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La tutela della personalità del lavoratore come criterio unificante le fattispecie di reintegro e perno sistematico della riforma

È, dunque, molto importante prendere atto che la tutela della personalità del lavoratore non rileva solo nella espressa fattispecie antidiscriminatoria, ma è l5elemento che unifica e razionalizza le sparse ipotesi di reintegro che la legge contiene. Molte domande, infatti, si possono porre per capire che senso ha che il legislatore, in caso di licenziamento economico, preveda l5indennizzo se mancano gli estremi del giustificato motivo ed il reintegro se manca il fatto giustificativo, analogamente nel licenziamento disciplinare: queste domande trovano una risposta se si legge nella personalità del lavoratore il bene protetto da tutte le fattispecie di reintegro. La personalità, dunque, non è il bene protetto solo dal licenziamento discriminatorio, ma anche dalle altre due ipotesi di reintegro.

Questo è vero all5evidenza nel caso del licenziamento disciplinare intimato sulla base di un fatto insussistente. Se ci si chiede perché in queste ipotesi c5è il reintegro, non si può non rispondere che c5è il reintegro perché c5è una grave offesa alla personalità del lavoratore, che ha visto danneggiata la sua onorabilità,

27 quando è stato accusato di essere ladro, neghittoso o inadempiente e non lo era.

Ma che la personalità sia il bene protetto dal reintegro emerge anche dall5ipotesi legislativa che prevede che il giudice possa concedere il reintegro quando il fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo

è mmanifestamente insussistente5. Di per sé, che la legge parli di mfatto5, potrebbe voler significare, ed è possibile che a ciò si debba l5introduzione di questo termine, l5intenzione di azzerare ogni sindacato orientato all5accertamento del nesso causale, etc.: se il motivo economico è un fatto, questo o c5è, o non c5è, altra indagine non è richiesta. Però la legge non può essere interpretata in questo senso, perché il legislatore ha dimostrato di non pensare affatto che il motivo del licenziamento possa consistere nella mera allegazione di un fatto, basti a dimostrarlo che è stata lasciata in vita la figura del licenziamento in cui <mancano gli estremi del giustificato motivo (o della giusta causa) addotti dal datore>, con cui si ritorna a parlare di mmotivo5 e non di fatto. Queste fattispecie mostrano che il giudice resta autorizzato ad indagare la consistenza dei motivi, salvo poi, quando li ritiene insufficienti (il nesso causale non è dimostrato, si poteva evitare il licenziamento ecc.) non può dare di più che l5indennizzo. E questo significa che tutto l5antico armamentario che conduceva al reintegro il giudice può continuare ad essere speso (ma solo per arrivare all5indennizzo) ed anche che il fatto da solo non basta mai, perché ci vuole un motivo che lo colleghi all5esito del licenziamento. Dunque, continuando a parlare di giustificato motivo, della sussistenza dei cui estremi il giudice continua ad occuparsi (sia pure con possibilità diverse, quanto a sanzione, di prima), il legislatore ci dice anche che la ipotesi in cui il fatto giustificativo manca è di natura diversa da quelle in cui mancano gli estremi del giustificato motivo, ed è per questo che è sanzionata diversamente, e più gravemente.

Tutto sta allora a chiedersi come mai l5ipotesi in cui manca il fatto ha tutta questa gravità, che cosa la differenzia dalla ipotesi in cui mancano gli estremi del giustificato motivo. La differenza è che, in tutte le occasioni in cui il fatto c5è e sussiste, si può pensare di poter escludere l5ipotesi, che viene subito alla mente quando un lavoratore viene licenziato sulla base di un fatto inesistente, e cioè che il licenziamento avviene per motivi che risalgono alla personalità di quel lavoratore, ossia in altri termini si è in presenza di un licenziamento discriminatorio. La stessa formula facoltizzante il giudice dimostra che il reintegro è rimedio graduato alla gravità delle ipotesi: se il giudice non deve autorizzare il reintegro in tutti i casi in cui il fatto manchi, non può non autorizzarlo quando sia risultato che la mancanza del fatto denota che il licenziamento ha offeso beni analoghi a quelli che la stessa legge altrove protegge col reintegro (il diritto alla non discriminazione, l5onorabilità, ossia la personalità).

28 Il licenziamento economico intimato in mancanza del fatto giustificativo, dunque, può essere inteso come l5ipotesi residuale di licenziamento discriminatorio: la fattispecie che permette di sanzionare con il reintegro il licenziamento - che avviene non in danno di un lavoratore in quanto appartenente a una categoria protetta (ipotesi contemplata dal licenziamento discriminatorio) o della onorabilità del lavoratore ma - che colpisce il lavoratore per la persona che è, nelle sue condizioni mpersonali e sociali5.

Si sostiene, dunque, che può darsi coerenza sistematica alla Legge Fornero, e praticarne una visione interpretativa progettuale, prospettica, affermando, da una parte, che la legge ha voluto togliere alla stabilità il ruolo di interesse maggiormente protetto dall5ordinamento nel lavoro e depotenziare il sindacato che la proteggeva; dall5altra, che ha posto la tutela della personalità del lavoratore, che unifica le fattispecie di reintegro, come il bene prevalente, che la discrezionalità datoriale non può aggredire e, quindi, pienamente sindacabile. Si tratta di una tesi sostenibile perché - a differenza del potere arbitrario dei datori, o dell5interesse dell5impresa alla sua efficienza economico organizzativa - è fuor di dubbio che la personalità individuale è un bene costituzionalmente tutelato ed anzi cardinale. Di contro, questa interpretazione accetta di misurarsi con i cambiamenti che il legislatore ha introdotto e si sforza di razionalizzarli. La possibilità di interpretare il licenziamento intimato in manifesta mancanza del fatto giustificativo come licenziamento discriminatorio a fattispecie aperta o innominata è rafforzata inoltre dalla considerazione che così interpretando la protezione discriminatoria approntata dalla l. n. 92, essa risulta completa rispetto al tenore dell5art. 3 Cost., che vieta le distinzioni sulla base del msesso, razza, opinioni politiche e religiose e condizioni personali e sociali>, clausola aperta che permette all5interprete di considerare tutelabili quelle forme di discriminazione non ancora formalizzate in fattispecie specifiche19 e, aggiungerei, quelle che per loro natura non possono esserlo, in quanto legate alla singola persona nella concreta relazione in cui è posta.

La protezione antidiscriminatoria, intesa come protezione della personalità dovrebbe, dunque, essere guardata come perno della interpretazione della nuova legge e del ruolo del giudice20. Si tratta allora di fare i conti con la necessità di impostare un iter probatorio ed argomentativo differente da quello che in

19 Così M. Manetti, La libertà eguale nella Costituzione italiana, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 2008.

20 Con l5immediata ricaduta di far risaltare che, dopo la l. n. 92, il reintegro non può più essere limitato solo alle imprese con più di 15 dipendenti, ma che ad esse deve essere estesa la ipotesi della manifesta mancanza del fatto giustificativo e del licenziamento disciplinare privo di fatto giustificativo. Ora che la reintegrazione nel posto di lavoro protegge la personalità, dignità e onorabilità del lavoratore appare, infatti, irragionevole non applicare le corrispondenti ipotesi anche alle piccole aziende, perché si tratta di beni il cui valore non cambia di peso in relazione alle dimensioni dell5azienda (e, se si vuole, su questo la giurisprudenza antidiscriminatoria europea, per la quale il principio di non discriminazione vale anche a livello di singola azienda, offre un importante volano).

29 quarant5anni di giurisprudenza del lavoro è stato costruito intorno all5obiettivo di tutelare la stabilità.

4.2. La necessità di ricalibrare il sindacato del giudice intorno alla protezione

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