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La irragionevolezza della nuova disciplina

Nel documento Commentario riforma Fornero (legge 92/2012) (pagine 156-160)

IL LICENZIAMENTO PER MOTIVI ECONOMICI di Carla Ponterio

5. La irragionevolezza della nuova disciplina

La pretesa di far derivare dalla illegittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo una tutela differenziata, reintegratoria in alcuni casi, indennitaria in altri, presenta vari aspetti di criticità.

Il primo attiene alla debolezza del criterio discretivo adottato, fondato sulle categorie di insussistenza del fatto posto a base del licenziamento e mancanza degli estremi del giustificato motivo oggettivo, che non hanno alcun appiglio nella definizione normativa e il cui contenuto è di non semplice delimitazione.

La scissione del giustificato motivo oggettivo in due sottofattispecie non solo appare incompatibile con l5art. 3 n. l. 604/1966, che enuncia un concetto unitario, ma impone al giudice di sezionare l5accertamento in compartimenti stagni contro il senso e la logica delle formule elastiche appositamente adoperate.

Il secondo punto critico riguarda il difetto di ragionevolezza nella disciplina.

14 A. Maresca, op. cit., p. 18, secondo cui ciò che assume particolare rilievo è proprio <la verifica in ordine alla sussistenza/insussistenza del fatto posto a base del licenziamento (perché)suna volta assodata la sussistenza del fatto, ciò è sufficiente a scartare l9applicazione della reintegrazione e ad adottare la condanna del datore di lavoro al pagamento dell9indennità risarcitoria onnicomprensiva>.

15 Su cui per tutti, v. R. Sanlorenzo, I limiti al controllo del giudice in materia di lavoro, in F. Amato, S. Mattone (a cura di), La controriforma della giustizia del lavoro, Quaderno Quest. Giust., n. 28, p. 23 ss.

16 Cfr. Comunicato stampa del Ministro del 23.3.2012 ove è precisato: Ycon la riforma si riduce l9incertezza che circonda gli esiti dei procedimenti eventualmente avviati a fronte del licenziamento. A tal fine, si introduce una precisa delimitazione dell9entità dell9indennità risarcitoria eventualmente dovutas>.

Sia che si legga il termine <fatto> come fatto materiale, sia che lo si interpreti come comprensivo del nesso causale o addirittura come coincidente con la fattispecie giuridica di giustificato motivo oggettivo elaborata dalla giurisprudenza, non si riesce ad individuare un fondamento razionale e di giustizia nella diversità di disciplina tra le due sottofattispecie.

Se il fatto posto a base del licenziamento fosse solo quello materiale (ad es. una modifica organizzativa con soppressione di uno o più posti di lavoro) e risultasse manifestamente insussistente, potrebbe trovare applicazione la tutela reintegratoria; se quel medesimo fatto fosse esistente ma non causalmente rilevante rispetto alla posizione del lavoratore, sarebbe precluso ogni effetto ripristinatorio ed il lavoratore potrebbe ottenere solo l5indennità risarcitoria.

Se si facesse rientrare nel fatto posto a base del licenziamento oltre al fatto materiale anche il nesso eziologico, potrebbe disporsi la reintegra se la modifica organizzativa fosse insussistente o non determinante rispetto alla posizione del dipendente, mentre vi sarebbe spazio soltanto per la tutela indennitaria qualora esistesse la possibilità di ricollocare quest5ultimo in altre mansioni equivalenti e disponibili.

Così, seguendo le possibili letture del termine <fatto> ed esteso quest5ultimo fino a comprendere tutti i requisiti elaborati dalla giurisprudenza per il motivo oggettivo, potrebbe adottarsi la reintegra se, ad esempio, fosse violato l5obbligo di repèchage, nel rispetto degli altri estremi del giustificato motivo oggettivo, mentre il lavoratore avrebbe diritto unicamente alla tutela indennitaria se il licenziamento risultasse adottato per fini di incremento del profitto.

Occorre in proposito considerare che non è in alcun modo mutato il contesto costituzionale di riferimento e che quindi anche il nuovo art. 18 deve essere letto in assoluta coerenza con le disposizioni delle Carte europee (art. 30 della Carta di Nizza recepita dal Trattato di Lisbona; art. 24 della Carta Sociale Europea, ratificata con la l. n. 30/99; Convenzione Oil n. 158/82) e con gli artt. 4, 35, 41, comma 2, Cost., che impongono la ricerca di un punto di equilibrio tra l5esercizio della libertà economica e l5esigenza di protezione della dignità del lavoratore.

Se è vero che, secondo l5art. 41 Cost., l5assetto organizzativo e produttivo dell5impresa è rimesso alla libera valutazione del datore di lavoro, è altrettanto pacifica la esistenza di limiti, costituzionalmente fissati, alla libertà di iniziativa economica a tutela di diritti fondamentali del lavoratore. Fra questi, il diritto, di rango costituzionale, alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato che trova il suo fondamento in una concezione del rapporto di lavoro come situazione sociale alla cui stabilità sono legati interessi del lavoratore che trascendono il credito retributivo e che costituiscono Yil presupposto (di diritto ma anche di fatto) per la intitolazione del complesso dei beni della vita che hanno fondamento nella condizione sociale di occupatoZ17.

Come costantemente ribadito dalla giurisprudenza, gli interessi coinvolti nel rapporto di lavoro impediscono di ricondurre questo esclusivamente ad una fattispecie di scambio in quanto <il prestatore, attraverso il lavoro reso all9interno dell9impresa, da intendere come formazione sociale ai sensi dell9art. 2 Cost., realizza non

17 M. D5Antona, Tutela reale del posto di lavoro, in Enc. Giur. Treccani, p. 2.

solo l9utilità economica promessa dal datore ma anche i valori individuali e familiari indicati nell9art. 2 cit. e nel successivo art. 36>18.

Da un altro punto di vista, la reintegra nel posto di lavoro rappresenta, nell5ambito della responsabilità contrattuale, applicazione coerente dei principi generali che pongono a carico della parte inadempiente l5obbligo di risarcire tutti i danni subiti dalla controparte.

Nell5ambito generale del diritto privato, l5art. 2058 c.c. pone come regola l5obbligo di reintegrazione in forma specifica, se giuridicamente e materialmente possibile, e subordina il risarcimento per equivalente alla condizione che la reintegra risulti, secondo il giudice, eccessivamente onerosa per il debitore, ciò in coerenza con l5art. 24 Cost. che costituisce la traduzione, sul piano processuale, del medesimo principio.

La conclusione, che valorizza la tutela contrattuale in forma specifica come regola, <serve a maggior ragione nel diritto del lavoro non solo perché qualsiasi norma settoriale non deve derogare al sistema generale senza necessitàsma anche perché il diritto del lavoratore al proprio posto, protetto dagli artt. 1, 4 e 35 Cost., subirebbe una sostanziale espropriazione se ridotto in via di regola al diritto ad una sommaZ19.

Ora, è vero che nel nostro sistema la tutela reintegratoria è priva di copertura costituzionale come dimostra la esistenza nel regime previgente, accanto alla tutela reale, di una tutela cd. obbligatoria, dettata dall5art. 8 l. n. 604/1966.

Ma in virtù dei principi finora enunciati, che garantiscono la tutela contro il licenziamento ingiustificato e indicano come regola, nel nostro ordinamento, il ristoro in forma specifica, specie laddove siano lesi diritti fondamentali del lavoratore, la scelta legislativa di prevedere la reintegra e il suo spazio di operatività non può che obbedire a criteri di proporzionalità e ragionevolezza, laddove <la proporzionalità rappresenta il filo conduttore del razionale/ragionevole che modella l9articolazione delle logiche sottese, rispettivamente, all9azione economica dell9imprenditore e ai diritti e alle libertà del lavoratoreZ20.

Nel sistema in vigore fino alla riforma del 2012, la previsione di una tutela differenziata contro i licenziamenti illegittimi era legata alle diverse dimensioni aziendali e rispetto ad essa si è, comunque, posto il problema della possibile violazione del principio di uguaglianza e ragionevolezza, sancito dall5art. 3 della Carta fondamentale.

La Corte costituzionale ha sempre giudicato ragionevole e insindacabile la disparità tra i lavoratori delle grandi e delle piccole imprese in base a due presupposti: il primo legato alla necessità di non gravare di costi eccessivi le imprese di minori dimensioni21; il secondo fondato sulla particolare fiduciarietà delle relazioni di lavoro nelle piccole imprese, ritenute incompatibili con la ricostruzione integrale degli effetti del rapporto, propria della tutela reale22.

18 Cass. S.U., sent. n. 141/2006.

19 cfr. Cass. S.U., sent. n. 613/1999.

20 A. Perulli, I concetti qualitativi nel diritto del lavoro: standard, ragionevolezza, equità, in Dir. lav. merc., 2011, III, p.

412.

21 C. cost., sent. n. 81/1969.

22 C. cost. sent. nn. 2 e 44/1986.

La disciplina introdotta con la legge del 2012 ridimensiona le ipotesi in cui opera la reintegra ed allarga correlativamente lo spazio della tutela indennitaria, senza tuttavia che ciò risponda a criteri di proporzionalità e ragionevolezza.

Infatti, il discrimine tra tutela reintegratoria e indennitaria, in aziende delle medesime dimensioni (con più di sedici dipendenti), è affidato ad elementi (fatto posto a base del licenziamento o estremi del giustificato motivo oggettivo) non solo di difficile definizione, con tutte le conseguenze in termini di incertezze applicative, ma anche non significativi di differenze sostanziali, anzi interscambiabili all5interno della nozione unitaria posta dall5art. 3 l. n. 604/1966.

E che la distanza del nuovo art. 18 da un sistema ragionevole e coerente, nel senso costituzionale dei termini, sia particolarmente elevata si ricava dall5ottica in cui il fenomeno del licenziamento è considerato.

Nonostante la nuova rubrica richiami la tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo, per la l. n. 92 l5illegittimità del licenziamento rileva solo in quanto si traduca in una sanzione per il datore di lavoro, cioè in un costo per l5impresa.

Tanto che, nel sistema sanzionatorio appositamente introdotto, viene ad essere graduata l5illegittimità del licenziamento, e quindi la gravità della risposta sanzionatoria, in base alla intensità della violazione degli obblighi da parte datoriale, obliterando del tutto il punto di vista del lavoratore e con esso la violazione degli obblighi contrattuali da parte del datore che si palesa nella perdita del posto di lavoro, nonché il concetto di reintegra quale forma di risarcimento specifico, che e come detto - l5ordinamento pone come regola generale, prediligendo una tutela dei diritti ampia ed integrale.

Di fronte ad un licenziamento che sia pacificamente illegittimo per mancanza del giustificato motivo oggettivo, la tutela della perdita del posto di lavoro viene scomposta e frazionata a seconda che la violazione delle regole da parte del datore di lavoro sia più o meno macroscopica, senza che ciò sia in alcun modo preventivabile dal lavoratore (che, nel sistema previgente, era invece consapevole, all5atto dell5assunzione, del regime di tutela, reale o obbligatoria, a cui avrebbe avuto diritto) e senza il minimo contemperamento con altri valori che non dipendano, in modo esclusivo ed assoluto, dalle scelte imprenditoriali contra legem.

La dottrina non ha mancato di esplicitare il senso e la portata di queste idee riformatrici sottolineando come adesso <la tutela reale (sia) previstassolo neiscasi di ingiustificatezza qualificatastutti indicativi di ingiustificatezza macroscopica equivalente al ntorto marcio9 del datore di lavoroZ23.

Si è, in sostanza, cercato di introdurre una ripartizione, articolata ma in fondo flebile, tra le ipotesi in cui il giustificato motivo oggettivo sia esistente, quelle in cui sia macroscopicamente inesistente e, tra questi due estremi, l5ulteriore eventualità, vera e propria zona grigia, in cui il giustificato motivo non ricorra ma la violazione delle regole e dei principi posta in essere dal datore di lavoro non appaia poi così eclatante da esigere un ripristino del rapporto di lavoro, individuandosi il punto di equilibrio tra la garanzia dei diritti del lavoratore e

23 A. Vallebona, La riforma del lavoro 2012, in www.giappichelli.it/home/978-88-7524-210-7,7524210.asp.1, § 6.

l5esigenza di lasciare all5impresa un più ampio margine di manovra e di determinazione degli organici24 nel risarcimento indennitario.

È stata così delineata una zona in cui l5imprenditore è sostanzialmente libero di licenziare, anche in difetto, non macroscopico, di un giustifico motivo oggettivo, potendo previamente calcolare il costo di tale scelta, al pari degli altri costi aziendali, e senza che in questo spazio possano interferire le valutazioni del giudice; perché ove questi ritenesse non integrato il giustificato motivo oggettivo, nessuna conseguenza deriverebbe per l5organizzazione aziendale, se non un esborso in misura preventivabile nel minimo e nel massimo.

È lo stesso concetto di giustificato motivo oggettivo ad essere stato spezzettato (con riferimento alle imprese a cui si applica l5art. 18) perché con le disposizioni della l. n. 92 l5ordinamento dà ingresso, accanto al giustificato motivo oggettivo di cui all5art. 3 l. n. 604/1966, ad un diverso giustificato motivo di recesso valido per l5impresa, ma illegittimo per l5ordinamento e comunque tale da determinare la perdita del posto di lavoro.

L5ordinamento rinuncia alla tutela in forma specifica proprio laddove sono in gioco valori e diritti fondamentali dei lavoratori, accettando di situare il punto di equilibrio di cui all5art. 41, comma 2, della Carta costituzionale nelle mani dell5impresa.

È così evidente la mancanza di proporzionalità di una simile disciplina che i tentativi dottrinari di sistemazione razionale nessun altro risultato hanno ottenuto se non quello di far emergere lo scopo ultimo del nuovo art. 18, cioè evitare, o ridurre al minimo, la reintegra, consentendo al datore di lavoro di organizzare l5impresa senza ostacoli all5aggiustamento degli organici25, inseguendo unicamente obiettivi di competitività.

In tal senso depongono le tesi che riducono la tutela del posto di lavoro ai casi estremi, di mala fede del datore che licenzia sapendo che non ricorre alcuna ragione economica26, o quelle che collegano la reintegra alla lesione di un diritto assoluto della persona, la dignità del lavoratore, e l5indennizzo agli interessi economici e professionali dello stesso27, il che equivale a dire che è sempre consentita la perdita del posto di lavoro fino al limite della umiliazione della persona.

Nel documento Commentario riforma Fornero (legge 92/2012) (pagine 156-160)

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