VERSO L’UNIVERSALISMO GEOGRAFICO (1875-1877)
6. I Ricordi per la missione
Agli inizi di dicembre don Bosco comunicava a don Cagliero che il 29 novembre erano arrivati da Roma i documenti richiesti per i salesiani partiti per l’Argentina89: una lettera di raccomandazione del card. Antonelli al-l’arcivescovo di Buenos Aires, datata al 1° novembre 1875; un’altra a don Bosco del card. Antonelli, con la data del 14 novembre, che accompagnava due decreti della S. Congregazione di Propaganda Fide circa l’attribuzione del-la qualifica di “missionari apostolici” a don Cagliero e ai suoi compagni, a firma del card. Franchi, e le facoltà loro concesse90. Importante per la propria opera di animazione missionaria era quanto scriveva a don Cagliero: “Quando tu od altri scriverete abbiate cura di notare le più piccole particolarità che a voi si riferiscono; giacché tutti desiderano di sapere le più minute notizie vostre.
Tutte le nostre case sono piene; tutti vogliono mandare saluti ai Missionari,
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85Em IV 560-561.
86Lett. da Varazze del 2 dicembre 1875, Em IV 572-573. Datato al 17 novembre 1875, il Breve veniva pubblicato in italiano e latino ne “L’Unità Cattolica”, n. 285, martedì 7 dicembre 1875, p. 2038, sotto il titolo Pio Nono ed i missionari salesiani.
87Cfr. Em IV 562-564 e 569.
88Lett. di don Bosco al comm. G. B. Gazzolo del dicembre 1875, Em IV 571-572.
89A don G. Cagliero del 4 dicembre 1875, Em IV 574.
90Riportati in MB XI 584-587.
anzi andarli a vedere. Voi gradirete i pensieri e rimanderemo a suo tempo l’ef-fettuazione dei progetti”91.
Tra i documenti, il più vicino al cuore dei missionari era, certamente, il foglietto dei Ricordi a loro consegnato al momento dell’addio. Erano, se si vuole, una breve sintesi di pastorale e di spiritualità missionaria92. In essi, infat-ti, con i predominanti consigli di vita spirituale si intrecciavano norme di prudenza nei comportamenti, esortazioni a zelo pastorale, alle realtà più vere, le anime da salvare, il Cielo da raggiungere, Dio da glorificare. Don Bosco li rite-neva fondamentali e non avrebbe mai desistito dal rievocarli, collettivamente e singolarmente. “Cercate anime, ma non danari né onori né dignità”, era il primo. Seguivano citazioni di tratti tipici della salesianità boschiana, anzitutto la salvaguardia della moralità: “Carità e somma cortesia con tutti”, ma fuggire “la conversazione e la famigliarità” con donne, fare visite “se non per motivi di carità e di necessità”, non accettare “inviti di pranzo se non per gravissime ragioni”, fuggire “l’ozio”, “gran sobrietà nei cibi, nelle bevande e nel riposo”
(Ricordi 2, 3, 4, 5). Veniva raccomandata, inoltre, in nazioni nuove, particolare deferenza verso ogni autorità, civile ed ecclesiastica, diocesana e religiosa (Ricor-di 6, 7, 8, 10). Tra popoli in pieno sviluppo, ma insieme accresciuti dal-l’immigrazione di poveri in cerca di lavoro e di dignitoso sostentamento e asse-diati dai “selvaggi”, era inevitabile il richiamo alla povertà e al lavoro, seppure ben dosato: prendere “cura speciale degli ammalati, dei fanciulli, dei vecchi e dei poveri”, curare la propria salute, farsi conoscere “poveri negli abiti, nel vitto, nelle abitazioni”, poiché la povertà era la vera ricchezza “in faccia a Dio” e dinanzi agli uomini, in grado di conquistarne il cuore (Ricordi 5, 11, 12). Tali comportamenti, però, potevano sussistere, se gli evangelizzatori avessero tratto alimento dalle due sorgenti primarie: la carità, come amore di Dio e del prossi-mo, e la pietà. Sarebbero state anche il terreno fecondo per la promozione delle vocazioni ecclesiastiche e salesiane, reso ancor più propizio dalle consuete tipi-che sollecitudini: insinuare l’amore alla castità e l’orrore del vizio opposto, cura-re la separazione dei giovani buoni dai discoli, raccomandacura-re la comunione frequente, praticare la “carità con segni di amorevolezza e di benevolenza”
(Ricordi 13, 14, 15, 16, 17, 19). Infine, “nelle fatiche e nei patimenti” il cuore credente del missionario doveva volgersi al cielo, dove era preparato “un gran premio” (Ricordi 20).
Al 6 dicembre 1875, dopo 25 giorni di assenza di don Bosco da Torino, nel Diario dell’Oratorio di don Chiala e don Lazzero veniva annotato: “Torna D.
Bosco. Alla sera dopo le orazioni racconta agli studenti e artigiani congregati nel parlatorio il viaggio a S. P. d’Arena coi missionari, la separazione, la
missio-91A don Cagliero, 4 dicembre 1875, Em IV 574.
92 Cfr. A. MARTÍN, Orígen de las Misiones Salesianas. Guatemala, Instituto Teológico Sale-siano 1978, pp. 167-195, cap. VIII, Breves glosas a los recuerdos dados por don Bosco a la primera expedición misionera; J. BORREGO, Recuerdos de San Juan Bosco a los primeros misioneros, RSS 3 (1984) 167-208.
ne cominciata a bordo”93; inoltre, aveva riepilogato le varie tappe percorse, aggiungendo notizie ricevute dai naviganti da Marsiglia a Barcellona, Gibilter-ra, fino all’isola capoverdiana di San Vincenzo, e preannunciando le tappe seguenti94.
Seguiva presto una di 18 lettere dei Missionari salesiani, pubblicate in 19 puntate da L’Unità Cattolica nel periodo 20 gennaio-24 giugno 187695. Vi si intrecciavano altri titoli di analogo tenore: Missione salesiana nella Repubblica Argentina, che iniziava: “Uno dei motivi principali della spedizione dei Salesia-ni nella Repubblica Argentina era di fare novella prova di evangelizzare i Pata-goni, che finora si tennero ostinati ad ogni principio di civiltà e di religione”96. Le missioni salesiane in Patagonia, con ampia e, in parte, fantasiosa descrizione – che rispondeva alle effettive persuasioni di don Bosco – della situazione culturale e religiosa della “vastissima regione”, che insieme alle “pampas – si affermava –, che le stanno a settentrione e si stendono fino quasi all’equatore, e sono anche abitate da selvaggi, e le isole sparse qua e là intorno a lei, forma un’estensione forse pari all’Europa. Il numero dei Patagoni non si conosce; ma pare molto superiore a quanto finora i geografi hanno assegnato a quelle terre, poiché ora si calcola che possa ascendere a parecchi milioni. Essi sono intiera-mente selvaggi, senza leggi, senza Governo, senza case”97. Nell’immaginario di don Bosco le decine di migliaia diventavano milioni.
L’idea della missio ad gentes sarebbe ritornata nell’addio ai partenti nel novembre 1876 e 1877, quando parlò ancora don Bosco, sostituito da altri negli anni seguenti. Il 7 novembre 1876, rievocata la funzione dell’anno prece-dente, riandava a quanto avevano fatto allora i partenti: “Andati prima a Roma a prendere la benedizione del S.to Padre trovarono dal Vicario di Gesù Cristo la più cordiale accoglienza e da lui ricevuta la Missione, e ritornati a Torino parti-rono addì 11 di Novembre qui dai piedi di Maria Ausiliatrice”. Anche ai loro successori, ora, mancava soltanto “di andare a Roma, prendere la speciale bene-dizione dal Sommo gerarca della Chiesa, dal Vicario di S. G. C.”. Terminava riferendosi ai Ricordi, che essi avevano già letto e avrebbero potuto rileggere98.
Un esplicito spunto di polemica antiprotestante si insinuava nel discorso di
“missione” del 7 novembre 1877. “Vediamo un po’ – si domandava don Bosco –: che cosa vuol dire la parola missione?” e chi la poteva legittimamente confe-rire? Rispondeva risoluto: “Colui che a nome di Dio sta in mezzo a noi, il
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93J. M. PRELLEZO, Valdocco nell’Ottocento tra reale e ideale (1866-1889). Documenti e testi-monianze. Roma, LAS 1992, p. 40.
94 G. BARBERIS, Cronichetta, quad. 3 bis, pp. 26-36. Il discorso continuava la sera dell’8 dicembre con informazioni sull’imminente fondazione a Vallecrosia (Ibid., pp. 37-42).
95 L’unica cronaca non “missionaria” era quella relativa a L’inaugurazione del Collegio dei Salesiani in S. Nicolás, “L’Unità Cattolica”, n. 116, mercoledì 17 maggio 1876, p. 462.
96“L’Unità Cattolica”, n. 182, domenica 6 agosto 1876, p. 726.
97“L’Unità Cattolica”, n. 195, mercoledì 23 agosto 1876, p. 778.
98G. BARBERIS, Cronichetta, quad. 10, pp. 10, 13-25.
Sommo Pontefice. Da lui dobbiamo ricevere l’ite. Ed ora che prima d’avviarsi per l’America, passano a Roma, non vanno solo per ricevere una benedizione, per vederlo, per portargli i loro omaggi, ma bensì per ricevere da lui la missio-ne, come fosse Gesù Cristo medesimo: Ite praedicate evangelium meum omni creaturae. “I protestanti da chi sono mandati? (...). Dalla regina d’Inghilterra (...). I Missionarii cattolici da chi ricevono la missione? Da Gesù Cristo rappresentato dal suo Vicario il Sommo pontefice (...). L’uno a guadagnar anime, l’altro a guadagnar danaro”99.
7. L’avvio dell’opera americana con don Giovanni Cagliero (1875-1877) Don Bosco ha accolto rapidamente le opere proposte. D’altra parte, esse non si discostavano da quelle esistenti in Europa, anche se presto le avrebbe presentate anche come una testa di ponte da cui sviluppare l’iniziativa tutta nuova delle missioni tra i cosiddetti selvaggi. Tuttavia, né per le possibili opere tra i civili né per l’azione missionaria egli era in grado di approntare piani operativi precisi. I protagonisti dei primi anni di attività dovettero inventare quasi tutto, con personale e mezzi piuttosto carenti: sorsero molto presto dei problemi per l’inadeguatezza di alcuni, il disadattamento di altri e qualche defezione. Tuttavia, cresciuti alla scuola di un uomo coraggioso e lungimirante e sorretti dal fascino che su di essi continuava ad esercitare, essi impressero alla loro azione un ritmo veloce, che, grazie a un lavoro sovrumano ed estenuante, portò ben presto a imprevisti sviluppi.
Gli inizi della missione erano affidati alla responsabilità di don Giovanni Cagliero, membro del consiglio superiore e rappresentante ad omnia di don Bosco, che in fatto di affidamento poteva considerarsi pari a don Michele Rua, il collaboratore più vicino, vicario di fatto prima che di diritto e infine succes-sore. A don Cagliero sarebbero succeduti come ispettori o provinciali don Francesco Bodrato (1877-1880), don Giacomo Costamagna (1880-1894) e, per l’Uruguay e il Brasile, don Luigi Lasagna (1882-1895).
Don Giovanni Cagliero era entrato tredicenne all’Oratorio nel novembre del 1851, forgiato da don Bosco come aspirante alla vita ecclesiastica e religio-so salesiano fino a diventare il secondo nel consiglio che assisteva don Bosco nel governo della Società salesiana. Nei venti mesi del suo primo soggiorno americano egli era destinatario di un numero notevole di lettere del superiore, che lo guidava e lo ascoltava, informava ed era informato, in una convergenza di responsabilità e di decisioni, straordinariamente feconda.
Questo clima di regolata e libera intraprendenza, che andava al di là di quanto previsto a Torino e a cui don Bosco prontamente si apriva, a Buenos Aires consentiva una particolare attenzione alle necessità spirituali degli
99G. BARBERIS, Cronaca, quad. 16, pp. 33-41.
emigranti italiani. L’impegno si svolgeva nella chiesa della Confraternita Mater Misericordiae, che l’abile capo missione otteneva ben presto in uso perpetuo.
La cura pastorale di una comunità cattolica di emigranti si rivelava missione più urgente della stessa missio ad gentes100. Vi si impegnava in parte lo stesso don Cagliero, ma con zelo illimitato l’umile Giovanni Baccino (1843-1877), strappato troppo presto al suo lavoro senza respiro il 14 giugno 1877. Egli non ricevette lettera alcuna da don Bosco, che tuttavia lo ricordava varie volte nelle missive a don Cagliero. Viceversa, riboccanti di amore per il Padre, che lo sosteneva e sospingeva nel suo lavoro, si rivelano le sue lettere a superiori e compagni salesiani in Italia e a don Bosco stesso: dirette al Superiore lontano se ne contano 8 su 19 residue101. La sua visione della situazione religiosa e morale della città non era ottimistica, sollecitandolo al più intenso impegno apostolico. Chiedeva libri, ma soprattutto “buoni e laboriosi preti” “perché la messe era molta”. “Abbiamo bisogno di aiuto e presto – supplicava –, se no questi argentini ci ammazzano pel troppo lavoro”; “mandi un buon e forte direttore”; non tolga don Cagliero, “alle Indie mandi altri”; con rinforzi in personale “sfideremo tutti i diavoli dell’Inferno”. “La chiesa è frequentatissi-ma”, ripeteva; si stava svolgendo una vera azione “missionaria”. “Desidero ancora una volta vedere il mio caro Padre D. Bosco”, era l’ultimo inconsapevo-le anelito: era il 20 apriinconsapevo-le 1877, il 13 giugno moriva102.
La prima lettera di don Bosco a don Cagliero è del gennaio 1876, scritta dopo la prima ricevuta da lui dall’America. Essa mostra quanto don Bosco sognasse, lontano dal nuovo campo di lavoro, con insufficiente percezione del-le difficoltà deldel-le opere appena iniziate. Come già si è visto, prometteva per ottobre l’invio di “trenta Figlie di M. A. con una decina di Salesiani” e aggiun-geva, fantasioso: “Attesa la grave penuria di clero che vi è nel Brasile, non sarà caso di spiare la possibilità di una casa a Rio Janeiro?”103. Nella lettera successi-va accusasuccessi-va ricevuta di un’altra di don Cagliero e di altri salesiani, tra cui di don Fagnano, direttore del collegio di San Nicolás de los Arroyos. Toccava il problema “dei Salesiani e delle Ausiliatrici, dei giardinieri etc.” da preparare.
Attendeva da don Cagliero “positive disposizioni” e gli proponeva come buon predicatore un certo don Sammory. Esprimeva, poi, rincrescimento per una lettera, che don Tomatis aveva inviato da San Nicolás a don Francesia, diretto-re a Varazze, “in cui – spiegava – egli esprime come egli non sia tanto d’accor-do con qualcheduno e che fra breve tempo egli ritornerà in Europa”; e l’incari-cava di fargli un’essenziale lezione di mentalizzazione missionaria: “Digli due cose: 1° Che un missionario deve ubbidire, soffrire per la gloria di Dio e darsi
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100 Cfr. C. BRUNO, Los salesianos y las hijas de María Auxiliadora en la Argentina, vol. I (1875-1894). Buenos Aires, Instituto Salesiano de Arte Gráfica 1981, pp. 48-61.
101Cfr. J. BORREGO, Giovanni Battista Baccino. Estudio y edición de su Biografía y Epistolario.
Roma, LAS 1977.
102J. BORREGO, Giovanni Battista Baccino..., pp. 380, 388, 390, 393, 394, 402-405.
103A don G. Cagliero, gennaio 1876, E III 11.
massima sollecitudine per osservare quei voti con cui si è consacrato al Signore.
2° Che quando si avesse motivo di malcontento, il dica col suo Superiore o lo scriva immediatamente a me, e così avrà norma di operare”. Dava informazio-ni e trasmetteva saluti da parte di molte conoscenze torinesi e romane, chiede-va notizie dello “stato finanziario”. Lo incaricachiede-va di ossequiare i sostenitori e i benefattori, l’arcivescovo, mons. Espinosa, don Ceccarelli, “papà Benítez”
lodato dagli intenditori di Torino per la sua lettera scritta in perfetto latino104. Effettivamente don Tomatis in una lettera del 28 dicembre, a una settimana dall’arrivo nella città argentina, si era riferito, senza nominarlo, al coadiutore Molinari, maestro di musica, disarmonico con gli altri sei membri della comu-nità105. Don Bosco riscriveva due giorni dopo per manifestare all’autore del Figlio dell’esule la profonda commozione provata il giorno prima, “ieri”, nel teatrino, dove si era rappresentata la sua Disputa tra un avvocato ed un ministro protestante ed eseguita la romanza del Cagliero: “In tutto il tempo del canto e della stessa rappresentazione, non ho fatto altro che pensare ai miei cari Sale-siani di America”106. “Dammi notizie positive dello stato materiale, morale e sanitario delle case nostre e delle persone”, chiedeva ancora nel mese seguente da Varazze107. “Saluta tutti i nostri cari Salesiani, e di’ a tutti: Alter alterius onera portate et sic adimplebitis legem Christi”, ripeteva due settimane dopo108.
Il 13 aprile don Bosco partiva dall’Oratorio e il 5 era a Roma. Lo attende-vano vari incontri in dicasteri romani, ma soprattutto la partecipazione attiva ad una singolare tornata accademica. Nel 1874, con parecchi salesiani, egli aveva accolto l’invito a far parte dell’Accademia letteraria romana dell’Arcadia, assumendo il nome di Clistene Cassiopeo. La sua condiscendenza poteva ampliare la cerchia degli amici delle sue opere giovanili. Si era anche impegna-to a leggervi una sua composizione e il 14 aprile 1876, venerdì sanimpegna-to, doveva tenere il discorso sulla Passione di Gesù Cristo, previsto per l’adunanza accade-mica annuale dei membri. Don Bosco scelse come tema le sette parole di Gesù in Croce e, aiutato da don Durando, lo preparò con cura e stile adeguato. La lettura, piuttosto lunga e presumibilmente uniforme, suscitò reazioni e valuta-zioni diverse. Non era, certo, un rito di suo genio; ma certamente don Bosco non dimenticò in quali ore parlava e di chi parlava: nessuna malìa, ma parteci-pe “partecipazione al vivo di Gesù Cristo crocifisso” (Gal 3,1) con appassionata esortazione finale all’incondizionata fedeltà alla Chiesa e al Papa109.
Intanto, poco realisticamente per chi operava al di là dell’oceano, don Bosco continuava a lavorare di fantasia, impossibilitato a costatare visivamente
104A don G. Cagliero, 12 febbraio 1876, E III 17-18.
105Cfr. D. TOMATIS, Epistolario (1874-1903), a cura di J. Borrego. Roma, LAS 1994, p. 60.
Don Tomatis sarà ripreso poi direttamente da don Bosco: lett. del 7 marzo 1876, E III 26-27.
106A don G. Cagliero, 14 febbraio 1876, E III 19.
107A don G. Cagliero, 12 marzo 1876, E III 29.
108A don G. Cagliero, 30 marzo 1876, E III 32.
109Cfr. MB XII 159-160, 170-173; 631-642 (testo del discorso).
la sproporzione tra il tanto lavoro e l’esiguità quantitativa e qualitativa delle forze. Come preludio il 16 aprile 1876 egli presentava al ministro degli Esteri Luigi Amedeo Melegari (1805-1881), un moderato della Sinistra, salito al potere il 25 marzo, un progetto per l’insediamento di una colonia italiana nella fascia costiera della Patagonia, dal 40° al 50° parallelo, dal Río Negro allo stret-to di Magellano, dove – credeva e diceva –, “non vi è abitazione, né porstret-to, né governo, che abbia alcun diritto”. Essa avrebbe potuto raccogliere – affermava – “la sterminata quantità di Italiani che presentemente conducono vita stentata negli Stati del Chilì, della R. Argentina, dell’Uruguay, del Paraguay etc.”, trovandovi “lingua, costumi, governo italiano”110. In due lettere successive al-l’onnipotente segretario del ministero, Giacomo Malvano (1841-1922), un massone favorevole a don Bosco, e al ministro stesso, più concretamente passa-va a chiedere sussidi e sostegno per i salesiani che si preparapassa-vano a partire e per l’opera salesiana in America, “che oltre di essere nazionale – precisava – è diret-ta in modo speciale a migliorare la più bisognosa classe della società, i figli pericolanti delle famiglie italiane”111. Il clima politico e il ruolo degli interpel-lati consentivano in risposta soltanto una cortese lettera elusiva del Malvano.
I 17 punti di una lettera del 27 aprile 1876 da Roma a don Cagliero svaria-vano tra i temi più disparati, tutti concernenti l’opera in Argentina e le missio-ni del futuro, in particolare la costituzione di circoscriziomissio-ni ecclesiastiche missionarie in Patagonia, Vicariati o Prefetture. Quando di vera missione non c’era nemmeno l’ombra, don Bosco informava: “Il S. Padre manifestò grande consolazione della nostra Missione Argentina; con me e con altri lodò lo spiri-to di catspiri-tolicismo che tra i Salesiani si è sempre manifestaspiri-to”. Ai salesiani in America “ha concesso molti privilegi e favori spirituali”. Ha decorato il Benítez del titolo di Commendatore e don Ceccarelli di Cameriere segreto. Dava indi-cazioni particolareggiate sulla festa che don Fagnano e don Tomatis avrebbero dovuto preparare per la consegna solenne delle onorificenze. Anche per l’arci-vescovo di Buenos Aires gli sembrava che il papa avesse “qualche progetto”, il cardinalato. Ancor più, il papa aveva proposto ai salesiani tre Vicariati Aposto-lici nelle Indie, uno nella China, altro nell’Australia. Don Bosco diceva di aver-ne accettato uno aver-nelle Indie. Ne traeva la previsioaver-ne di impiegarvi don Caglie-ro e, quindi, la necessità che ritornasse in EuCaglie-ropa: per aprire una casa a Roma e poi andare nelle Indie. Lo pregava insieme di informarlo sul personale necessa-rio, salesiani e suore, promettendo che l’avrebbe inviato presto. Gli suggeriva di insinuare all’arcivescovo di Buenos Aires, da parte del S. Padre, l’oppor-tunità dell’insediamento dei salesiani in Patagonia, “ritenendo sempre per nostra base l’impianto di collegi e di ospizi”, “in vicinanza delle tribù selvag-gie”. Chiedeva “un ragguaglio dello stato finanziario”. Verso la conclusione, dava via libera ai propri sentimenti paterni: “Quando poi potrai parlare ai soli
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110Lett. del 16 aprile 1876, E III 43-44.
111Lett. del 12 agosto 1876, E III 84-86.
salesiani, di’ loro che li amo molto in G. C. e prego ogni giorno per loro. Che si amino vicendevolmente, che ciascuno faccia quanto può per farsi degli amici e diminuire coram Domino qualunque motivo di risse o dispiaceri altrui”112.
In maggio 1876 a Roma, don Bosco presentava al card. Franchi, prefetto di Propaganda, il progetto salesiano per la Patagonia, descritta a tinte tetre: regio-ne non più affollata da milioni di nativi; in essa, infatti, “sia per la vasta super-ficie e la scarsezza degli abitanti, sia per l’indole feroce e statura gigantesca dei medesimi, sia ancora per la crudezza del clima”, “né cristianesimo, né civiltà poté finora penetrare, né alcuna autorità civile od ecclesiastica vi poté estende-re la sua influenza o il suo impero”. Erano apparsi – soggiungeva – negli ultimi tempi “alcuni albori di speranza e di misericordia divina”, grazie alla fondazio-ne fondazio-nelle vicinanze di città e paesi di civili, con iniziali relazioni. Le due opere, a Buenos Aires e San Nicolás, erano un primo nucleo di istituti giovanili da estendere “sui confini”, per farne un ponte tra i figli ivi educati e i “parenti e
In maggio 1876 a Roma, don Bosco presentava al card. Franchi, prefetto di Propaganda, il progetto salesiano per la Patagonia, descritta a tinte tetre: regio-ne non più affollata da milioni di nativi; in essa, infatti, “sia per la vasta super-ficie e la scarsezza degli abitanti, sia per l’indole feroce e statura gigantesca dei medesimi, sia ancora per la crudezza del clima”, “né cristianesimo, né civiltà poté finora penetrare, né alcuna autorità civile od ecclesiastica vi poté estende-re la sua influenza o il suo impero”. Erano apparsi – soggiungeva – negli ultimi tempi “alcuni albori di speranza e di misericordia divina”, grazie alla fondazio-ne fondazio-nelle vicinanze di città e paesi di civili, con iniziali relazioni. Le due opere, a Buenos Aires e San Nicolás, erano un primo nucleo di istituti giovanili da estendere “sui confini”, per farne un ponte tra i figli ivi educati e i “parenti e