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Governante avveduto e deciso

Don Bosco, tuttavia, si mostrava anche governante non remissivo nei confronti delle stesse autorità civili e politiche.

In un caso di epidemia di vaiolo la Commissione municipale per l’igiene disapprovava l’operato dei medici dell’Oratorio, Giovanni Gribaudi e Alessan-dro Musso. Don Bosco li scagionava recisamente, sdrammatizzava la situazione e terminava addirittura facendo “rispettosa ma calda preghiera di fare in modo – scriveva – che le visite sanitarie non tornino dannose allo stabilimento mede-simo”, mettendolo sotto la “paterna protezione” del sindaco103.

Reagiva pure tempestivamente, con una lettera al prefetto di Torino, alla chiusura delle scuole elementari di Lanzo, minacciata dal Consiglio scolastico provinciale in seguito a un’ispezione di un certo Rota. Otteneva l’invio di una Commissione presieduta dal provveditore agli studi, Vincenzo Garelli, che stese una relazione che annullava gli effetti del rapporto dell’ispettore104.

98Cfr. sull’intera vicenda, MB X 1127-1156.

99Lett. del 3 gennaio 1873, Em IV 37-38.

100Lett. al comm. Vittorio Villa, 4 gennaio 1873, Em IV 40.

101 Cfr. lett. dell’8 maggio 1873 alla signora Eurosia Golzio, esecutrice testamentaria del-l’eredità del fratello teol. Felice, già confessore di don Bosco, e del 24 aprile 1874 al marito col.

Clodoveo Monti, Em IV 90 e 279-280.

102Cfr. MB X 1199-1207.

103Al sindaco conte F. Rignon, 23 dicembre 1870, Em III 281-282.

104Al sen. V. Zoppi, prefetto di Torino, 5 giugno 1872, Em III 437-438.

Altra volta era un gruppo di tipografi e librai torinesi, che accusava di il-legittima concorrenza le tipografie degli istituti privati e governativi, tra cui quella di Valdocco. Don Bosco inoltrava ai promotori un promemoria, nel quale confutava punto per punto gli addebiti addotti. In esso egli si preoccupa-va anzitutto di mettere in evidenza la posizione non privilegiata nella vita civile di lui e delle sue iniziative. “Questa casa – asseriva – non è pio istituto, ma casa privata come qualunque altra tipografia, con questa sola diversità che nella tipografia i guadagni sono ordinariamente a vantaggio del padrone, e qui tornerebbero a bene dei poveri artigiani medesimi”105.

Si riaccendeva, pure, la battaglia intorno ai titoli legali degli insegnanti. Era esemplare l’atteggiamento nei confronti del collegio di Mirabello, poi di Borgo S. Martino, per il quale don Bosco avrebbe voluto conservato il riconoscimento della qualifica di piccolo seminario o comunque si attendeva una certa larghezza quanto agli insegnanti. In lettere a persone fidate non mancava di esprimere il suo pensiero su certe posizioni, che riteneva vessatorie, più del Consiglio scola-stico che del provveditore agli studi, personalmente benevolo. “Ho parlato col Provveditore d’Alessandria – scriveva a don Bonetti –, e ci siamo lasciati in buona armonia (...). Mi assicurò che fino a tanto che sarà esso in uffizio non avremo alcun disturbo. Mi accennò alla probabilità di una visita per osservare se forse i letti non sono troppo vicini; ciò disse in confidenza, sebbene il Consiglio Scolastico non abbia ancora fatto alcuna proposta. Mi notò che fu provocata una visita al collegio municipale di Acqui per motivo d’immoralità tra gli allievi (...). Mi aggiunse come egli trovasi con gente senza principi religiosi, e che avrebbero molto piacere se potessero comprometterlo”106.

Per il momento non ne uscì nulla. Pur riconoscente al provveditore di Ales-sandria, già suo condiscepolo a Chieri, era impegnato ancora nel 1876 ad otte-nere per il collegio di Borgo S. Martino la qualifica di piccolo seminario. “Ho scritto al cav. Rho – informava il direttore – nel senso che mi hai indicato ringraziandolo, ma ricordandogli le antiche promesse fattemi ripetutamen-te”107. Era il preludio di una difesa più strenua della scuola libera, intrapresa, come si vedrà, negli anni 1878-1881. Ma, nella “vertenza” scolastica di quegli anni, da don Bosco il provveditore sarà visto sotto altra luce108. Intanto, non mancavano le misure di ripiego, come mostra l’istruzione data fin dai primi giorni del suo ufficio al direttore del neonato collegio di Alassio: “Nota bene che noi dobbiamo per ogni evenienza avere un personale legale ed un altro effettivo che lavori a nome dell’altro”109. Ma nel marzo 1873 in una lettera a don Rua da Roma scriveva: “Dopo l’esame semestrale, desidero che tutti i

filo-33 Cap. XVIII: L’espansione interregionale dei collegi e la gestione delle opere (1869-1874)

105Lett. di ottobre 1872, Em III 479-481.

106 A don G. Bonetti, da Alessandria il 19 giugno 1873, Em IV 121; al medesimo, 14 febbraio 1876, E III 18.

107A don G. Bonetti, 14 febbraio 1876, E III 18.

108Cfr. cap. 28, § 2. 2.

109Lett. del 17 ottobre 1870, Em III 264-265.

sofi [i giovani chierici studenti di filosofia] si preparino all’esame di corso elementare: perciò siano avvisati gli insegnanti e si studi modo di esaurire i programmi”110.

Altro scoglio da superare era la legge del 27 maggio 1869, che aboliva l’esenzione dalla leva militare dei candidati allo stato ecclesiastico, fino allora garantita dalla legge piemontese del 1854. La legge del 1868, però, permetteva ancora, dietro versamento di una somma di 3.200 lire [12.040 euro], la surro-gazione d’un coscritto con un riassoldato, ossia uno già in servizio militare, che dietro un determinato compenso continuava la ferma in luogo dell’altro. Le leggi più severe del 1871 conservarono ancora le surrogazioni tra fratelli e per le classi più agiate il privilegio di affrancazione parziale. In forza di esse, a contingente ricoperto, i cittadini di classi agiate potevano, mediante il paga-mento di 2.500 lire [9.123 euro], passare in seconda categoria e quindi essere esentati dalla leva militare. Infine, la legge del 1875 sopprimeva ogni forma di esonero totale o parziale111. Don Bosco avrebbe saputo allora far uso della teoria morale delle “leggi meramente penali”, che non obbligavano in coscien-za, ma semplicemente a subirne le conseguenze nel caso si fosse stati scoperti inadempienti. Il 7 novembre 1875 egli riteneva provvidenziale l’insediamento dei salesiani a Nizza in Francia, “specialmente – spiegava – per liberarci in qualche parte dal peso della leva che ora in Italia è proprio inesorabile”. In Francia si poteva andare facilmente e rimanervi sicuri, poiché per i renitenti al-la leva militare non vi era estradizione112. Se ne sarebbe servito per l’espatrio di giovani missionari, che non avevano ancora compiuto il servizio militare113.

Per il riscatto dei chierici dalla leva per surrogazione onerosa, don Bosco aggiungeva alle altre non poche incombenze la sollecitudine per ottenere, a ineludibili scadenze, la tempestiva cooperazione finanziaria, non certo lieve per i generosi donatori. Tra gli offerenti occuparono un posto di rilievo famiglie profondamente credenti: i Callori, gli Uguccioni, i Brancadoro, i Fassati. Alla contessa Callori ricorreva d’urgenza per la surrogazione di uno di due chierici di seconda categoria, che aveva ricevuto la cartolina di precetto, l’altro era rive-dibile: era imminente il fatidico 20 settembre. “La necessità è fuori dalle leggi”, si giustificava il “povero questuante”114. La contessa non disponeva della somma richiesta e don Bosco si rivolgeva alla marchesa Fassati, che non sembra abbia potuto risolvere il problema115. Tornava alla carica in termini più genera-li con la marchesa C. M. Gondi: “La leva migenera-litare che si sta effettuando

colpi-110Em IV 70.

111Cfr. F. SCADUTO, Diritto ecclesiastico vigente in Italia. Manuale, vol. I, pp. 173-175.

112Capitoli Superiori - Verbali di don Barberis (agosto-novembre 1875), 7 novembre, fol 5r, ASC D 868.

113Cfr. cap. 21, § 4.

114Lett. del 12 settembre 1870, Em III 245-246.

115 Lett. del 17 settembre 1870, Em III 252; cfr. lett. del 9 novembre 1870 al prefetto di Torino, C. Radicati Talice di Passerano, Em III 270.

sce parecchi de’ miei migliori cherici, i quali a meno di straordinario aiuto del-la Divina Provvidenza devono cangiare il breviario nel fucile. Ho pensato più volte fra me: Chi sa che la sig. contessa Gondi non possa darmi una mano in questa mia impresa? Espongo soltanto la cosa. Ogni chierico può supplirsi con i 3.200 franchi”116. Chiedeva aiuto anche a un suo direttore, don Bonetti:

“Dobbiamo riscattare due cherici dalla leva militare; la chiamata è pel primo di maggio prossimo. Se puoi avere danaro disponibile mandalo tutto quanto; del resto [= altrimenti] facciamo bancarotta”117. Alla contessa Uguccioni comuni-cava di aver “dovuto riscattare dieci cherici dalla leva militare colla enorme somma di franchi 32 mila” [116.780 euro] e commentava: “Vede che flagello.

Ora però questo è fatto e ci prepariamo per altri disastri se a Dio piacerà di mandarcene”118. Il 12 luglio parlava di 14 chierici, il cui riscatto sarebbe dovu-to avvenire entro la fine del mese: chiedeva “nel vivo desiderio di conservare al-la Chiesa questi ministri di Gesù Cristo”, con al-la consoal-lazione da parte del benefattore che “questi chierici, divenuti sacerdoti, guadagneranno anime a Dio” e pregheranno “in tutta la vita” per chi li aveva beneficati119. Alla marche-sa Fasmarche-sati egli esponeva in maniera convincente il senso della carità in questo settore: “La Congregazione nostra è nascente ed ha bisogno di operai; ora Ella, avendoci aiutato a riscattare cherici dalla leva militare, ci aiutò in certo modo a fondare vie meglio e sopra basi più stabili questo istituto, e nel tempo stesso pose operai a lavorare nella vigna del Signore”120. Disponibile per il riscatto di un chierico – ora portato a 2.500 lire – si dichiarava la contessa Emma Branca-doro di Fermo121. La stessa cifra era discretamente indicata al barone Carlo Ricci des Ferres122. Di undici chierici da riscattare scriveva a don Francesco Tribone e alla contessa G. Uguccioni123. Per un’altra grande leva con riscatti dell’importo di 114.218 euro, il 3 ottobre chiedeva aiuto al segretario di mons.

Ferrè, don Santo Masnini: “In questo anno alle altre miserie si aggiunge quella di dover riscattare quindici chierici dalla leva militare. Potrebbe Ella venirmi in aiuto? Qualunque cosa mi giova assai; avvi tempo circa un paio di mesi. Ecco come questo questuante va a disturbare la gente pacifica. Me ne dia compati-mento”124. Per cinque coscritti, forse parte del drappello dei quindici, da far passare dalla prima alla seconda categoria, esente in tempo di pace, tendeva la mano all’avvocato Galvagno di Marene125. Un proverbio popolare citava a una

35 Cap. XVIII: L’espansione interregionale dei collegi e la gestione delle opere (1869-1874)

116Lett. del 19 ottobre 1870, Em III 266.

117Lett. del 19 aprile 1871, Em III 324.

118Lett. del 30 aprile 1871, Em III 328.

119Alla signora Lucini, 12 luglio 1871, Em III 347.

120Lett. del 12 agosto 1871, Em III 357.

121Lett. del 14 novembre e del 2 dicembre 1871, Em III 386 e 388.

122Lett. del 28 aprile 1872, Em III 429.

123Lett. del 22 agosto e 9 ottobre 1872, Em III 463 e 471.

124Em IV 162.

125Lett. del 29 ottobre 1874, Em IV 343-344.

benefattrice che per il riscatto aveva fatto pervenire tramite la contessa Gabriel-la Corsi 200 lire [595 euro]: meglio un lume dinanzi in vita che dietro le spalle dopo morte126, mentre si rivolgeva alla marchesa Bianca Malvezzi di Bologna in favore di cinque chierici127.

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