Indubbiamente, il centro delle cure di don Bosco era in permanenza costi-tuito dalle esigenze assistenziali e educative dei giovani. Tutte le altre vi erano subordinate o comunque strettamente collegate. Però, quale loro inderogabile possibilità e condizione continuava ad essere l’insonne ricerca del supporto finanziario, con l’oculata e intelligente amministrazione di quanto era stato raccolto: offerte in denaro, mutui, eredità, lasciti, vitalizi. Vi si aggiungevano i proventi che assicuravano i collegi più redditizi, le attività pastorali dei salesia-ni sacerdoti, il lavoro degli artigiasalesia-ni e dei coadiutori. Era soprattutto assillante la beneficenza mobilitata per la dispendiosa gestione ordinaria della Società e dell’Oratorio di Valdocco, sovraffollato, con entrate rispettabili, ma insuffi-cienti. Essa era richiesta e data anche in vista di grazie da ottenere per interces-sione di Maria Ausiliatrice, seppure con legame non automatico tra domanda e conseguimento della grazia128; “la fede è quella che fa tutto; se non è contrario alla maggior gloria di Dio, otterremo sicuramente la grazia”129.
La massiccia attività di don Bosco ricercatore di beneficenza, però, diventa-va essa stessa educatidiventa-va. Anzitutto lo era nei confronti dei giodiventa-vani e dei loro educatori: essi sapevano che il loro presente e il loro avvenire dipendevano dal-la generosità di chi offriva e daldal-la dedizione di chi chiedeva, amministrava e non cessava di invitare all’austerità e all’economia. La beneficenza diventava ancor più formativa nei confronti dei benefattori stessi, soprattutto credenti, sospinti, talvolta quasi assediati, da una pedagogia della carità, che si fondava su una concezione dell’esistenza come alterità, dono. “Dio ci ha creati per gli altri”, era assiomatico per don Bosco. Era il principio capitale della spiritualità cristiana di chi aveva e poteva nei confronti di chi non aveva e non poteva.
Non è, quindi, da stupire, se la martellante richiesta di aiuti economici in differenti misure slittasse per molti corrispondenti nella direzione spirituale.
Lo diventava, ancor più, quando chi mandava qualche offerta chiedeva insie-me preghiere, conforto e consiglio. Se ne rileva qualche eleinsie-mento; ma il tema meriterebbe una ricerca accurata ed esauriente tra l’altro mettendo a confronto le lettere pervenute a don Bosco e le sue risposte.
126Alla co. T. Corsi, 7 novembre 1874, Em IV 348.
127Lett. dell’8 novembre 1874, Em IV 350.
128Al diacono P. Casetta e a don R. Cianetti, 8 e 18 luglio 1871, Em III 346 e 348.
129A don R. Cianetti, 18 luglio 1871, Em III 348.
5.1 Direttore spirituale dei benefattori
Un indizio potrebbe essere colto nella lettera a una signora a noi sconosciu-ta, analoga a innumerevoli altre. La ringraziava di una offerta di 20 lire per una messa e prometteva preghiere sue e dei giovani anche per “alcuni bisogni spiri-tuali”, a cui l’offerente accennava, ed aggiungeva: “Quando a Dio piacesse di poterci parlare, forse potrei suggerirle qualche cosa in proposito, che non vorrei confidare alla carta”130. Più familiare e diretta era l’insinuazione alla contessa Alessandra di Camburzano, di una famiglia dalla profonda consuetu-dine con don Bosco. Si facevano assidue preghiere per la guarigione della nobildonna – le scriveva – e poteva sorprendere che la Madonna non le esau-disse, se non si riflettesse “che questa celeste Madre molto soddisfatta della pazienza di Lei cangia la terra in oro concedendo grazie spirituali in luogo di grazie temporali da noi dimandate. Ma a forza di bussare uopo è che ci esaudi-sca (...). Il testamento è già fatto?”131.
Rassicurante e rasserenante era quanto con prudente equilibrio suggeriva a un giovane militante cattolico genovese, Luigi Corsanego Merli (1842-1924), che sarebbe diventato una delle figure più eminenti del movimento cattolico ligure, il quale per ragioni di salute soffriva per non potersi occupare dei poveri e degli ammalati quanto avrebbe desiderato: “Non diasi pena perché non può fare molte cose. Davanti a Dio fa molto chi nel poco fa la sua santa volontà (...). In questi tempi si fa grandemente sentire il bisogno di propagare la buona stampa. È un campo vasto, ciascuno facendo quello che può si potrà ottenere molto”132.
Di particolare intensità – sorretta da una logica teologale incontrovertibile, ma dura nell’espressione, se rapportata alle odierne mutate sensibilità – era la partecipazione al gravissimo lutto della ventitreenne marchesa fiorentina Carmes Maria Gondi (1846-1885), l’ottobre 1869 rimasta vedova con una bambina di tre anni e un bimbo di diciotto mesi. La prima lettera era scandita da un perentorio “È di fede (...). Dunque (...)” ripetuto tre volte come inizio di altrettanti asserti: primo, “in cielo si gode una vita infinitamente migliore della terrestre. Dunque perché dolersi se suo marito se ne andò al possesso?”; secon-do, “la morte presso ai cristiani non [è] separazione ma dilazione di vedersi.
Dunque pazienza”, poiché chi precede “non fa altro che andare a preparare il luogo”; terzo, “è pure di fede che Ella ad ogni momento colle opere di pietà e di carità può fare del bene all’anima del defunto: dunque (...)”, gioia di una vita ricca di amore: “l’assistenza dei bambini”, il conforto del suocero, “la pratica della religione”, la diffusione di buoni libri, “dare buoni consigli a chi ne ha bisogno”. E non era tutto, “vi sono ancora altri motivi – aggiungeva –
37 Cap. XVIII: L’espansione interregionale dei collegi e la gestione delle opere (1869-1874)
130Lett. del 31 marzo 1870, Em III 194.
131Lett. del 6 aprile 1870, Em III 196.
132Lett. del 13 luglio 1870, Em III 228.
che, per ora, non giudico ancora di manifestare”133. Dopo un mese e mezzo, richiesto di svelarle “alcune ragioni provvidenziali a suo riguardo”, la pregava di ascoltarle direttamente dalla “voce del Signore”: “1° Tuo marito fu chiamato a me perché gli era preparato un posto assai migliore che non avesse sopra la terra. Giacché molti pericoli spirituali e temporali lo attendevano sopra la terra. 2° Tu stessa ne avevi bisogno: se mai tu avessi dovuto morir prima di Lui, il distacco e la separazione sarebbero stati troppo amari e crudeli; al contrario quando verrà l’ultimo giorno avrai un gran conforto nel pensiero che l’oggetto più caro già ti attende in seno al Creatore. 3° Il pane che da circa un anno mescoli con le lagrime e col dolore, sebbene il difetto di rassegnazione ne diminuisca alquanto il merito, tuttavia fu un gran tesoro per sollevare tuo marito, fare conoscere a te il nulla delle cose della terra e anche darti occasione di fare un po’ di penitenza della vita passata; e assai più per evitare una lunga serie di pericoli spirituali cui saresti andata soggetta. 4° Per dare esempio nel mondo di una madre che sul fiore degli anni rinuncia ad ogni idea terrena per occuparsi della propria figliuolanza. Contro a quello che fanno tante madri snaturate che passando ad altre nozze abbandonano le loro creature in mano di persone prezzolate che con servile educazione danno a bere il vizio prima che lo possano conoscere ecc”. Concludeva: “Non so se non la disturberanno queste cose che prima d’ora avrei voluto manifestare. Molt’altre cose Le scri-verò di mano in mano il suo cuore ne l’avrà preparata. Noti bene che io parlo con Lei con la più schietta confidenza. Queste cose dimostrano la bontà del Signore a di Lei riguardo”134. Nella lettera del 19 ottobre, già citata, di richiesta di eventuale aiuto per il riscatto dei chierici, si scusava di non potersi trovare
“con quelli – scriveva – che venerdì [21 ottobre, primo anniversario della morte del marito] pregano sulla tomba del compianto consorte” e ribadiva il forte pensiero di fede, già evidenziato nella prima lettera: “Consoliamoci, come dice S. Paolo, nella speranza che presto vedremo i nostri cari, perché la morte non è pei cristiani una separazione, ma una semplice dilazione di veder-si, ed Ella ne abbia fede, vedrà, anzi vedremo in condizioni migliori tutti quelli che furono istrumenti di sollecitudine verso di noi, e che noi possiamo aumen-tare la loro felicità nella vita presente”135.
Alla menzionata contessa Alessandra di Camburzano, in occasione di una delusione da essa provata, ricordava il mandato di Cristo sull’amore del prossi-mo, per cui – scriveva – “dobbiamo fare indistintamente il bene a chi si può senza badare a parenti né alla gratitudine che si ha diritto di sperare”136; il che non gli impediva pochi giorni dopo di esprimere, su un istituto di educazione, un giudizio drastico, che tra l’altro palesava il suo pensiero sull’educazione
133Lett. del 28 maggio 1870, Em III 211-212. Il corsivo è nostro.
134Lett. del 17 luglio 1870, Em III 229.
135Lett. del 19 ottobre 1870, Em III 266; cfr. ancora lett. del 3 dicembre 1870, Em III 273-274.
136Lett. del 16 ottobre 1870, Em III 263.
laica: “Democrazia, optime. Moralità, male. Insegnamento, mediocre. Vanità, moltissima”137.
Un giovanile e salesiano “servizio religioso” nei giorni 3, 6 e 8 dicembre era ancora promesso, “qual figlio ravveduto alla sua ottima madre”, alla contessa Girolama Uguccioni, e all’intera famiglia, introducendo l’esposizione di un bisogno – nel caso, il riscatto dei chierici dalla leva militare – e l’urgenza di un aiuto138, alla marchesa Carmes Maria Gondi139 e alla contessa Carlotta Cal-lori140. Delicata attenzione lo ispirava nel ricordare a un figlio le promesse fatte dalla mamma gravemente malata: “Se Mamà è abbastanza tranquilla, le ricordi la rinnovazione della promessa fatta a Retorbido quando era ammalata, promessa fatta e da compiersi se si fosse di nuovo levata da letto. Se però il male fosse tuttora grave non faccia parola di questo”141.
Alcuni mesi dopo alla contessa Uguccioni dava un prudente consiglio, vedendola preoccupata della divisione di due fratelli e delle relative famiglie:
“Si affligga nel solo caso dell’offesa del Signore e non altrimenti. Ella sia mediatrice di pace mentre fanno una famiglia sola; nella divisione, e nelle due famiglie, qualora queste due ultime cose si avverassero. Abramo e Lot erano due santi e si divisero per aver cura ciascuno della propria famiglia, dei loro pascoli e bestiami”142.
Scrivendo alla contessa Corsi, donava due semplici norme di vita alla diciannovenne contessina Maria143, che festeggiava l’Assunzione: “Due cose, una spirituale, l’altra temporale. Spirituale: celebrerò per Lei la messa in questo santuario e dimanderò al Signore tre grossi S, cioè che sia sana, sapiente e santa. Temporale: la mamma procurerà di farla stare allegra a tavola, al passeg-gio, nel giardino etc.”144.
La permanente fiducia nella medaglia di Maria Ausiliatrice tornava in una lettera al duca Tommaso Scotti, che uscito da un pericolo mortale aveva invia-to 500 lire [1.523 euro]. Per rincuorare il destinatario don Bosco si abbando-nava a reminiscenze autobiografiche: “Le dico anche in confidenza che io mi sono trovato nella stessa apprensione. Il mio salvaguardia fu una medaglia di Maria Ausiliatrice. Per tre volte il fulmine mi cadde vicino, fino a trasportarmi il letto con me dentro da una parte all’altra della camera; ma non ne riportai mai offesa alcuna. Ora temo più niente qualunque succeda minaccia di tempo-rali, di burrasche, di tuoni. Io credo poterla assicurare a nome del Signore che
39 Cap. XVIII: L’espansione interregionale dei collegi e la gestione delle opere (1869-1874)
137Lett. del 28 ottobre 1870, Em III 267.
138Lett. del 2 dicembre 1870, Em III 272.
139Lett. del 3 dicembre 1870, Em III 273-274.
140Lett. del 6 dicembre 1870, Em III 274.
141Al marchesino G. Durazzo, 9 dicembre 1870, Em III 277.
142Lett. del 30 aprile 1871, Em III 328.
143Nel giugno 1872 sarebbe andata sposa al conte Cesare Balbo: cfr. lett. al conte del 12 agosto 1872, Em III 458.
144Lett. dal santuario di S. Ignazio sopra Lanzo, 12 agosto 1871, Em III 356.
non sarà mai per accaderle cosa alcuna colla medaglia indosso e colla confiden-za in Maria”145.
Serene erano le parole che rivolgeva il 6 dicembre 1872 all’anziana nobil-donna dalla fede adamantina qual era la contessa Girolama Uguccioni, che aveva perso un fratello: “Piangiamone la perdita temporale, ma ringraziamo Dio che abbia concesso una grazia così segnalata di fare una morte cotanto preziosa agli occhi della fede”146.
5.2 Questuante itinerante
Il questuante di professione non solo scriveva, ma viaggiava e, in certo senso, come i mendicanti, non esitava a passare di casa in casa. Se ne può cogliere qualche scampolo.
Convalescente della malattia di Varazze, pochi giorni prima di ritornare a Torino, per giustificarsi da “discolo” di non aver seguito i “consigli” della
“buona mamma”, scriveva alla contessa Carlotta Callori: “Avrei ancor passato qualche settimana in questi ameni paesi, ma ci debbo rinunciare, perciocché essendo tra noi il solo questuante Don Bosco, mancando esso da molto tempo, le finanze sono ridotte al dissesto”147.
Può ritenersi tipica una lettera ad una delle più assidue benefattrici dei sale-siani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice, la contessa Gabriella Corsi, nel palazzo della quale avrebbe trascorso gli ultimi dieci giorni dell’agosto del 1871: “Ella si tenga su queste basi: Quelli che vengono per portare danari o trattare di cose che riguardino al bene delle anime, vengano in qualunque ora e in qualunque giorno, ché saranno sempre con gran piacere accolti. Chi viene per compli-menti, si ringrazi e si dispensi”148.
Scopo analogo aveva l’anno successivo il suo “giro” tra le Langhe e il Monferrato. Aveva inizio il 19 agosto, col viaggio da Torino a Nizza Monferra-to, in casa Corsi. Da qui, nel poscritto a una lettera a don Rua, lanciava un al-larme: “Fondi pubblici e privati in gran ribasso”149. L’8 settembre era a Valdocco per le premiazioni; da qui si portava a Vignale in casa Callori e, dopo gli esercizi spirituali, si trasferiva a Lanzo, dove, tra il 16 e il 28 settembre, predicava, rice-veva e confessava; quindi, lasciava Torino per Bricherasio, ospite dei conti di Viancino; ritornava a Torino, donde ripartiva per Costigliole di Saluzzo presso i conti Giriodi: “Questa mattina sono partito dall’Oratorio niente bene in salute, ma nel dopo mezzodì mi trovai molto; ed ora continuo. Deo gratias”, confidava
145Lett. del 9 settembre 1873, Em IV 157-158.
146Em III 496-497.
147Lett. da Alassio del 9 febbraio 1872, Em III 394.
148Lett. da S. Ignazio sopra Lanzo, 18 agosto 1871, Em III 360.
149Lett. del 20 agosto 1872, Em III 462.
a don Rua150; da Costigliole si portava a Peveragno, a contatto con varie fami-glie, tra cui l’amico e benefattore don Pietro Vallauri, e a località limitrofe, tra cui Mondovì. Da Peveragno scriveva a don Rua: “Domenica ci deve andare [=
venire] il barone Carlo Ricci a fare il déjeuner all’Oratorio a mezzogiorno, e lo farà cogli altri in refettorio. Ma la difficoltà si è che io non mi posso trovare. Ho parecchie cose tra mano che sembrano utili e per la gloria di Dio e pel materiale di nostre case e non posso sbrigarle in fretta (...). Casa Vallauri, Violino, Campana, etc. ti salutano”151. Da Mondovì, il 19 ottobre 1872, comunicava a don Rua: “Da Fossano ti scriverò se sarò a Torino martedì o mercoledì”;152 e da Mondovì lo stesso giorno al barone Carlo Ricci: “La pioggia continua guastò le strade da Mondovì a Fossano in modo che mi sono indotto [a] sospendere la mia ritornata [ritorno] a Torino. Ho però scritto a Don Rua per quanto occorre per la messa, ed attende la S. V. a mezzodì domenica. Raccomando alle sue preghiere la contessa di Camburzano gravemente ammalata. Lunedì mattina, se le vie sono praticabili, sono a farle visita”153.
Di nuovo, in agosto-settembre 1873, dalle lettere si può ricostruire un più breve pellegrinaggio da questuante, analogo al precedente, da Torino a Monte-magno in casa Fassati, a Racconigi, a Cuneo presso il vescovo e i Ricci des Ferres, a Peveragno presso don Vallauri, a Nizza Monferrato dai Corsi. Da Nizza non mancava di ricordare all’economo dell’Oratorio, che si trovava a Roma, di portare “a casa quattrini” e augurargli “buon viaggio”154.
Simili giri di questua si ripetevano tra l’estate e l’autunno del 1875, onde far fronte alle spese per i salesiani in partenza per l’Argentina. Dal 10 al 30 agosto si preannunciava assente da Torino155; era a Mornese e dintorni: “Qui tutto andò bene. Il corpo dell’Istituto è composto di 120 membri. Era indi-spensabile che prolungassi qui la mia dimora”, spiegava a don Rua il 28 agosto 1875156. Dal 19 al 31 era ad Ovada ospite di un sacerdote amico e benefico.
Dopo il settembre trascorso a Torino e a Lanzo per gli esercizi spirituali, dal 5 ottobre era a Vignale presso i Callori, poi a Nizza Monferrato dai Corsi-Balbo, donde scriveva alla Callori: “Dimani parto alla volta di Cunico. Lunedì (17) spero essere a Torino per occuparmi esclusivamente dei missionari argentini”157.
È ovvio che in più don Bosco si sia sempre dato da fare, anche in questi anni, per ottenere a tutti favori spirituali, benedizioni e indulgenze papali, e,
41 Cap. XVIII: L’espansione interregionale dei collegi e la gestione delle opere (1869-1874)
150Lett. dell’11 ottobre 1872, Em III 472.
151Lett. da Peveragno, 16 ottobre 1872, Em III 476.
152Em III 478.
153Em III 477.
154A don Antonio Sala, 8 settembre 1873, Em IV 156; cfr. anche lettere a don Rua del 27 e 30 agosto, 9 settembre e 11, 14, 17 ottobre 1873, Em IV 152-153, 158-159, 165, 168, 170-171.
155Alla march. M. Fassati, 14 agosto 1875, Em IV 507.
156Em IV 513.
157Lett. dell’11 ottobre 1875, Em IV 532.
per facoltosi e generosi borghesi non titolati, onorificenze civili e pontificie. Vi si riferiscono più lettere158.
5.3 Cooperatori ante litteram e “mamme” e “padri” di un “figlio discolo” e “dissipato”
A don Bonetti, direttore a Borgo S. Martino, in aprile 1871 don Bosco chiedeva: “Se mi scrivi, dimmi se le fragole sono già fiorite”159. Era domanda interessata. Le fragole del paese monferrino facevano parte del menu della colazione, a cui don Bosco invitava alcune famiglie dei benefattori più assidui in prossimità della festa di Maria Ausiliatrice. A quella del 1873 si riferiva il biglietto inviato agli schivi conti Viancino il 21 maggio, per invitarli alla festic-ciuola a Valdocco del giorno successivo, solennità dell’Ascensione: “Dimani alcuni amici di Lei conoscenti vengono all’Oratorio a mangiare le fragole di [Borgo] S. Martino. La famiglia Fassati, contessa Callori priora, contessa Corsi, barone Bianco sarebbero i commensali. Comune desiderio sarebbe che V. S. Car.ma colla sig.ra di Lei moglie favorissero di intervenire. Che ne dice, sig. Conte? L’ora sarebbe alle dodici e mezzo. Niente di suggezione né pel luogo, né per le persone che vi intervengono”160. Era un segno di amicizia e un mezzo di aggregazione alla famiglia salesiana di persone e famiglie, in parte già unite da vincoli di parentela, naturale o acquisita, come i Fassati, i De Maistre, i Callori, i Corsi, i Balbo, i Ricci des Ferres.
A quattro benefattrici, a un certo punto, egli dava il titolo di “mamma”; in ordine cronologico: le contesse Uguccioni, Callori, Corsi e Viancino di Vianci-no, e al marito di due, della Uguccioni e della VianciVianci-no, quello di padre. Delle tre lettere alla Viancino, due erano destinate alla “Mia Buona Mamma” e nella seconda chiamava il marito “mio buon papà”161. Nel 1870 aveva già inviato agli Uguccioni gli auguri di Pasqua, non volendo fosse “dimenticata una Mamma tanto buona ed un Padre tanto affettuoso”162; “il caro papà”, “mio buon papà”, confermava in seguito163.
Delle “mamme”, la Uguccioni era nata due anni prima di don Bosco, le altre, dodici anni dopo. Generalmente, in forma dichiarata il beneficiario
158Cfr. lettere al co. L. Cibrario, settembre-ottobre 1870, Em III 256-257, 257-258, 259; al Segretario dell’Ordine Mauriziano, 6 dicembre 1870, Em III 275-276; all’arciv. di Vercelli, 27 giugno 1875, Em IV 471-472; al sig. Boassi, 21 luglio 1875, Em IV 486; al Ministro della Real Casa e a Vittorio Emanuele II, 16 novembre 1875, Em IV 555-558; quattro suppliche a Pio IX, 9 aprile 1876, E III 33-37; cfr. anche lett. a don Cagliero, 27 aprile 1876, E III 51, e a don Ronchail, 20 luglio 1876, E III 74-75; al vescovo di Vigevano, 21 novembre 1876, E III 117.
159Lett. del 15 aprile 1871, Em III 324.
160Al conte F. Viancino di Viancino, 21 maggio 1873, Em IV 101.
161Lett. del 9 febbraio e 30 settembre 1872, Em III 396 e 467.
162Lett. del 15 aprile 1870, Em III 199.
163Alla co. G. Uguccioni, 30 aprile 1871 e 14 febbraio 1872, Em III 327 e 401.
esclusivo del titolo appariva don Bosco stesso, implicitamente e, talora, esplicitamente, lo erano tutti i salesiani e i giovani: “La mamma [era ospite dei conti Corsi] vi saluta, sta poco bene, pregate per lei”164; in un’occasione alla Uguccioni scriveva: “Ella è la nonna di tutti, non è vero?”165. Le espres-sioni di relazione filiale sovrabbondavano ed erano più immediate e confi-denziali nelle lettere alla Uguccioni (9 volte) e alla Callori (25 volte). Dal 1862 Carlotta Callori era la “benemerita contessa” e don Bosco “obbl.mo servitore”. Soltanto nel dicembre 1870 egli cominciava a fare gli auguri di
esclusivo del titolo appariva don Bosco stesso, implicitamente e, talora, esplicitamente, lo erano tutti i salesiani e i giovani: “La mamma [era ospite dei conti Corsi] vi saluta, sta poco bene, pregate per lei”164; in un’occasione alla Uguccioni scriveva: “Ella è la nonna di tutti, non è vero?”165. Le espres-sioni di relazione filiale sovrabbondavano ed erano più immediate e confi-denziali nelle lettere alla Uguccioni (9 volte) e alla Callori (25 volte). Dal 1862 Carlotta Callori era la “benemerita contessa” e don Bosco “obbl.mo servitore”. Soltanto nel dicembre 1870 egli cominciava a fare gli auguri di