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Per un progetto personale e istituzionale di impegno missionario

Nel documento ISTITUTO STORICO SALESIANO - ROMA STUDI - 21 (pagine 142-146)

VERSO L’UNIVERSALISMO GEOGRAFICO (1875-1877)

3. Per un progetto personale e istituzionale di impegno missionario

Negli anni ’70 si erano fatte frequenti le richieste a don Bosco perché inviasse salesiani in regioni, allora considerate di “missione”: Mangalore in India, Hong-Kong, l’Australia, la Cina, l’Africa e in particolare al Cairo, gli Stati Uniti. A due proposte più circostanziate si è già accennato in relazione ai mesi che precedettero l’approvazione delle Costituzioni salesiane: Hong-Kong e Savannah negli Stati Uniti33. A parte la scarsezza del personale, lo rendevano esitante le difficoltà create da paesi fuori dai grandi flussi migratori italiani, con culture e lingue notevolmente eterogenee rispetto alle radici neolatine dei potenziali missionari.

Ma prima di essere “chiamato” nell’America latina don Bosco aveva coltiva-to una propria iniziativa per rendere anche “missionaria” la propria Società reli-giosa; per di più in paesi di ben altra cultura e lingua. Ne tracciava le grandi linee, con la seria intenzione di darle rapidamente corpo, proprio nei mesi del soggiorno a Roma per l’approvazione delle Costituzioni. Veniva concordata con un amico di lunga data, che già nel 1867 aveva voluto con una sua offerta contribuire all’edificazione della chiesa di Maria Ausiliatrice34. Era l’irlandese mons. Tobias Kirby (1803-1895), totalmente acclimatato nel mondo romano e nella Curia, sia come rettore – e già per più anni vice-rettore – del Collegio irlandese sia quale fiduciario ad omnia dell’episcopato del suo Paese, operante nella madre patria o traslato in paesi sotto la giurisdizione di Propaganda Fide, in particolare negli Stati Uniti e in Australia. Al centro di innumerevoli relazio-ni personali ed epistolari, nel 1881 sarebbe stato elevato alla digrelazio-nità episcopale con l’assegnazione delle sedi titolari, prima di Lete e nel 1885 di quella arcive-scovile di Efeso. Nei Brevi appunti di cronaca del 1874, don Berto fa più volte

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30Cfr. Notice historique des Conférences et des Oeuvres de Saint-Vincent-de-Paul à Nice depuis la fondation en 1844 à 1883 année des noces d’or de la Société. Nice, Imprimerie-Librairie du Patronage de Saint-Pierre 1883, p. 57.

31Cfr. GIOVANNI (s.) BOSCO, Il sistema preventivo nella educazione della gioventù. Introdu-zione e testi critici a cura di P. Braido, RSS 4 (1985) 179, 222, 236.

32Cfr. cap. 31, § 2.

33Cfr. 19, § 7.

34Cfr. lett. del 9 giugno 1867 “A Monsig. Reverend.ma [sic] Monsig. Kitby, Rett. del Semina-rio Irlandese di Roma Cameriere Segreto di S. S. Pio IX Roma” mons. Tobias Kirby, Em II 388.

menzione della presenza sua e di don Bosco nel Collegio, da lui diretto, con l’opportunità di cordiali incontri con gli alunni e con importanti ecclesiastici, tra cui cardinali, vescovi e monsignori della Curia Romana, nonché vescovi irlandesi di passaggio35.

È naturale che in clima tutto impregnato di sensibilità per le missioni e di assoluta reciproca fiducia tra il rettore e il prete torinese sia sorta l’idea di un progetto missionario, in cui don Bosco avrebbe dovuto giocare il ruolo di prota-gonista. Puntava per l’attuazione sulla collaborazione di due giovani sacerdoti formati nel Collegio: i reverendi Liston e Hallinan. Con loro don Bosco aveva preso contatti nella visita al Collegio del 22 febbraio, il primo da pochi mesi prete, il secondo ancora diacono, prossimo all’ordinazione presbiterale; questi, vescovo di Limerick nel 1919 avrebbe accolto i salesiani nella sua diocesi.

L’inizio, propiziato dalla più che cordiale amicizia tra i coautori del piano, fu promettente. Ai principi di maggio 1874, verso la fine di una breve lettera di ringraziamento al rettore del Collegio per l’offerta di 100 lire [circa 300 euro], don Bosco scriveva: “Dica a Liston e ad Hallinan che la loro camera è preparata. Li riverisca da parte mia”36. Era, certamente, una visita concordata, affinché quelli che sarebbero dovuti essere i realizzatori sul campo delle fasi iniziali del progetto potessero formarsi un’idea precisa dello stato dell’opera di don Bosco a Torino. Ne seguirono, sicuramente, conferme. In data 5 giugno don Bosco firmava, in favore del sacerdote Denis Hallinan, una lettera commendatizia in latino per i vescovi d’Irlanda, estremamente interessante, anche se potrebbe essere rimasta allo stato di minuta autografa. Dichiarava che la Società salesiana, d’accordo con Pio IX, desiderando dedicarsi all’annuncio della fede cattolica “ad exteras gentes”, aveva optato per paesi nei quali veniva adottata principalmente la lingua inglese. Sarebbe stato, perciò, desiderabile disporre di operai evangelici che la conoscessero come lingua propria. A questo scopo ricorreva all’aiuto del sacerdote Dionigi Hallinan perché, ritornando in Irlanda si dedicasse alla ricerca di adolescenti, specchiati per qualità morali e intellettuali, avviandoli poi a Torino, purché si potesse ritenere che erano chia-mati allo stato ecclesiastico e mostrassero “una qualche interna propensione al-le missioni estere o almeno a professare i voti nella Congregazione Saal-lesiana”37. Il documento metteva in evidenza aspetti sulla futura destinazione dei giovani aspiranti, che suscitavano notevoli perplessità nei due giovani collaboratori, già fortemente preoccupati del trattamento che sarebbe stato loro riservato a Tori-no quanto a vitto, vestito, alloggio. La situazione povera di Valdocco dovette certamente inquietarli fin dal primo impatto.

Dall’essenziale e puntuale corrispondenza intervenuta nei mesi successivi tra don Bosco, i due fiduciari irlandesi e mons. Kirby, sarebbero venuti a più chiara

35 Cfr. G. BERTO, Brevi appunti…, pp. 41, 43-44, 60, 79 (17 marzo, festa di S. Patrizio), 81 (festa di S. Giuseppe, con panegirico di don Bosco).

36A mons. T. Kirby, 2 maggio 1874, Em IV 284.

37Cfr. Em IV 294-295.

luce i termini del progetto originario e le difficoltà della sua realizzazione38. In ottobre, però, don Bosco era persuaso che le difficoltà si sarebbero appianate.

Ne scriveva al corrispondente di fiducia, mons. Kirby. Erano fondamentalmen-te due. Veniva richiesto che i giovani candidati – ne erano previsti già venti – venissero accolti nel più confortevole collegio di Valsalice; e che, compiuti gli studi, fossero del tutto liberi di andare nelle “missioni di loro gradimento”, senza alcun vincolo con la Congregazione salesiana. La sua risposta alla prima istanza era stata nitida: “Non conveniva assolutamente mettere ad una mensa signorile dei giovani destinati alle missioni dove è vita di continua abnegazio-ne”; li avrebbe ammessi – diceva – “alla mia tavola”: in concreto – c’è da imma-ginare – la “prima tavola” dei giovani dell’Oratorio. Più delicata, ma ferma, era stata la controproposta circa la questione vocazionale. “Ho risposto – dichiarava perentorio – che io intendo che questi nuovi allievi divengano membri della congregazione salesiana, e che a suo tempo vadano nelle missioni dove è domi-nante la lingua inglese, ma in quel sito dove si prevederà tornare a maggior gloria di Dio”39. Purtroppo alla doverosa enunciazione di principio don Bosco non faceva seguire l’indicazione della consolidata prassi vocazionale del-l’Oratorio e degli altri collegi: nessuno degli alunni, anche se inizialmente incli-ne allo stato ecclesiastico o salesiano, era obbligato o spinto ad abbracciarlo al termine dei suoi studi; la scelta della vita secolare od ecclesiastica, diocesana o religiosa era assolutamente libera, come dimostravano anche i convegni sempre più affollati degli ex-alunni, sacerdoti, laici, religiosi. Inoltre, sarebbe stato permanente e indiscutibile assioma nella Congregazione salesiana che nelle missioni sarebbero stati inviati sempre e solo coloro che ne avessero fatto espli-cita richiesta. Comunque, concludeva la sua lettera esprimendo la fiducia che sulle difficoltà avrebbe avuto il sopravvento la bontà del fine. “Questa impresa – diceva –, ideata seco Lei nel seminario irlandese a Roma, troverà senza dubbio delle difficoltà nel suo principio, ma per certo potrà tornare di grande utilità al-le missioni dove avvi una vera e spaventevoal-le penuria di sacerdoti”40.

Per parte sua alle rinnovate istanze dei sue sacerdoti irlandesi credeva di averla ancora una volta salvata cedendo sul problema della sistemazione dei giovani aspiranti ed esprimendo disponibilità sui punti controversi o meglio sulle “intelligenze” (o accordi) che erano ritenute dai corrispondenti irlandesi da lui “cambiate”. I giovani candidati sarebbero stati ospitati a Valsalice e, per quanto riguardava il resto, temeva di non essere stato ben capito anche per difficoltà di lingua. Concludeva con parole di speranza autenticamente

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38 Di tale corrispondenza tra don Bosco e i volenterosi sacerdoti irlandesi si trova traccia anche nella lettera da lui scritta da Lanzo al fidato segretario, don Berto, verso metà settembre:

“Venendo portami le lettere del [= per il] sig. D. Liston e del [per il] sig. D. Aliman [sic] che sono sul mio tavolino. Anzi tira o fa’ trar copia di queste due lettere e indirizzale tosto per guadagnare un po’ di tempo” (Em IV 320).

39A mons. T. Kirby, 3 ottobre 1874, Em IV 329-330.

40Ibid., 330.

ca. “Essendo questa una impresa nuova – ribadiva convinto della sua validità –, dobbiamo andare incontro a molte difficoltà, ma se è opera di Dio progre-dirà secondo la sua maggior gloria”41. In successive due lettere don Bosco riconfermava lo sforzo di soddisfare le richieste, ma rifiutava che fossero poste come “obbligo assoluto”. Voleva, in ogni caso, gli “lasciassero almeno la scelta delle missioni”. Si dichiarava, infine, disponibile ad un’alternativa: accogliere

“giovani di altra condizione”, ossia poveri42. Lo ripeteva nell’ultima lettera sulla questione. Il naufragio della navicella non ancora arrivata al varo – rassicurava mons. Kirby, che se ne incolpava – non era dovuto ai peccati del generoso amico, ma semmai ai propri. Piuttosto, così Dio aveva voluto, rispettando come sempre il libero volere degli uomini. Meglio sarebbe stato se gli avessero inviato giovani poveri – se ne trovavano tanti allora anche in Irlanda – : le esigenze sarebbero state minori e la soluzione più semplice. Concludeva: “Se è opera di Dio si aggiusterà altra volta. Qualunque volta troverà giovani poveri che vogliano uniformarsi al nostro modo di vivere sarò sempre pronto ad accettarli”43. Ma sarebbe stata una soluzione convincente e duratura? Troppo diverse erano le sensibilità, le mentalità, la cultura, le abitudini, le aspettative.

Non avrebbero potuto rispondervi né Valdocco né Valsalice né altra casa sale-siana italiana. Altro era compiere la propria formazione in Italia, ma a Roma e in casa propria, in un collegio ecclesiastico nazionale, altro vivere per più anni al di fuori del proprio habitat naturale, sradicati e inevitabilmente incompresi, a cominciare dai bisogni elementari del vitto e dell’alloggio44.

Parallelo al progetto più ambizioso, però, era giunto a buon fine un più ridotto progetto “irlandese”, forse più consono alla linea desiderata da don Bosco. Gli elementi per la ricostruzione sono scarsi, ma significativi. Non è improbabile che il vescovo irlandese incontrato a pranzo al Collegio di mons.

Kirby il 1° febbraio 1874 possa essere stato Matthew Quinn (1820-1885), ex alunno del Collegio e dell’Urbaniana, dal 1846 al 1852 vicario generale della diocesi di Hyderabad in India, dal 1865 vescovo della nuova diocesi di Bathur-st in AuBathur-stralia, suffraganea di Sydney. In quella occasione o in seguito ad essa, ma certamente in un indubbio incontro personale, il vescovo e don Bosco erano giunti ad un accordo ben preciso. Il vescovo missionario, in partenza da Dublino, ne rievocava i termini essenziali in una lettera a don Bosco del 24 settembre 1874, in risposta ad una del destinatario del 21. Rispecchiava in piccolo formato il più vasto accordo previsto con i reverendi Liston e Hallinan.

Per i giovani da lui inviati dall’Irlanda il vescovo si accollava solo le spese del viaggio fino a Torino; ne sarebbe arrivato un primo scaglione di cinque, da destinare, a corso compiuto, alle sue “missioni dell’Australia”, sia che fossero

41A mons. T. Kirby, 24 ottobre 1874, Em IV 340.

42A mons. T. Kirby, 24 ottobre 1874, Em IV 343.

43A mons. T. Kirby, 11 dicembre 1874, Em IV 361.

44Cfr. W. J. DICKSON, The dynamics of growth. The foundation and development of the Sale-sians in England. Roma, LAS 1991, pp. 37-41.

rimasti nello stato secolare, sia che avessero voluto ascriversi alla Congregazio-ne salesiana. In un P.S. informava di essere in relazioCongregazio-ne con don Liston45. Don Bosco si era, quindi, impegnato a inviare, un giorno, suoi futuri salesiani irlan-desi in qualche missione da stabilirsi, in accordo con il vescovo, nella diocesi di Bathurst in Australia. Con Liston e Hallinan non era giunto a una concessione del genere. Egli intendeva che gli allievi, da loro reclutati, diventassero

“membri della congregazione salesiana” per andare “a suo tempo nelle missioni dove è dominante la lingua inglese, ma in quel sito dove si prevederà tornare a maggior gloria di Dio”46.

Ma, insieme, scrivendo al Kirby, mons. Quinn riconosceva inevitabile che il più ambizioso progetto discusso con Liston e Hallinan dovesse fallire. “Il pove-ro don Bosco – osservava – non si tpove-rovava in condizione di garantire sicurezza di continuità alla istituzione progettata; per di più, egli esigeva dagli studenti irlandesi la promessa di farsi membri della sua Congregazione, ciò che essi non erano disposti a fare”47.

Però nemmeno dalle trattative con mons. Quinn dovettero scaturire accordi ben precisi, se in una conversazione serale del 6 dicembre 1875 con vari sale-siani dell’Oratorio, don Bosco confidava che la missione in Australia era per il momento solo un progetto a lunga scadenza come per l’Africa, la California, Hong Kong e l’India. Del progetto australiano – diceva – aveva già trattato due volte con mons. Quinn, arrivando alle seguenti conclusioni: “Noi non siamo alieni dall’andare; ma 1° per ora non abbiamo ancora abbastanza sogget-ti per sobbarcarci a tanta cosa – 2° Venendo [andando] noi verremo [andremo]

come congregazione e faremo corpo da noi, soggetti solo alla Santa Sede – e forse 3° non possiamo fare gravi spese, avremo bisogno di sussidi”. Il cronista, però, ne traeva l’impressione che don Bosco simpatizzasse per la nuova impresa e volesse prendere due o tre anni di tempo per prepararla date le difficoltà che essa presentava: la lingua inglese, la preponderanza dei protestanti, l’indole degli aborigeni, il clima48.

4. L’effettivo impianto tra emigrati e nativi e tensione alle missioni (1874-1876)

Nel documento ISTITUTO STORICO SALESIANO - ROMA STUDI - 21 (pagine 142-146)

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