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LA REVOCA (TEMPESTIVA) DEL LICENZIAMENTO di Fausto Nisticò

Nel documento Commentario riforma Fornero (legge 92/2012) (pagine 197-200)

1. La precedente giurisprudenza in tema di revoca del recesso datoriale / 2.

Limite alla operatività della nuova disciplina ai soli casi di invalidità del licenziamento / 3. La possibile ulteriore risarcibilità del danno procurato.

1. La precedente giurisprudenza in tema di revoca del recesso datoriale La (contro)riforma Fornero interviene anche sul regime della revoca del licenziamento (ultimo comma del rinnovato art. 18 St.lav., introdotto dal fluviale comma 42 dell5art. 1 l. 92/2912), un segmento di chiusura indispensabile per completare la descrizione delle nuove regole sul recesso. Ed interviene, come si ricava agevolmente dalla lettura della norma, per enunciare come l5istituto si dovrebbe risolvere per definizione in una deroga al pur blando nuovo regime sanzionatorio previsto per il licenziamento. Quando, infatti, la manifestazione di volontà datoriale di ripristinare il rapporto già interrotto intervenga nel termine di quindici giorni dalla comunicazione dell5impugnativa, il rapporto si intende ripristinato ed il licenziato avrebbe diritto al pagamento della (sola) retribuzione omessa dalla data del licenziamento a quella della revoca.

Risulta così regolato per la prima volta con legge l5istituto della revoca del recesso, prima affidato alla ricostruzione civilistica ed alla elaborazione giurisprudenziale. Sì che la questione è se vi sia ancora spazio per la costruzione sistematica dell5istituto o se, al contrario, la norma in commento non sia esaustiva della fattispecie, ovviamente quando si tratti di revoca tempestiva, entro i quindici giorni.

Nulla, infatti, cambia, sul piano teorico, quando si tratti di revoca cd. tardiva, nel caso cioè intervenga quando siano già decorsi quindici giorni dalla comunicazione dell5impugnazione.

La elaborazione giurisprudenziale ante riforma muoveva del principio della cd.

scindibilità delle tutele in caso di licenziamento illegittimo e dunque dalla alternatività della tutela risarcitoria e reintegratoria enunciata dalla nota Cass.

S.U. n. 3957/871. Si aveva, dunque, che anche nel caso in cui il datore di lavoro

1 Secondo la quale <la tutela cosiddetta risarcitoria, accordata dall'art. 18 secondo comma della legge 20 maggio 1970 n.

300 in favore del lavoratore il cui licenziamento risulti invalido od inefficace (nella misura non inferiore a cinque mensilità di retribuzione), ha carattere autonomo rispetto alla tutela cosiddetta ripristinatoria contemplata dal primo

avesse revocato il licenziamento, l5ordinamento tutelava l5interesse del lavoratore alla dichiarazione di illegittimità del recesso ed all5ottenimento del risarcimento del danno, quantomeno nella misura minima di cinque mensilità, tutto ciò conseguendo alla eventualità secondo cui comunque la revoca potesse essere non accettata dal lavoratore2.

Degli effetti di una revoca tempestiva, tuttavia, si era interessata già la giurisprudenza della Suprema Corte, in realtà risalente, enunciando il principio secondo il quale la revoca intervenuta nella immediatezza o comunque prima della proposizione del ricorso giudiziario era da ritenersi idonea alla ricostituzione del rapporto con i soli effetti risarcitori secondo la disciplina codicistica sul risarcimento del danno, corrispondenti al solo pagamento delle mensilità omesse3. Tale principio era stato, tuttavia, disatteso dagli interventi successivi del giudice di legittimità4, di tal che la regola, prima della riforma, era quella della applicazioni delle ordinarie conseguenze previste dall5art. 18 St.lav.

comma della medesima norma, in quanto configura sanzione a carico del datore di lavoro non derivante dall'ordine di reintegrazione nel posto di lavoro, bensì direttamente discendente da detta Invalidità od inefficacia del licenziamento.

L'indicato risarcimento, pertanto, deve essere riconosciuto anche al dipendente illegittimamente licenziato che non voglia o non possa chiedere la suddetta reintegrazione (ivi inclusa l'ipotesi in cui sia sopravvenuta revoca del licenziamento e riammissione al lavoro)>. In senso conforme v. anche Cass. n. 3941/89.

2 In tal senso da ultimo v. Cass. n. 36/2011: <in tema di licenziamento del lavoratore, la revoca del recesso datoriale non può, di per sé, avere l'effetto di ricostituire il rapporto di lavoro, occorrendo a tal fine una manifestazione di volontà, anche tacita, del lavoratore, restando, tuttavia, escluso che il consenso al ripristino del rapporto possa derivare dalla prestazione di lavoro nel periodo di preavviso, che ha efficacia solo obbligatoria. Ne consegue che la revoca non può sottrarre al lavoratore il diritto all'indennità sostitutiva, prevista dall'art. 18, quinto comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, nel testo introdotto dall'art. 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108, il cui esercizio verrebbe altrimenti ad essere di fatto rimesso al datore di lavoro> (nella specie, la S.C. ha annullato la sentenza impugnata, osservando che non poteva ravvisarsi nella condotta del lavoratore che aveva continuato a prestare la sua attività lavorativa nel periodo di preavviso, nessuna adesione, seppur implicita, alla suindicata revoca e ravvisando, anzi, nella comunicazione di volersi avvalere della facoltà di ottenere, in luogo della reintegra, l'indennità sostitutiva, la volontà di non accettazione della revoca). Scrivono in motivazione i giudici di legittimità che <non può dubitarsi che, a seguito del licenziamento, il rapporto di lavoro si è risolto; e, poiché come per la costituzione, anche per la ricostituzione del rapporto è necessario il consenso del lavoratore, la revoca dell'atto non può avere, di per sé, l'effetto di ricostituire il rapporto stesso. D'altro canto, nell'ambito della predetta obbligazione con facoltà alternativa (a favore del lavoratore), la scelta (fra reintegrazione od indennità sostitutiva) non potrebbe essere esercitata dal debitore della prestazione. Da ciò la giurisprudenza deduce che la revoca del licenziamento non determina l'estinzione dell'obbligazione in esame; la facoltà di chiedere l'indennità può essere pertanto esercitata anche ove il licenziamento sia stato revocato dal datore, purché alla revoca non sia seguito il ripristino del rapporto s Ed invero questa Corte ha a più riprese posto in rilievo, a sostegno di tale conclusione, che la scelta del lavoratore della monetizzazione del posto di lavoro, correlandosi ad una obbligazione con facoltà alternativa, della quale l'unico oggetto è costituito dalla reintegrazione, presuppone necessariamente l'attualità dell'obbligo di reintegrazione, per cui la richiesta stessa non può essere accolta quando il lavoratore abbia già ripreso servizio, manifestando pertanto in tal modo (e confermando con la prosecuzione dell'attività lavorativa) una volontà incompatibile con la rinunzia alla prosecuzione del rapporto implicita nel suddetto potere di sceltas

Da tale inquadramento della fattispecie emerge il principio secondo cui la "revoca" del licenziamento e l'invito a riprendere servizio (ovvero, siccome verificatosi nella fattispecie, a proseguire nel servizio) non possono sottrarre al prestatore il diritto all'indennità sostitutiva, il cui esercizio verrebbe altrimenti ad essere rimesso di fatto al datore di lavoro. Tale principio, del resto ha trovato a più riprese espressione nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità (Cass. sez. lav., 21.12.1995, n. 13047; Cass. sez. lav., 5.12.1997 n. 12366), la quale ha escluso che l'opzione possa essere esercitata nella (sola) ipotesi in cui sia venuta meno l'attualità dell'obbligo di reintegrazione per essere stata ripristinata la funzionalità di fatto del rapporto di lavoro, attraverso una manifestazione, da parte del lavoratore, di una volontà che risulti incompatibile con la rinuncia alla prosecuzione del rapporto stesso, implicita nella dichiarazione di scelta>.

3 Cass. n. 2068/1988; Cass. n. 5969/1991.

4 Cass. n. 10085/1993 e Cass. n. 5969/1991, richiamate in motivazione ed in senso adesivo da Cass. n.

12102/2004. In particolare quest5ultima pronuncia ha ritenuto che <in tema di conseguenze del licenziamento illegittimo, il risarcimento del danno stabilito dall'art. 18 legge n. 300 del 1970 nella misura minima di cinque mensilità con presunzione "iuris et de iure", essendo assimilabile ad una sorta di penale collegata al rischio di impresa, è dovuto in ogni caso, per il solo fatto dell'intervenuto licenziamento illegittimo, e indipendentemente dalla necessità di un intervento reintegratorio, perciò anche quando il rapporto di lavoro abbia avuto una interruzione inferiore ai cinque mesi o non abbia avuto alcuna interruzione, a prescindere dall'esistenza di una "colpa" del datore di lavoro, quindi a prescindere da

2. Limite alla operatività della nuova disciplina ai soli casi di invalidità del licenziamento

A seguito della riforma ora, se la revoca è tempestivamente comunicata5, Ynon trovano applicazione i regimi sanzionatoriZ introdotti con la riforma. Pertanto, ancorché il licenziamento sia invalido per una delle ragioni di legge, la invalidità rimane priva di sanzione, con la conseguenza che parte datoriale può liberamente intimare un licenziamento illegittimo, attendere la reazione del lavoratore licenziato ed eventualmente revocarlo, semplicemente ripristinando il segmento retributivo omesso (in pratica settantacinque giorni di paga)6. In definitiva sarebbe sufficiente che il datore di lavoro ammetta di essersi sbagliato perché le conseguenze siano limitate al solo ripristino del rapporto, senza alcun onere diverso da quello che avrebbe sopportato se il lavoratore non fosse stato licenziato.

Questo meccanismo dovrebbe, pertanto, condurre ad escludere che per la sua operatività sia necessario il consenso del lavoratore e, quindi, che la revoca sia accettata. Si tratta, all5evidenza, di un potere unilaterale che, se esercitato tempestivamente, paralizza gli effetti del licenziamento e ripristina automaticamente il rapporto, conseguenza ricavabile dalla esclusione di ogni conseguenza sanzionatoria che renderebbe inutiliter actum il dissenso e la prosecuzione dell5azione di impugnativa.

Tutto ciò rimane confermato anche dalla ratio legis dell5intervento normativo nel suo complesso (che si risolve in una disciplina destinata ad agevolare il recesso datoriale od a limitarne le conseguenze); tuttavia, occorre verificare se tale ricostruzione non subisca dei limiti di applicazione o se l5ordinamento non appresti rimedi diversi ed ulteriori.

Ed infatti logica di sistema impone di escludere, in primo luogo, che la regola della revoca, come enunciata dalla norma in commento, possa trovare applicazione nel caso di licenziamento nullo di cui al comma 41 dell5art. 1 l.

92/2012, casi per i quali anche la Riforma Fornero prevede una disciplina

un'eventuale revoca del licenziamento, a meno che tale revoca, intervenendo nell'assoluta immediatezza del licenziamento, non sia tale (per modi, tempi e forme) da proporsi all'esterno come manifestazione di una medesima (contraddittoria) volontà, atteso che in questo caso (e solo in esso), venendo a mancare la riconoscibilità esterna dell'atto di licenziamento (e perciò la sua stessa giuridica esistenza), mancherebbe il presupposto per il risarcimento nella indicata misura minima, dovendo peraltro rilevarsi che una revoca siffatta non deve essere necessariamente espressa, ma può pure essere tacita e manifestarsi all'esterno (anche) attraverso la continuazione del rapporto di lavoro senza alcuna interruzione purché il giudice di merito, con indagine di fatto, accerti che tale revoca, benché tacita, presenta univocamente (in relazione ai modi, i tempi, le forme e le circostanze in cui si è esplicitata), le caratteristiche sopra dedotte, perciò sia tale da "sovrapporsi" al licenziamento, inficiandone la manifestazione esterna e perciò impedendone la giuridica esistenza>.

5 È da intendersi che la revoca sia atto unilaterale recettizio, secondo la regola generale. La disposizione in esame fa riferimento alla effettuazione della revoca, ma deve ritenersi che essa, nel termine di quindici giorni, debba pervenire nella sfera di conoscibilità del destinatario.

6 V. sul punto L. Franceschinis, Revoca del licenziamento e riforma Monti-Fornero, in Riv. crit. dir. lav., 2012, p. 247, nota a Cass. n. 3043/2012, che, ribadito l5indirizzo giurisprudenziale sopra richiamato, ha valorizzato il consenso del lavoratore riconoscendogli in caso di dissenso al rientro in servizio il diritto alla indennità sostitutiva della reintegrazione.

sanzionatoria piena (reintegrazione e risarcimento del danno) ed in tal senso si era già espressa la Suprema Corte7.

È, poi, da ritenersi che ad identica conclusione debba pervenirsi quando si tratti di licenziamento inefficace perché intimato in forma orale, posto che il comma 41 citato equipara tale ipotesi a quella del recesso dichiarato nullo. Anche in questo caso, dunque, la revoca datoriale non potrebbe elidere l5interesse del lavoratore licenziato ad azionare il suo diritto al risarcimento del danno nelle cinque mensilità minime ed alla richiesta delle mensilità previste dalla legge in luogo della reintegra8.

Dunque, sembra conforme ai principi ritenere che la revoca tempestiva, così come descritta dalla riforma, possa trovare applicazione soltanto nei casi di invalidità del licenziamento o comunque diversi da quelli previsti dai primi tre comma dell5art. 18, come riformulati dalla lett. b) del comma 41.

3. La possibile ulteriore risarcibilità del danno procurato

Così delimitata l5area di operatività della nuova disciplina della revoca tempestiva, un secondo quesito interpretativo attiene alla verifica della pretesa esaustività della fattispecie descritta del riformatore; se cioè al lavoratore licenziato, in caso di revoca tempestiva, possa competere altro rispetto alla sola ricostruzione retributiva, che è quanto, apertis verbis, sembra prevedere la norma in esame.

Condividendo senza riserve quanto sostenuto da parte della dottrina9, è possibile sostenere che la operazione datoriale autorizzata dalla riforma non possa sottrarsi ad una ulteriore di verifica di legittimità ex art. 2087 c.c., quando tale ultima disposizione si occupa di tutelare la personalità morale del lavoratore.

Comminare un licenziamento illegittimo e, poi, a seguito dell5impugnativa del

7 Cass. n. 10085/1993, che spiega in motivazione che <nel casosdi licenziamento nullo, che, cioè, in quanto tale, non produce effetti, la così detta revoca non è, in realtà, che la presa d'atto della nullità medesima>. Al riguardo v. pure Cass. n, 15093/2000, per la quale <il licenziamento nullo per illiceità del motivo (nella specie, dettato da finalità elusive di precedente pronuncia giudiziale di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro) è insuscettibile di produrre qualsiasi effetto, con la conseguenza che al lavoratore licenziato, indipendentemente dai requisiti dimensionali dell'impresa, spettano per intero, in base alle regole di diritto comune, le retribuzioni maturate in forza del rapporto di lavoro mai interrotto e parte datoriale deve essere condannata a riammetterlo in servizio ed a versare i contributi previdenziali ed assistenziali dal momento del recessoZ(v. pure in motivazione: Y Trova dunque applicazione nella fattispecie il principio (già affermato dalla giurisprudenza di legittimità: cfr, Cass., nn. 18537/2004; 7176/2003;

6396/1998, in motivazione), secondo cui il licenziamento nullo è insuscettibile di produrre qualsiasi effetto, con la conseguenza che al lavoratore licenziato, indipendentemente dai requisiti dimensionali dell'impresa, spettano per intero, in base alle regole di diritto comune (art. 1418 c.c.), le retribuzioni maturate in forza del rapporto di lavoro mai interrotto e che la parte datoriale va condannata a riammetterlo in servizio e a versare i contributi previdenziali e assistenziali dal momento del recesso>.

8 V. Cass. n. 10085/1993, secondo cui <il ripensamento o la resipiscenza successivi del datore di lavoro che revochi il licenziamento nullo non incide sull'ormai già sorto diritto al risarcimento, neppure con una ricostruzione ex tunc del rapporto di lavoro (cui, peraltro, nel caso di specie, il lavoratore non si è prestato), non prevedendo il citato art. 18 alcuna forma di rimedio per evitare il detto risarcimento quale conseguenza del licenziamento, il che agevolmente si spiega col danno che il lavoratore ha subito per l'interruzione del suo rapporto di lavoro (danno di immagine, di relazione ecc.) e il cui risarcimento è stato fissato dal legislatore in una misura comunque non inferiore a cinque mensilitàZ. V. pure, da ultimo, Cass. n. 2958/2012 secondo cui <la revoca da parte del datore di lavoro del licenziamento a seguito dell9impugnazione da parte del lavoratore non priva quest9ultimo del diritto di chiedere l9indennità sostitutiva della reintegrazione prevista dal 5° comma dell9art. 18 s.l.Z

9 L. Franceschinis, op. loc. cit.

Nel documento Commentario riforma Fornero (legge 92/2012) (pagine 197-200)

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