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Osservazioni conclusive

Nel documento Commentario riforma Fornero (legge 92/2012) (pagine 116-119)

LA DISCIPLINA DEI LICENZIAMENTI DISCIPLINARI di Anna Luisa Terzi

8. Osservazioni conclusive

Resta quindi da chiedersi se la scelta fra reintegrazione e sola indennità sia di fatto residuale. E la risposta pare essere positiva20.

Dalle considerazioni appena svolte consegue, infatti, che, anche quando vengono indicate ipotesi di sbarramento alla valutazione del giudice, come nell5eventualità in cui il contratto collettivo o il codice disciplinare prevedano quale unica sanzione il licenziamento21, appare impossibile escludere l5applicazione del principio di proporzionalità di cui all5art. 2106, ogni qualvolta si tratti di condotte oggettivamente inidonee a incidere sull'elemento fiduciario.

Una diversa interpretazione creerebbe degli evidenti problemi di illegittimità costituzionale.

Sembra, quindi, che l5intento non possa realizzarsi nell5attuale assetto normativo della disciplina del rapporto di lavoro, a partire dalla formulazione letterale dell5art. 3 l. n. 604/66, e della disciplina generale dei contratti.

Questa conseguenza non é certo dovuta a preconcetta ostilità rispetto alla nuove norme, ma piuttosto discende da una tecnica di intervento legislativo che pretende di inserire nuove disposizioni, prescindendo completamente dal contesto organico di riferimento, contesto organizzato secondo principi di gerarchia delle fonti e fondato sul principio di interpretazione sistematica, che

19 Che nega alla radice le tesi di una parte della dottrina sopra richiamata.

20v. V. Speziale <La riforma del licenziamento individuale fra diritto ed economia> in RIDL 2012,I, 521

21 Non risultano a chi scrive contratti collettivi nazionali o accordi territoriali o aziendali che non prevedano sempre sanzioni da graduare secondo la gravità in concreto dell5illecito disciplinare.

impone di eliminare in via ermeneutica possibili irrazionali disarmonie di risultato e di scegliere fra più possibili alternative la soluzione compatibile con i principi costituzionali e con le norme di diritto internazionale, ad iniziare da quelle comunitarie.

Il controllo giurisdizionale sull5atto di diritto privato non può essere eliminato se dell5atto vengono definiti normativamente i presupposti.

L5art. 2106 c.c. è norma che definisce normativamente i presupposti di legittimità del licenziamento disciplinare. Al controllo giurisdizionale non possono essere imposti vincoli incompatibili con la sua funzione22.

Questa viene a configurarsi come l5unica interpretazione compatibile con l5art.

24 della Carta sociale europea e con l'art. 30 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, perché pur non vincolando queste disposizioni sul tipo di tutela (ripristinatoria o risarcitoria) da accordare in caso di licenziamento illegittimo, non appare dubitabile che il diritto ad essere licenziati solo in caso di un motivo giustificato sia garantito dall'art. 24 proprio attraverso la possibilità di ricorrere ad un organo imparziale, la cui cognizione non può quindi essere impedita attraverso limiti irrazionali.

Appare comunque doveroso confutare almeno una parte delle ragioni che sono state addotte per giustificare la nuova disciplina.

È del tutto inveritiero che vi siano contrasti di giurisprudenza sui principi fondamentali, sopra richiamati, in materia di licenziamento disciplinare. Ciò che è vero è che nella casistica si trovano molteplici diverse valutazioni di fattispecie concrete più o meno assimilabili dal punto di vista classificatorio (furto, pericolo per gli impianti, rissa, etc.). Ciò è intrinseco alla natura dell5attività giurisdizionale, che non è applicazione di principi astratti in modo automatico, ma è accertamento della fattispecie concreta, riconduzione della fattispecie concreta alle norme da applicare, ponderazione delle peculiarità di ogni singolo caso in relazione a interpretazione ed applicazione delle norme. La pretesa di avere dei criteri che consentano automatismi valutativi astratti, capaci di superare la mediazione del momento valutativo in concreto, rimesso al giudice, è francamente incomprensibile ma soprattutto appare illusoria e non sembra che i contratti collettivi oggi in vigore o che potranno essere in vigore domani possano assicurare, per la loro genericità e vaghezza, una qualche certezza maggiore nella gestione di ogni singolo concreto rapporto giuridico.

Le nuove disposizioni devono in conclusione essere lette, in armonia con il canone espresso dall5art. 30, comma 3, l. 183/2010, da tempo peraltro enunciato dalla giurisprudenza, in forza del quale <nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l9assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione>.

22 Le considerazioni svolte fanno sorgere spontanee alcune perplessità sull5ambito di operatività dell5art. 8 l.

148/2011: sarebbe ben singolare che alla contrattazione di prossimità venisse riconosciuta la facoltà di derogare indiscriminatamente a qualsiasi norma imperativa e addirittura ai principi fondamentali della disciplina generale di contratti.

Si tratta di un criterio che obbliga ad una valutazione complessa e ad una motivazione specifica, che funge da orientamento nella ponderazione della fattispecie concreta, ma che non determina alcun automatismo applicativo.

Le considerazioni svolte sulle modificazioni della disciplina delle conseguenze del licenziamento illegittimo consentono di affermare che uno degli obiettivi assegnati alla riforma dai suoi fautori, anche prima del governo Monti, è stato raggiunto. Oggi il <costo> del licenziamento è preventivabile. Nulla ha però a che vedere con il <costo> del licenziamento la farraginosa disciplina delle varie ipotesi del licenziamento disciplinare introdotte dall5art. 1. Il problema del

<costo> del licenziamento, pur accedendo acriticamente a quest5ottica aziendalistica, non dipende dalla valutazione del giudice, fisiologicamente suscettibile anche di revisione nei vari gradi, ma dalla disciplina della responsabilità patrimoniale in caso di recesso illegittimo e dai tempi del processo.

In un contesto normativo nel quale vengono previsti stretti termini di decadenza e per la maggior parte delle ipotesi di licenziamento illegittimo viene contenuto il risarcimento del danno, non sembra che vi sia una ragione plausibile per introdurre tutte le differenziate ipotesi di difficile applicazione, che comporteranno necessariamente contrasti giurisprudenziali prima che si addivenga a una ricomposizione, anche attraverso la funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, con un risultato contrario a quello voluto e sbandierato di una maggiore certezza dei rapporti giuridici.

SUL LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO

Nel documento Commentario riforma Fornero (legge 92/2012) (pagine 116-119)

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