IL LAVORO NON SUBORDINATO: CONTRATTO A PROGETTO di Graziella Mascarello
2. La portata dellWintervento riformatore nellWindividuazione del GprogettoL
Le previsioni del nuovo testo dell5art. 61, primo comma, D.Lgs. n. 276/2003 danno prova dell5attenzione prestata dal legislatore ai numerosi interrogativi ed
7 Una valutazione vicina a quella (già richiamata sub nota 1) di P. Ichino caratterizza il positivo commento di M. Leonardi e M. Pallini sia sulla riforma nel suo complesso sia sugli interventi che hanno a specifico oggetto il lavoro a progetto, attribuendo, in particolare, alla previsione di una <serie di meccanismi di presunzione> il merito di avere non solo realizzato <un sistema di repressione degli abusi>, ma anche di avere introdotto <una nuova e più chiara ripartizione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo in coerenza con le indicazioni della Corte di Giustizia europea che li distingue non in relazione al tipo di vincolo rispetto al committente (se subordinazione o coordinamento), ma rispetto alla loro posizione sul mercato, identificando sostanzialmente il lavoratore autonomo con una mimpresa individuale5 capace di vendere a terzi un bene o un servizio (anche professionale o consulenziale)> (La riforma Fornero osservata senza pregiudizi, in www.pietroichino.it);
8 In tale area rientrano anche coloro che, nel vivace dibattito che ha preceduto la riforma Biagi, avevano sostenuto la opportunità di imboccare la diversa strada della neutralizzazione della dicotomia tra lavoro subordinato e lavoro autonomo o attraverso la introduzione di un tertium genus o attraverso la codificazione di uno <Statuto dei lavori>; per un quadro delle proposte avanzate in tal senso si veda M. Tiraboschi (Quale regolamentazione per le collaborazioni coordinate e continuative, in Guida Lav., 2001, n. 9);
9 Tra i più aspri oppositori della originaria versione e, ancor più, della nuova versione della normativa sul lavoro a progetto indubbiamente primeggia A. Vallebona. Le sue censure percorrono tutte le misure in tesi adottate al fine di ovviare al <pericolo di un abuso del lavoro parasubordinato come via di fuga dalle tutele del lavoro subordinato>, ritenendo già in contrasto con gli artt. 3, 4, 35 e 41 le originarie previsioni del primo comma dell5art. 61 d.lgs. n. 276/2003 e, a maggior ragione, le disposizioni di cui al comma 1 del successivo art.
69, che egli legge fin dall5origine come fonte di presunzione assoluta (Istituzioni di diritto del lavoro. II Il rapporto di lavoro, quinta edizione, Cedam, Padova).
10 Tra questi M. Tiraboschi, Una riforma a metà del guado. Prime osservazioni sul ddl 3249/2012, in Adapt Press, aprile 2012, già favorevole alla riforma Biagi, che contesta invece la bontà della riforma Monti/Fornero, ritenendola concettualmente sbagliata perché pretende di ingabbiare con norme inderogabili la crescente varietà dei lavori nel tipo unico del lavoro subordinato.
incertezze interpretative che, generati dalla sua precedente formulazione, hanno messo a rischio, insieme alla lettura ora come assoluta ora come relativa della presunzione di cui al successivo art. 69, primo comma, l5incisività antielusiva del modello introdotto dal decreto per le collaborazioni coordinate e continuative11.
Le numerose sentenze riferite al mvecchio5 testo evidenziano le frequenti distorsioni che hanno accompagnato l5utilizzazione della innovativa fattispecie introdotta dal legislatore del 2003, non di rado sol funzionale e né più né meno di quanto già accadeva con la mclassica5 collaborazione coordinata e continuativa di cui all5art. 409, n. 3, c.p.c. e al camuffamento di rapporti di lavoro di natura subordinata.
Esse forniscono, però, anche preziose indicazioni sulle ragioni che, a prescindere dalla buona o mala fede, possono avere favorito una sua applicazione pratica non conforme, se non già alla stretta lettera della legge, al significato suggerito dalle sue finalità.
Le controversie decise offrono, infatti, esempi assai diversificati dell5interpretazione data (laddove data) dai committenti ai canoni del lavoro a progetto, tracciando un quadro in cui convivono, a fianco di casi nei quali la difformità dal tipo legale era di plateale evidenza (o perché mancava qualsivoglia progetto o perché esso si esauriva in una <formula indeterminata> e/o assolutamente generica) o comunque di agevole rilievo (stante la mera elencazione di mansioni, per di più spesso rientranti nell5area di specifica attività del committente), anche casi in cui la decisione ha comportato valutazioni più raffinate e la necessità, talvolta, di operare una selezione tra significati eventualmente diversi della norma o di sue parti, ciascuno in sé plausibile, ma tra loro disarmonici.
Tra i molti problemi interpretativi che la magistratura del lavoro ha dovuto affrontare uno dei più complessi, anche per le ricadute sostanziali della scelta dell5una o dell5altra lettura, è indubbiamente stato quello creato dal riferimento operato dalla norma, in alternativa ad <uno o più progetti>, anche ai <programmi di lavoro o fasi di esso>.
Sul significato e, ancor più, sulla portata di tali rinvii tra loro alternativi si sono registrate differenti prese di posizione in dottrina, con echi anche nell5interpretazione giurisprudenziale, a partire da chi, contestando l5utilizzazione di una terminologia propria del linguaggio comune, priva di un diretto riscontro nel lessico giuridico, ha ritenuto addirittura inintelliggibile l5indicazione legislativa12 fino a chi ha ritenuto di poter ricondurre ad un5unica
11 M. Luzzana, F. Collia, Il lavoro a progetto: spunti di comparazione con le discipline in Europa, in www.bollettinoadapt.it, n. 6/2012, secondo cui <i dubbi interpretativi suscitati dagli articoli 61 e seguenti del D.Lgs. n. 276, tra cui in primis quello relativo all5art. 69, hanno condizionato negativamente>, fin dall5esordio dell5istituto, <proprio la certezza della disciplina, frustrando uno degli obiettivi della riforma>.
12 V. in tal senso Mezzocapo, La fattispecie lavoro a progetto, in Dir. Lav. Merc., 2005, p. 393, e M. Pedrazzoli, Tipologie contrattuali a progetto e occasionali. Commento al titolo VII del d.lgs. n. 276/2003 in AA.VV., Il nuovo mercato del lavoro, Zanichelli, Bologna 2004, che, riferendosi tanto al progetto quanto ai programmi di lavoro o fasi di esso, considera inutile ogni sforzo esegetico, stante la vaghezza <semantica del linguaggio usato>. A tale (sconfortante) valutazione fa riferimento, condividendola e recependola in motivazione Trib. Bologna n. 18 del 2007.
nozione i tre termini, parlando di endiadi o di sinonimi13.
Per quanto, però, definizioni indubbiamente a-tecniche progetto/ programma di lavoro/fasi di esso non solo richiamano concetti tutt5altro che equivalenti o anche solo assimilabili14, ma sono anche separati da una disgiunzione e non da una congiunzione, talché il tentativo di ignorare o, comunque, superare a monte la loro sostanziale diversità non ha avuto grande seguito.
La triplicazione del requisito cui, nella originaria formulazione della norma, dovevano essere <riconducibili> le collaborazioni coordinate e continuative ex art.
409, n. 3, cit. ha di fatto dato luogo a due opposti schieramenti in cui, pur con le differenze esistenti anche al loro interno quanto a ragioni poste a fondamento della rispettiva scelta, si sono in buona sostanza raggruppati, da una parte, i sostenitori di un5interpretazione che, rigorosamente circoscritta al dato letterale (e, in particolare, all5equivalenza stabilita tra progetto/programma/fasi) giustificava l5utilizzabilità del lavoro a progetto anche per la realizzazione di opera o servizi e, dall5altra parte, i sostenitori di un5interpretazione che, estesa anche agli ulteriori messaggi provenienti dallo stesso primo comma dell5art. 61 (e, in particolare, al riferimento anche allora già operato al risultato, per quanto in posizione decentrata rispetto all5attuale), la limitava invece al solo conseguimento di un opus.
Il legislatore del 2012 ha opportunamente posto fine all5ambiguità creata da indicazioni di difficile conciliabilità, optando tra le due per l5interpretazione che, limitandola al solo conseguimento di un opus, più ostacola la possibilità di avvalersene, come spesso è accaduto15, per l5acquisizione di prestazioni equivalenti a quelle usualmente fornite dai lavoratori subordinati.
Tale scelta è stata innanzi tutto attuata attraverso la soppressione del precedente riferimento anche ai <programmi di lavoro o fasi di esso>16, cui ha fatto coerentemente seguito il primario rilievo attribuito al risultato.
Come si è già anticipato, il riferimento al risultato non mancava neppure nel testo originario, dove e però e esso veniva richiamato non in diretta relazione con il progetto, ma solo come obiettivo al quale il collaboratore avrebbe dovuto conformare la gestione autonoma del progetto (e allora anche del programma di
13 V. Trib. Genova 7 aprile 2006, in Arg. dir. lav., 2007, p. 241. Di sinonimi parla, invece, G. Proia entrando, però, come ritiene M. Marazza (op. loc. cit., nota 25), in contraddizione con se stesso nel momento in cui sostiene che il contratto a progetto può riferirsi anche ad obbligazioni di mezzi e non solo di risultato.
14 M. Miscione, Il collaboratore a progetto, in Lav. Giur., n. 9/2003, ne offre una condivisibile definizione ritenendo che il progetto è indicativo di <un5ideazione accompagnata da uno studio di attuazione>, mentre il programma di lavoro (eventualmente segmentato in fasi di minor ampiezza) è <un5enunciazione particolareggiata di ciò si vuol fare per realizzare l5ideazione>..
15 Numerosissime sono le sentenze che hanno accertato la prassi di mincarichi5 che, formalmente mricondotti5 ad un progetto o programma o fasi, si risolvevano di fatto nella messa a disposizione da parte del collaboratore di mere energie lavorative, di cui il committente si avvaleva per far fronte alle (variabili) esigenze produttive dell5ordinaria attività aziendale. Tra le più recenti, di particolare interesse è App. Firenze 14 novembre 2011, in Riv. crit. dir. lav., 2012, p. 105, con nota di I. Romoli, Rapporto di lavoro a progetto e riforma Biagi: ancora sulla presunzione legale di subordinazione e trasformazione del rapporto, che riguarda una ipotesi di cd. mlavoro in fabbrica5, rispetto al quale è stata ritenuta operante una presunzione di dipendenza ex art. 2094 c.c. (Cass. n.
18692/2007; Cass. n. 21028/2006; Cass. n. 417/2006) in considerazione della adibizione del collaboratore, all5interno appunto dell5azienda, a mansioni normalmente svolte in regime di subordinazione.
16 Anche i riferimenti operati <ai programmi di lavoro o fasi di esso> nel comma 1 dell5art. 67, nonché nel comma 1 dell5art. 68 e nei commi 1 e 3 dell5art. 69 sono stati soppressi, il primo dalla lett. d) e gli altri due dalla lett. f) sempre dall5art. 1, comma 23, l. n. 92/2012.
lavoro o sue fasi) determinato dal committente.
L5attuale formulazione (<Il progetto deve essere funzionalmente collegato ad un determinato risultato>), a cui fa eco anche la modifica apportata alla lett. b) del primo comma dell5art. 62 (<descrizione del progetto, con individuazione del suo contenuto caratterizzante e del risultato finale che si intende conseguire>), non solo eleva il risultato e la sua precisa individuazione fin dall5origine a elemento costitutivo dello stesso progetto, ma anche chiarisce, al di là di ogni possibile dubbio, che il conseguimento di un dato risultato (e non le prestazioni di lavoro in sé e, tantomeno, la loro modalità di esecuzione) deve rappresentare il vero ed unico interesse del committente alla stipulazione di un contratto di lavoro a progetto.
Alle modifiche riferite alla struttura della fattispecie sono poi stati affiancati due divieti che ne restringono l5area di applicazione.
Il primo stabilisce che <il progetto non può consistere in una mera riproposizione dell9oggetto socialeZ, senza molto aggiungere, per la verità, non solo alle conclusioni, pressoché univoche, cui era già da tempo approdata la giurisprudenza17, ma neppure alle indicazioni già date in tal senso dalla pur mprudente5 circolare ministeriale n. 1/200418, in seguito meglio specificate dalla circolare ministeriale n. 17/200619.
L5esclusivo e laconico riferimento operato allo moggetto sociale5 non lascia, d5altra parte, molto spazio alla possibilità di attribuirgli altri significati ed, in particolare, di ipotizzare che l5introduzione di detto divieto possa essere stata in qualche modo stimolata dagli interrogativi, pur circolati in dottrina, quanto a temporaneità o meno delle esigenze che potrebbero essere legittimamente soddisfatte attraverso il ricorso al lavoro a progetto. La risposta positiva data da alcuni commentatori20 non ha avuto significative ricadute nelle sentenze, dove solo raramente tale problematica è stata affrontata e ritenuta decisiva o solo sfiorata e ritenuta non decisiva.
Lo sfoltimento, a seguito delle modifiche apportate al comma 1 dell5art. 61, delle questioni che hanno finora assorbito gran parte del contenzioso in tema di lavoro a progetto incrementerà verosimilmente le occasioni e la necessità per i giudici del lavoro di pronunciarsi sull5essenzialità o irrilevanza per l5instaurazione di un
17 V. da ultimo App. Firenze 17 gennaio 2012, inedita allo stato, dove si chiarisce che il progetto, pur potendo rientrare nel normale ciclo produttivo, non si deve confondere con l5attività principale dell5azienda, anche se
<con essa necessariamente si coordina come suo aspetto specifico o particolare o ad essa apporta un quid pluris connesso alla professionalità del collaboratore>.
18 <Il progetto può essere connesso all5attività principale o accessoria dell5azienda>.
19 <Le collaborazioni n, pur potendo essere connesse all5attività principale o accessoria dell5azienda e come specificato dalla circolare 1 dell58 gennaio 2004 e non possono totalmente coincidere con la stessa o ad essa sovrapporsi>.
20 P. Ichino, L9anima laburista della legge Biagi, subordinazione e dipendenza nella definizione della fattispecie di riferimento del diritto del lavoro, in Giust. civ., 2005, II, p. 131, che già con riferimento alla riforma Biagi ha messo in rilievo che il progetto ha strutturalmente la funzione di rispondere ad un interesse mtemporaneo5 del committente; M. Magnani, Spataro, Il lavoro a progetto, in www.lex.unict.it.; R. De Luca Tamajo, Dal lavoro subordinato al lavoro a progetto>, in www.lex.unict.it; S. Brun, Primi orientamenti della giurisprudenza di merito sul lavoro a progetto: prevale la linea nmorbida5, in Riv. it. dir. lav., 2006, II, p. 330, ha apprezzato <la teoria che assegna alla temporaneità dell5esigenza soddisfatta dalla prestazione di lavoro dedotta nel contratto di lavoro a progetto l5elemento dirimente per appurare la reale riconducibilità della prima nel secondo> come la <più condivisibile da un punto di vista giuridico e la più opportuna ai fini della trasposizione applicativa dell5istituto>.
valido rapporto di lavoro a progetto del requisito della temporaneità, con il conseguente rischio o beneficio, a seconda che si ritenga tale eventualità negativa o positiva, di un5ulteriore restrizione del suo effettivo campo d5azione.
Il secondo divieto stabilisce che <il progetto non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi, che possono essere individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale>.
Difficile è capire le ragioni che possono aver indotto il legislatore ad introdurre questo divieto proprio in concomitanza con l5eliminazione del riferimento ai programmi di lavoro o sue fasi e con la sostanziale identificazione dello specifico progetto con un risultato predeterminato.
Se, infatti, per le collaborazioni coordinate e continuative ancora riferibili, in buona sostanza, a meri piani o sub-piani di lavoro aumentava a dismisura, nel caso in cui esse avessero ad oggetto prestazioni meramente esecutive o ripetitive, il rischio di una utilizzazione del contratto a progetto come mero strumento di reperimento di manodopera da inserire nel normale ciclo produttivo aziendale, la loro limitazione ai soli progetti, per di più funzionali al conseguimento di uno specifico risultato, dovrebbe già da sola essere in grado di riportare anche per simili prestazioni la percentuale di rischio ad un livello analogo o sol di poco inferiore a quella delle prestazioni più qualificate21.
Non è, perciò, del tutto azzardata l5ipotesi che, più che da scopi antielusivi, anche la sua previsione faccia parte di un piano più vasto di riduzione dell5area di applicazione del lavoro a progetto.
Quale che sia, in ogni caso, la ratio del divieto, che per la prima volta supera <il consolidato principio secondo cui qualsiasi attività lavorativa economicamente valutabile> può <essere dedotta in un contratto di lavoro subordinato o autonomo a seconda delle modalità di svolgimento della prestazione>22 e che è già stato oggetto di censure di incostituzionalità 23, la riserva a favore della contrattazione collettiva ai fini della mpossibile5 individuazione dei compiti cui esso si estende pone, a causa della sua mvaga5 formulazione, il problema del livello di contrattazione cui si riferisce la delega 24.
Non dovrebbero in ogni caso esservi dubbi, a maggior ragione ove si consideri l5uso del verbo mpuò5 che accompagna la delega, che non solo ovviamente in mancanza (stante l5immediata operatività del divieto), ma anche in presenza di
21 Di indubbio interesse è, a confutazione della convinzione dell5inevitabile dipendenza che caratterizza le prestazioni di lavoro di basso livello, Cass. n. 8569/2004, ove si legge <se l5attenuazione del potere direttivo e disciplinare n è stata di solito riscontrata nella giurisprudenza di legittimità in relazione a prestazioni lavorative dotate di maggiore elevatezza e di contenuto intellettuale e creativo (quali, ad esempio, quelle del giornalista), va rilevato, tuttavia che un analogo strumento discretivo può validamente adottarsi, all5opposto, con riferimento a mansioni estremamente elementari e ripetitive, le quali, proprio per la loro natura, non richiedono in linea di massima l5esercizio di quel potere gerarchico che si estrinseca e secondo quanto asserito in numerosissime pronunce di questa Corte e nelle direttive volta a volta preordinate ad adattare la prestazione alle mutevoli esigenze di tempo e di luogo dell5organizzazione imprenditoriale e nei controlli sulle modalità esecutive della prestazione lavorativa>.
22 M. Marazza, op. cit., p. 15.
23 A. Perulli, Il lavoro autonomo e parasubordinato nella riforma Monti, in www. cosmag.it.
24 M. Marazza, op. cit., p. 15-16, secondo cui mentre <non v5è dubbio che per i lavoratori l5accordo deve essere sottoscritto da sindacati nazionali comparativamente più rappresentativi non è affatto chiaro se possa trattarsi anche di un contratto collettivo aziendale (dunque sottoscritto da una singola impresa, seppure con le organizzazioni dei lavoratori di livello nazionale)>.
accordo sindacale, sia percorribile la strada del sindacato giudiziale ai fini della corretta qualificazione, come esecutivi/ripetitivi o meno, dei compiti oggetto del contratto.
Tranne la eliminazione delle parole <in funzione del risultato> che completava le indicazioni riferite alla gestione del progetto (e allora anche dei programmi di lavoro o sue fasi) da parte del collaboratore, nessun5altra modifica è stata apportata all5originario testo del primo comma dell5art. 61.
Continuano, perciò, a restare esclusi dall5area di applicazione del lavoro a progetto gli agenti ed i rappresentanti di commercio, così come restano ancora escluse le altre specifiche ipotesi di cui al secondo e terzo comma dello stesso articolo che, al pari del quarto comma, hanno mantenuto loro originaria formulazione.