamente sostitutiva della reintegrazione e una indennità dimezzata, da 6 a 12 mensilità, sostitutiva della reintegrazione, quando il licenziamento è illegittimo solo per un vizio formale (eccettuato il licenziamento intimato in forma orale). La modulazione è quindi legata anche al diritto alla reintegrazione e limiti minimi sono previsti soltanto per le indennità interamente sostitutive.

5 Al riguardo si rinvia ai contributi in questo volume di G.Cannella, I licenziamenti con vizi di forma e di procedura, T.Orrù, I licenziamenti per motivi di salute, e di C. Ponterio, Il licenziamento per motivi economici..

La previsione di limiti massimi, del tutto svincolata dal pregiudizio reale subito e dai tempi necessari per ottenere il riconoscimento dell'illegittimità del licenziamento, assicura al datore di lavoro elementi sicuri di prognosi sulle possibili conseguenze che dovrà sopportare in caso di impugnazione del licenziamento e introduce, sotto questo profilo, una tutela del tutto unilaterale, in quanto i tempi di durata del processo e delle fasi precedenti avranno un5incidenza inversamente proporzionale rispetto all'utilità economica alla quale verrà commisurata l'eventuale indennità risarcitoria per entrambe le parti: il datore di lavoro vedrà decrementare proporzionalmente la sua esposizione patrimoniale, la cui incidenza viene diluita nel tempo, il lavoratore vedrà decrementare proporzionalmente il ristoro del danno subito, che rimarrà lo stesso indipendentemente dalla durata della sua disoccupazione.

La nuova disciplina ha sentito poi la necessità di richiamare espressamente i principi generali, già costantemente applicati dalla giurisprudenza, in materia di risarcimento del danno di cui agli artt. 1223 e 1227 c.c., senza peraltro una normativa uniforme in relazione alle diverse ipotesi di licenziamento illegittimo e senza incidere minimamente sugli oneri di eccezione e di prova che gravano sulle parti6. Appare infatti discutibile ipotizzare, trattandosi di circostanze che riguardano esclusivamente la liquidazione dell'indennità, che vi sia un obbligo per il giudice di attivarsi d'ufficio al fine di introdurre un accertamento su fatti non dedotti. Per quanto riguarda poi l'onere di diligenza del lavoratore nella ricerca e nel reperimento di altra occupazione (richiamato solo dal comma 4 per i licenziamenti disciplinari in caso di reintegrazione e dal comma 7 per l'indennità risarcitoria alternativa alla reintegrazione in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo), si tratta di una evenienza che ben difficilmente, al di fuori di situazioni attualmente non ricorrenti di massima occupazione, potrà essere dimostrata in giudizio.

La menzione espressa dei principi generali appare quindi più diretta ad attivare un messaggio di tipo culturale che non ad avere una incidenza immediata nell'applicazione della norma, volto indubitabilmente a spingere verso operazioni di liquidazione al ribasso: non è contemplata alcuna circostanza per un possibile aumento dei limiti massimi in relazione al danno effettivo subito dal lavoratore ed è quindi evidentemente l'interesse aziendale al contenimento dei costi l'unico preso in considerazione. Un ulteriore elemento significativo in questo senso è dato dall'esplicito riferimento all'ultima retribuzione globale di fatto maturata (e ciò anche per i licenziamenti discriminatori, illeciti o nulli), che automaticamente

6 Trarre un filo logico che leghi i criteri previsti per le diverse ipotesi di indennità risarcitoria appare arduo, essendo ad esempio previsti criteri solo interni al rapporto di lavoro per quanto riguarda l'indennità sostitutiva della reintegrazione per i licenziamenti per motivi soggettivi o per la indennità sostitutiva della reintegrazione per il licenziamento illegittimo per motivi formali o inosservanza di norme procedimentali ed essendo invece introdotto anche il criterio della ordinaria diligenza nella ricerca di altra occupazione per quanto riguarda la indennità sostitutiva della reintegrazione in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, circostanza questa che impedisce di affermare che la indennità interamente sostitutiva abbia lo scopo di monetizzare il valore del posto di lavoro perso con criteri solo oggettivi a prescindere dalla condotta del lavoratore. E con la conseguenza illogica che la menzione espressa dei principi generali solo per alcune ipotesi rende difficoltoso poterli utilizzare anche per le ipotesi per le quali non sono richiamati. Si tratta di incongruenze che, anche accedendo all5ottica nella quale la riforma è stata presentata, non hanno spiegazioni plausibili.

esclude che possa essere considerato anche il lucro cessante per il mancato guadagno dovuto all'impossibilità di conseguire durante l'interruzione del rapporto miglioramenti retributivi.

Il risarcimento del danno è integrale (comma 4) per quanto concerne il rapporto previdenziale nei casi in cui viene disposta la reintegrazione. Non vi è alcun limite previsto espressamente ed è considerato esclusivamente, quale circostanza di diminuzione dell'onere patrimoniale di ricostituzione dell'intero rapporto assicurativo, il versamento dei contributi in ragione della diversa attività lavorativa svolta nel periodo intercorrente tra licenziamento e reintegrazione. È invece escluso il risarcimento (il comma 5 nulla dispone a differenza del precedente) per le ipotesi di indennità alternativa alla reintegrazione.

L5aver puntato l'attenzione solo sulla scelta preliminare del mantenimento o della sostituzione del diritto alla reintegrazione ha quindi del tutto obliterato la grande incisione del diritto del lavoratore a un risarcimento del danno congruo rispetto al pregiudizio patrimoniale effettivamente subito7.

4 . Gli obiettivi dichiarati della riforma

Prima di entrare nel dettaglio dell5analisi della disposizione a proposito delle ipotesi di licenziamento per motivi soggettivi, è opportuno prendere in esame le ragioni che hanno mosso questa riforma, indicate nella finalità di circoscrivere l5elemento di valutazione del fatto concreto da parte del giudice in connessione con la necessità per le imprese di poter stimare l5eventuale costo di un licenziamento illegittimo. Si è affermato, da un lato, che la giurisprudenza sarebbe del tutto inaffidabile e contraddittoria nella valutazione del caso singolo e, dall'altro, che la impossibilità di prevedere eventuali costi avrebbe sin qui determinato un disincentivo agli investimenti in Italia.

Queste essendo le ragioni addotte, parte della dottrina si è già molto sbilanciata nell5affermare che, con la nuova disposizione, la reintegrazione sarebbe una forma di tutela solo residuale, circoscritta sostanzialmente al licenziamento discriminatorio, e che sarebbe quindi preclusa al giudice ogni valutazione ex art.

2106 c.c., dovendo la proporzionalità essere valutata soltanto ai fini della determinazione della sanzione applicabile al datore di lavoro (indennità risarcitoria)8. Secondo questa linea interpretativa si dovrebbe distinguere la nozione di fatto materiale addotto per il licenziamento dalla qualificazione del fatto come giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, rimanendo sostanzialmente precluso il sindacato su questa seconda e quindi rimanendo

7 Avere escluso dall'area delle modificazioni il licenziamento discriminatorio ed introdotto la previsione espressa del licenziamento per motivo illecito determinante consente di affermare (non diversamente dal passato) per tali ipotesi l'applicabilità dell5art. 1225 c.c. qualora ne ricorrano i presupposti.

8 In particolare è questa la tesi di A. Maresca, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche all9art. 18 Statuto dei Lavoratori, Riv. it.. dir. lav., 2012, I, p. 415, scritto destinato al Liber amicorum di Marcello Pedrazzoli, Milano, Franco Angeli, in corso di pubblicazione; P. Ichino, La Riforma dei licenziamenti, Relazione al Convegno del Centro Studi di Diritto del Lavoro Domenico Napoletano, Pescara 11 maggio 2012.

La tesi è condivisa anche da M. Marazza, L9art. 18, nuovo testo, dello Statuto dei lavoratori, in Liber amicorum di Marcello Pedrazzoli, cit.; Franco Liso, Le norme in materia di flessibilità in uscita nel disegno di legge Fornero, in csdle.lex.unict.it; A. Piccinini, Le modifiche all9art. 18, in www.bollettinoadapt.it; M. Meucci, La nuova disciplina dei licenziamenti, in www.altalex.com.

esclusa la valutazione di questo elemento sul regime sanzionatorio. La reintegrazione sarebbe possibile soltanto nel caso di insussistenza del fatto materiale contestato. Viene anche affermato che lo scopo della riforma è proprio quello di precludere al giudice ogni valutazione in merito alla proporzionalità del licenziamento.

Queste opinioni ovviamente tendono a svalorizzare il riferimento ai contratti collettivi ed ai codici disciplinari, affermando che si tratterebbe di ipotesi residuali da circoscrivere alla espressa previsione di una sanzione conservativa per la specifica mancanza oggetto di contestazione. In mancanza della previsione contrattuale dell5illecito, con sanzione conservativa, la reintegrazione non sarebbe consentita e la sproporzione fra illecito e sanzione sarebbe da valutare nella liquidazione dell5indennità.

Si tratta quindi di vedere se queste affermazioni siano compatibili con il testo della norma e se consentano una interpretazione sistematica delle nuove regole coerente con i principi dell5ordinamento giuridico, con la disciplina il rapporto di lavoro e dei contratti in genere. E ciò in ossequio alla necessità di ricondurre la norma a <sistema> (come dice la Corte Costituzionale) per non arrivare a conseguenze aberranti sul piano logico, giuridico formale e a irrazionali disparità di trattamento di ipotesi identiche.

Nel documento Commentario riforma Fornero (legge 92/2012) (pagine 103-108)

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