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La riforma del giustificato motivo oggettivo

Nel documento Commentario riforma Fornero (legge 92/2012) (pagine 149-154)

IL LICENZIAMENTO PER MOTIVI ECONOMICI di Carla Ponterio

2. La riforma del giustificato motivo oggettivo

La seconda parte dell5articolo 18, comma 7, dunque, comprende due distinte fattispecie.

La prima concerne la ipotesi in cui il giudice <accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivoZ, e per essa può trovare applicazione la tutela reintegratoria attenuata prevista dal comma 4.

La seconda fattispecie riguarda le <altre ipotesi in cui (il giudice) accerta che non ricorrono gli estremi del predetto giustificato motivoZ e, in tal caso, trova applicazione la tutela indennitaria introdotta dal comma 5.

Entrambe le fattispecie attengono alla mancata individuazione del giustificato motivo oggettivo: nel primo caso, per insussistenza del fatto posto a base della decisione di recesso; nel secondo, per difetto degli altri requisiti del giustificato motivo oggettivo, deve ritenersi, diversi dal fatto addotto dal datore di lavoro.

La legge n. 92 riprende la formula di cui all5art. 8 l. n. 604/1966 (quando il giudice accerta che non ricorrono gli estremi del licenziamento persgiustificato motivo) ma smembra la fattispecie ivi descritta enucleando, accanto alla mancanza degli estremi del giustificato motivo, la manifesta insussistenza del fatto.

Una espressione analoga è adoperata nel comma 4 dell5art. 18, come modificato dalla l. n. 92, a proposito del caso in cui <giudice accert(i) che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato>.

1 Cfr. Cass., sent. n. 7531/2010.

La insussistenza del fatto è espressione che appartiene essenzialmente al diritto e al processo penale e richiama una delle formule assolutorie (perché il fatto non sussiste) previste dall5art. 530 c.p.c.

Il giudizio di insussistenza presuppone l5esistenza di una fattispecie legale descrittiva del fatto stesso, nei suoi specifici elementi, e la verifica di mancata integrazione di uno o di alcuni di essi.

Nel diritto penale, permeato dai principi di legalità e tassatività, il fatto è quello tipico, descritto dalla norma nei suoi elementi costitutivi di condotta, evento e nesso causale2.

Il fatto non sussiste qualora il fatto concreto, addebitato all5imputato, non sia completamente sovrapponibile alla fattispecie di reato come tipizzata dalla norma incriminatrice.

La legge n. 92, regolando il regime sanzionatorio del licenziamento, utilizza la formula di insussistenza del fatto rispetto ad una fattispecie legale, contenente la definizione di giustificato motivo di licenziamento, che in realtà non contempla alcun fatto.

L5art. 3 l. n. 604/1966, concepito quale norma elastica, infatti, non definisce il giustificato motivo oggettivo attraverso il riferimento ad un fatto individuato nei suoi elementi materiali tipici, tassativi o anche solo identificabili, né separa il fatto dagli altri estremi.

La disposizione descrive la fattispecie sostanziale attraverso il riferimento alle ragioni economiche (ragioni inerenti all9attività produttiva, all9organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa), non include quindi elementi fattuali ed empirici ma rinvia a meccanismi mossi da esigenze, valutazioni ed obiettivi.

Il risultato è una problematica asimmetria tra la disposizione sostanziale e quella sanzionatoria, l5impossibilità di sovrapporre la seconda alla prima per la netta divergenza tra gli elementi la cui esistenza integra il giustificato motivo e la cui insussistenza determina la conseguenza sanzionatoria della reintegra.

Il problema nasce, probabilmente, da un vizio di fondo perché con l5art. 18, comma 7, seconda parte, si pretende di enucleare un fatto all5interno di una fattispecie regolata da norme elastiche, costruite attorno non a fatti bensì a parametri generali, a cui il giudice dovrà dare concretezza attraverso la sua attività di integrazione giuridica e attraverso giudizi di valore3.

Peraltro, la disposizione in esame non dà alcuna indicazione utile per poter individuare il fatto, limitandosi a precisare che debba essere quello posto a base del licenziamento, espressione che, a sua volta, rinvia alle allegazioni del datore di lavoro sulla causa giustificativa del recesso.

D5altra parte, la incertezza sul significato delle espressioni usate dal legislatore del 2012 non può essere utilmente colmata utilizzando la elaborazione giurisprudenziale sul giustificato motivo oggettivo.

La giurisprudenza, con orientamenti peraltro non uniformi, ha individuato, quali presupposti del licenziamento per ragioni economiche, le modifiche nell5organizzazione aziendale imposte da situazioni sfavorevoli non contingenti,

2 Per tutte Cass. pen. sent., n. 4514/89.

3 Cfr. Cass., sent. n. 434/99, n. 10514/98.

il nesso causale tra queste e la soppressione di uno specifico posto di lavoro, la impossibilità di ricollocare il lavoratore in mansioni equivalenti ed il rispetto di criteri di scelta, nella selezione del personale con mansioni fungibili, conformi ai principi di buona fede e correttezza4.

I requisiti appena elencati non sono costruiti attorno ad uno o più fatti ma, coerentemente alla complessità delle dinamiche economiche ed imprenditoriali e ai parametri generali su cui si fonda la previsione normativa del giustificato motivo oggettivo, esprimono scelte, decisioni, valutazioni.

Il giustificato motivo oggettivo, nelle stesse lettere di licenziamento, è solitamente descritto mediante una serie causale che include fatti (ad esempio, il fallimento di uno dei principali committenti), dati (la conseguente riduzione delle commesse e del fatturato), valutazioni, anche di natura prognostica (possibilità di reperire nuovi clienti, di effettuare nuovi investimenti in relazione all5andamento del mercato) e decisioni dell5imprenditore (necessità di riduzione dei costi e di contrazione del personale, soppressione di uno o più posti di lavoro), rispetto a cui lo schema del nuovo art. 18 risulta assolutamente inadeguato.

La difficoltà di una sistemazione razionale della disciplina in esame trova eco nelle prime letture date dalla dottrina che ha <riempito> le due categorie, del fatto posto a base del licenziamento e degli estremi del giustificato motivo, in maniera assolutamente eterogenea.

Secondo una prima tesi, il fatto posto a base del licenziamento per motivo oggettivo è il mero fatto materiale per cui si licenzia e che dovrà essere esplicitamente indicato nella motivazione del recesso5.

Altri autori hanno inteso il fatto, la cui manifesta insussistenza occorre accertare, come comprensivo del nesso eziologico tra le scelte organizzative datoriali e la individuazione del singolo lavoratore da licenziare6.

Altri ancora hanno ricondotto alla prima parte della formula adoperata dal

5 A. Maresca, Il nuovo regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche all9art. 18 Statuto dei Lavoratori, in host.uniroma3.it/facolt/economia/db/materiali/insegnamenti/668_5754, p. 16, secondo il quale <il nuovo art. 18 ha inteso, da una parte, rafforzare il concetto originario della legge 604/66 di vincolare il licenziamento ad un fatto materiale ben preciso che ne costituisce la causale legittimante e, per altro verso, ha voluto tenere distinta dal fatto materiale la sua quali.ficazione come giusta causa o giustificato motivo>.

6 C. Cester, Il progetto di riforma della disciplina dei licenziamenti: prime riflessioni, in csdle.lex.unict/archivi/uploads/up_194008449, p. 27.

7 F. Scarpelli, Guida alla riforma Fornero (Legge 28 giugno 2012 n. 92), in www.wikilabour.it, p. 88, secondo cui <n qualora il giudice accerti l9insussistenza della situazione indicata dal datore di lavoro, la non verità o non effettività della ragione economia addotta o dell9operazione organizzativa che viene affermata alla fonte del recesso, la non consistenza della stessa o l9inidoneità a giustificare, in termini di causalità (e dunque ancora di fatto), le affermate ricadute sulla posizione del lavoratore, dovrà ritenersi la Yinsussistenza del fatto posto a base del licenziamentoZ, con possibile applicazione della tutela reintegratoria. La stessa cosa deve dirsi persil cd obbligo di repechagespoiché anch9esso è un elemento di fatto idoneo a confermare (o smentire) l9effettività della condizione che fa venire meno l9interesse del datore di lavoro alla prosecuzione del rapporto di lavoro. Quando, invece, accertate come reali (e consistenti) le circostanze di fatto addotte dal datore di lavoro, accertata la sussistenza del nesso di causalità tra tali circostanze e la posizione del lavoratore, esclusa in fatto la possibilità di una ricollocazione del lavoratore, si discuta della rilevanza di tali circostanze a giustificare giuridicamente il recesso, il giudice che accolga il ricorso del lavoratore potrà solo disporre la sanzione risarcitoria (s es.

lascontroversia in ordine alla necessità di motivi collegati ad una situazione di crisi, ovvero ad una riorganizzazione mirante solo a innalzare utili aziendali)Z.

Nessuna di queste tesi consente di dare alla previsione normativa un significato esaustivo, coerente e razionale.

La tesi che identifica l5elemento posto a base del licenziamento in un fatto materiale, presuppone, anzitutto, che i datori di lavoro, assecondando la fattispecie normativa in esame, specifichino nelle lettere di licenziamento il fatto materiale che sorregge la loro decisione, sebbene l5art. 2, comma 2, l. n. 604/1966, come modificato dall5art. 1, comma 37, l. n. 92, esiga che nella comunicazione del licenziamento siano specificati i motivi e non il fatto che lo ha determinato.

L5applicazione della norma così intesa impone, inoltre, che il percorso decisorio del giudice si scinda in due momenti separati e che, in quello iniziale, l5attenzione sia rivolta unicamente al fatto materiale posto a base del licenziamento per motivo oggettivo, isolato e depurato dai dati e dalle valutazioni utilizzate nella scelta datoriale8.

In mancanza di qualsiasi forma di tipizzazione normativa, è assai problematico individuare un fatto materiale, della cui manifesta insussistenza il giudice debba occuparsi.

Dovrebbe escludersi che il fatto possa identificarsi con la soppressione del posto a cui era adibito il lavoratore licenziato.

La soppressione di un posto di lavoro rappresenta l5epilogo della serie causale, costellata di fatti, dati e valutazioni, che porta il datore di lavoro alla decisione di recesso, è il punto di arrivo delle ragioni imprenditoriali.

Analogamente, potrebbe dirsi riguardo alla chiusura di un reparto, cioè alla scelta imprenditoriale di sopprimere un settore produttivo ed i relativi posti di lavoro.

Non solo, l5art. 18, comma 7, nel momento in cui fa riferimento al <fatto posto a base del licenziamento>, evoca due entità separate, legate da una connessione di tipo causale. Il licenziamento deve trovare la propria ragion d5essere, il fondamento eziologico in un determinato fatto, che ne costituisce, appunto, la base razionale.

Se si identificasse il fatto nella soppressione di un posto, o di più posti inseriti in un reparto, non si potrebbero individuare i due termini della relazione causale poiché la soppressione del posto ed il licenziamento rappresentano, in realtà, lo stesso fenomeno visto, rispettivamente, dal punto di vista dell5organizzazione aziendale e del rapporto contrattuale con il lavoratore.

Seguendo a ritroso la serie causale che solitamente conduce alla decisione di recesso, occorre domandarsi se il fatto materiale possa assumere un aspetto più prettamente economico, legato a dati di natura contabile o finanziaria.

Al riguardo, occorre considerare come, secondo l5art. 18, comma 7, del fatto posto a base del licenziamento debba accertarsi la manifesta insussistenza.

Il fatto, di cui si discute, deve quindi essere suscettibile di un giudizio in termini di sussistenza o insussistenza; è necessario, cioè, che si possa, secondo criteri

8 A. Maresca, op. cit., p. 17, <ad esempio, se fosse addotta la soppressione del posto di lavoro quale fatto a fondamento del recesso, Yè proprio su questo punto che il giudice dovrà concentrare ed esaurire la verifica finalizzata ad individuare la sanzione applicabile in caso di ritenuta illegittimità del licenziamento>.

empirici, stabilire se quel fatto esista o meno, senza mezze misure e senza implicazioni di ordine valutativo.

Su queste premesse, imposte dalla lettera della disposizione in esame, dovrebbe escludersi che costituiscano fatti, addirittura materiali, i risultati di bilancio, le variazioni di fatturato o l5andamento delle commesse.

Si tratta, infatti, di dati suscettibili di interpretazioni non univoche e, comunque, di dati a cui non può attribuirsi rilevanza se non attraverso un giudizio di consistenza ed entità.

Se si intendesse la formula normativa riferita al fatto materiale, si correrebbe il rischio di ridurre la valutazione giudiziale sul motivo oggettivo ad una mera presa d5atto del fatto posto a base del licenziamento, così come addotto dal datore di lavoro, e purché non manifestamente insussistente nella sua materialità, a prescindere persino dal requisito minimo del nesso causale rispetto al singolo licenziamento.

Difatti, se si ritenesse attratto nel focus di accertamento del giudice solo il fatto materiale inteso come epilogo della serie causale (ad esempio, la soppressione di un posto) oppure una qualsiasi variazione nei dati contabili o finanziari, l5intervento giudiziale si risolverebbe in una semplice ratifica della decisione datoriale, senza alcuna possibilità di verifica sulle premesse della stessa, quanto alla loro effettività e rilevanza causale.

Potrebbe, infatti, risultare non manifestamente insussistente la soppressione di un posto, pur in assenza di validi elementi giustificativi oppure decisa in base ad una riduzione delle commesse e del fatturato assolutamente irrisoria, con l5effetto di rendere la discrezionalità datoriale, anche quella irragionevole o addirittura capricciosa, idonea ad evitare la tutela reintegratoria.

Insomma, si finirebbe per attribuire al datore di lavoro una funzione quasi normativa, di individuazione del fatto quale elemento costitutivo della fattispecie e dalla cui sussistenza o meno dipende l5applicazione dei diversi regimi sanzionatori.

Per evitare le storture appena descritte, parte della dottrina ha interpretato il fatto, della cui insussistenza si discute, come inclusivo del nesso eziologico tra le scelte organizzative datoriali e il licenziamento del singolo lavoratore, lasciando ricompreso nelle altre ipotesi, soggette alla tutela sola indennitaria, il mancato rispetto dell5obbligo di repèchage e dei criteri di scelta.

Altri ancora, come già detto, hanno dilatato il concetto di <fatto> posto a base del licenziamento fino a considerarlo equivalente alla fattispecie giuridica di giustificato motivo oggettivo, comprensiva di tutti i requisiti elaborati dalla giurisprudenza.

Il fatto dovrebbe, cioè, intendersi come fatto in senso giuridico e non materiale.

Questa tesi, certamente più conservativa dell5attuale assetto, rischia di annullare la distinzione posta dall5art. 18, comma 7, tra le due categorie, fatto posto a base del licenziamento ed estremi del giustificato motivo, a meno di non far coincidere le altre ipotesi con la valutazione, prettamente giuridica, di idoneità del fatto, inteso in senso lato, ad integrare gli estremi del giustificato motivo oggettivo.

Non sarebbe semplice, in tal caso, stabilire cosa rientri nella seconda categoria.

Gli esempi portati dalla dottrina riguardano per lo più il licenziamento per ragioni cd. speculative.

Potrebbe, cioè, verificarsi che siano comprovate le modifiche organizzative, l5incidenza delle stesse sulla posizione del singolo lavoratore, l5impossibilità di ricollocare altrove il predetto e il rispetto dei criteri di scelta ma le misure adottate risultino poi rivolte non a fronteggiare una situazione sfavorevole non contingente, bensì ad incrementare i profitti.

Sarebbe già più complicato, seguendo questa tesi, stabilire in quale categoria far rientrare il caso in cui risulti una riduzione delle commesse e del fatturato effettiva, quindi non manifestamente insussistente, ma di entità tale da non costituire fattore idoneo ai fini del giustificativo motivo di licenziamento.

Difatti, a seconda che la consistenza del dato contabile risultasse irrisoria o semplicemente non elevata, dovrebbe affermarsi la mancanza di nesso causale nella prima evenienza e l5inidoneità dell5elemento fattuale ad integrare il giustificato motivo oggettivo, nella seconda9.

È evidente come qualsiasi lettura data alla disposizione in esame finisca, in netta controtendenza rispetto alle previsioni della legge n. 183/2010, per attribuire prima ad datore di lavoro e poi al giudice una discrezionalità quanto mai ampia, che investe a monte il contenuto delle categorie di cui al comma 7, cioè la selezione tra i fatti posti a base del licenziamento e gli estremi del giustificato motivo oggettivo, con quali conseguenze in termini di incertezza e divergenze interpretative è facile immaginare.

Nel documento Commentario riforma Fornero (legge 92/2012) (pagine 149-154)

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