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Limitato ricupero tra nuovi e più gravi dissensi (1875-1876)

Nel documento ISTITUTO STORICO SALESIANO - ROMA STUDI - 21 (pagine 111-118)

TENACE DIFESA DELLA LIBERTÀ ISTITUZIONALE TRA INSICUREZZE E CONTESTAZIONI (1874-1878)

4. Limitato ricupero tra nuovi e più gravi dissensi (1875-1876)

Don Bosco non si arrendeva. Approfittando della nuova situazione creata dal-la partenza dei primi salesiani per l’Argentina, il 5 dicembre 1875 tornava aldal-la carica, chiedendo 13 tra privilegi, tra cui l’extra tempus e la facoltà delle dimisso-rie a qualunque vescovo, grazie spirituali e indulgenze in favore soprattutto, ma

71Documenti XV 155-157; MB XI 550-552.

72Lett. dell’11 settembre 1875, E II 508-509.

73Documenti XV 266.

non solo, dei missionari74. Intanto era stato cambiato il segretario della Congre-gazione dei VV. e RR. A mons. Vitelleschi, creato cardinale75, era succeduto dal 2 ottobre 1875 mons. Enea Sbarretti (1808-1884), a sua volta cardinale nel 1877. Per una serie di circostanze sfavorevoli, ma soprattutto per le permanenti ragioni del negative di settembre, le facoltà speciali furono rifiutate, anche perché per le dimissorie era in vigore il già citato Indulto del 3 aprile 187476.

Non erano mancate anche in questa circostanza interferenze, non immoti-vate, da parte dell’arcivescovo. Il 27 ottobre don Bosco gli aveva fatto visita per informarlo della prossima partenza dei suoi per l’Argentina. Altri problemi dovettero sorgere e l’udienza farsi burrascosa, se in una lettera del giorno seguente don Bosco iniziava: “Ieri la E. V. rev.ma giudicò di dirmi tutto quello che le sembrò opportuno senza nemmeno lasciarmi proferire una parola in discolpa o in rettificazione di quanto imputavami. Mi rincrebbe più per la E.

V. che per me”. La breve missiva diventava sofferto e fermo messaggio, con la sensazione che un’antica amicizia si fosse irrimediabilmente infranta. “Aveva in animo – continuava – di notificarle cose che avrebbero giovato efficacemente a diminuirle, forse a liberarla da serii dispiaceri”. Poi “con tutto il rispetto dovu-to alla dignità arcivescovile”, di cui l’“Eccellenza” era rivestidovu-to, riapriva l’antica piaga: “Credo poterle dire che se fu Vescovo di Saluzzo e poi Arcivescovo di Torino, se furono appianate le gravi difficoltà che si opponevano, ciò, e V. E.

lo sa, è dovuto alle proposte e sollecitudini del povero Don Bosco, che adesso non gli si permette nemmeno più di parlare e si manda via come Ella sa”. Era l’inizio di un altro livello di relazioni: “Io credeva di potere, anzi dovere di parlare; adesso io credo di esserne intieramente esonerato”77.

Appariva estinta la speranza di una amichevole collaborazione. L’arcive-scovo, probabilmente, aveva finito col pensare che don Bosco avesse scelto di percorrere la propria via, preferendo lo scontro al confronto. Don Bosco, a sua volta, era arrivato a credere di non sapere o di non poter fare più nulla per appianarla, forse, anche temendo di essere fagocitato come fondatore e supe-riore religioso. Si acuiva il bisogno di libertà per far avanzare, sviluppare, espandere le opere, oltre Torino, il Piemonte e, in prospettiva, l’Italia: donde, di nuovo, la sentita urgenza degli strumenti giuridici adeguati.

Verso la fine del 1875 veniva alla luce un incidente dall’ambiguo significato rubricato da Eugenio Ceria sotto il titolo: Don Bosco sospeso dalla confessione78.

La patente di confessione di don Bosco era scaduta in settembre senza che qualcuno si curasse di chiederne il rinnovo ed altri di rinnovarla anche senza

111 Cap. XX: Tenace difesa della libertà istituzionale tra insicurezze e contestazioni (1874-1878)

74Cfr. testo della lettera al papa in MB XI 468-469.

75 Riservato il 15 marzo, dichiarato il 15 settembre, moriva repentinamente il 15 ottobre 1875.

76Lett. del 28 dicembre 1875 del card. G. Berardi a don Bosco, Documenti XV 384; MB XI 472.

77Lett. del 28 ottobre 1875, Em IV 536.

78MB XI 478-490.

formale richiesta. Don Bosco era informato da don Rua soltanto alla vigilia di Natale. Il caso rientrava in poche ore, con la precisazione da parte del segreta-rio dell’arcivescovo, teol. Tommaso Chiuso, che le facoltà “non sarebbero mai state interrotte se a tempo debito fosse stato eseguito quanto in casi consimili si usa praticare”79. Fu gesto dimostrativo o puro fiscalismo curiale? Ma l’arcive-scovo non ignorava il caso e la disinvolta lettera del teol. Chiuso era la risposta a quella indirizzata al Gastaldi da don Bosco il giorno precedente con “l’umile preghiera di voler rinnovare tale facoltà per evitar chiacchiere e scandali”80. Non era una sospensione e la patente veniva aggiornata nel giro di due giorni81. “Il significato del gesto dell’arcivescovo (o di qualche potente curiali-sta) – conchiude lo storico del Gastaldi – era chiaro: far capire al «recalcitran-te» fondatore da che parte stava l’autorità in materia di disciplina ecclesiastica.

Umiliante per don Bosco, poco dignitoso da parte della curia e, in definitiva, per l’arcivescovo stesso”82.

L’episodio non occultava i cronici dissidi dovuti a differenti interpretazioni di più casi di disciplina ecclesiastica. Di questo tipo erano le osservazioni contenute in una lettera dell’arcivescovo del 31 dicembre 1875. Alla Società salesiana il Gastaldi rivolgeva cinque tra divieti e rimostranze: essa non poteva ricevere postulanti che non avessero “presentate le carte testimoniali del loro Ordinario”; non aveva il “diritto di tenere un collegio di giovani con veste clericale senza il permesso del Vescovo”; né aveva “diritto di porre l’abito chie-ricale” a qualsiasi giovane, cosicché questi potesse “portarlo fuori del collegio senza il permesso del Vescovo” della diocesi di appartenenza, com’era, invece, avvenuto di un giovane della parrocchia di Vinovo; essa aveva aperto e mante-neva “la scissura” con l’autorità ecclesiastica di Torino, avendo cominciato e

“persistito a ricevere vestiti da chierici nelle sue case individui licenziati dal Seminario Metropolitano, non solo senza alcun permesso, ma contro l’esplici-to dissenso dell’aul’esplici-torità Ecclesiastica”: “lo che – notava di seguil’esplici-to – fu un sovvertire l’ordine gerarchico e la buona disciplina del Seminario e quindi, per conseguenza necessaria, un ferire il cuore dell’Arcivescovo in una delle parti più sensibili”; “tale scissura” si manteneva “ancora mancando, sia nelle lettere, sia nei colloqui, della dovuta riverenza al carattere ed all’Autorità Arcivescovile”

“e poi contentandosi di riparare” “cominciando con un dubitativo o condizio-nale se”. Si riferiva a un’udienza data, la sera del 29 dicembre, a don Rua, il quale aveva difeso con particolare calore il suo Superiore e il giorno successivo, con una lettera all’arcivescovo, si era scusato di un eventuale eccesso di tono83. L’arcivescovo concludeva con un richiamo a tutto campo: “La Congregazione

79Lett. del 27 dicembre 1875, MB XI 485.

80A mons. L. Gastaldi, 26 dicembre 1875, Em IV 586.

81Documenti XV 383-384; MB XI 485.

82 G. TUNINETTI, Lorenzo Gastaldi 1815-1883, vol. II..., pp. 271 e 276, n. 9; cfr. G.

BARBERIS, Cronichetta, quad. 4, pp. 33-35 (sotto la data 31 gennaio 1876).

83Cfr. MB XI 486-487.

si tenga negli stretti limiti delle leggi canoniche, osservi a puntino le sue Costi-tuzioni, non si dimentichi della riverenza che deve all’Arcivescovo né faccia, né attenti di fare alcuna cosa contro la sua giurisdizione”: “né manchi verso di esso e della diocesi ai suoi doveri di giustizia”, “dia l’esempio di umiltà, che forma la prima virtù delle Congregazioni religiose”84.

Nella risposta, redatta da don Bosco, ma firmata da don Rua, le osservazioni venivano molto schematizzate. Si era d’accordo sia de iure che de facto sulle prime tre osservazioni: il caso di Vinovo era dovuto a “pura inavvertenza” dello scrivente. Quanto a giovani vestiti da chierico, che desideravano iscriversi alla Società salesiana, questa si valeva delle facoltà ottenute col decreto annesso al-l’approvazione canonica del 1869. Riserve sul potere di interdizione del vescovo venivano avanzate quanto all’accettazione di preti o chierici della diocesi che domandavano di iscriversi alla Congregazione. Quanto alle lettere e ai colloqui irriverenti si desiderava conoscerle “per detestarle, farne emenda e riparazione nel modo più formale”. Circa l’osservanza delle leggi canoniche si chiedeva di consentire di invocare comprensione per una Congregazione che – si diceva –

“è nascente e nasce in tempi procellosi, quindi ha bisogno di tutto e di tutti con quella massima indulgenza che è compatibile coll’autorità degli Ordinari”;

perciò non si domandava “il rigore delle leggi canoniche, ma somma carità e clemenza nell’applicazione delle medesime”. Non dovevano risultare par-ticolarmente gradite al destinatario le cose annotate nell’ultima parte del docu-mento, che avevano “grandemente costernati ed umiliati i poveri Salesiani”: il decreto del 17 novembre 1874 con cui l’arcivescovo aveva tolto i privilegi e i favori concessi dagli antecessori; l’aver dato risposta negativa alla preghiera di andar “ad onorare con qualche funzione il settenario [il settimo anniversario]

della festa della consacrazione della chiesa di Maria Ausiliatrice” e di ammini-strare la cresima a Valdocco ai giovani dell’Oratorio o permettere di invitare altro Vescovo; il rifiuto della facoltà di predicare a due sacerdoti salesiani. Ciò nonostante il Superiore non si era mai “udito a dire, scrivere o in altro modo promuovere cosa non decorosa pel suo Superiore Ecclesiastico”; anzi, egli non sottoscrisse cose contro l’arcivescovo inviate a Roma, dissuase “il collaboratore di un pessimo giornale” dal far pubblicare “una serie di articoli preparati e prez-zolati” ancora contro di lui, nel passato ottobre aveva distrutto con suo grave danno finanziario il manoscritto di “un’infame biografia” dell’arcivescovo, invia-togli “perché ne procurasse la stampa”: egli era “sempre contento quando con sacrifizi di qualunque genere” poteva riuscire a cose che potessero “tutelare l’onore del suo Arcivescovo, che egli ha sempre amato e rispettato”85.

Nonostante l’atmosfera poco favorevole, don Bosco, facendosi forte del-l’avvenuta partenza dei salesiani per l’America, rinnovava la domanda per gli ecclesiastici salesiani, principalmente se destinati alle missioni, di alcune

113 Cap. XX: Tenace difesa della libertà istituzionale tra insicurezze e contestazioni (1874-1878)

84Lett. dell’arcivescovo del 31 dicembre 1875, Documenti XV 389.

85Cfr. lettera a firma di don M. Rua del gennaio 1875, MB XI 302-305; E III 1-4.

facoltà che corrispondevano in parte a quelle contenute nella precedente richiesta. A conseguirle non avrebbe, tuttavia, trovato alleato l’arcivescovo, che non aveva motivo di cambiare le radicate convinzioni di principio né i propri convincimenti circa l’ambiguo stato giuridico della Società salesiana e gli indi-sponenti comportamenti del fondatore. Ne seguiva in giorni ravvicinati una martellante serie di interventi.

Una prima avvisaglia era data da un Postulatum, che l’arcivescovo aveva inserito nella Relatio ad limina del 21 marzo 1876 e che l’11 aprile il segretario della Congregazione dei VV. e RR. ordinava fosse trasmesso all’avv. sommista della medesima Congregazione, per averne in sintesi il contenuto per la prossi-ma udienza pontificia. Esso toccava i temi dello stato giuridico della Società salesiana e delle sue interferenze nella vita diocesana. Premesso che la Società

“aveva già fatto moltissimo bene e molto ne avrebbe fatto nel futuro”, l’arcive-scovo lamentava che avesse “la tendenza a intromettersi nella disciplina del mio Clero diocesano”: riceveva chierici dimessi dal seminario perché “ritenuti inabili ai sacri ministeri, li inviava in collegi di altre diocesi e li promoveva agli Ordini Sacri”, con grave disdoro dell’arcivescovo: infatti, alunni del seminario,

“minacciati di dimissione, irridevano alla minaccia, rispondendo che nel caso di dimissione sapevano già in quale luogo avrebbero potuto andare al sicuro”.

“Perciò – concludeva – supplico la Sacra Congregazione che finalmente porti un efficace rimedio a questo grave scompiglio”86.

Il 20 marzo 1876, in una lettera al card. Bizzarri era intervenuto con una più elaborata argomentazione contro la concessione dei privilegi. Adduceva ragioni di principio e di fatto. L’arcivescovo si dichiarava da sempre “il difensore degli Ordini religiosi” e riconosceva la necessità per loro “di qualche privilegio ed esenzione” per il governo interno, per esempio “la dipendenza e la traslocazione e destinazione dei loro soggetti”, e nelle Missioni estere. Ma i “lunghi studi” e le

“ripetute osservazioni pratiche” avevano “corroborato” in lui l’opinione che i privilegi accordati agli Istituti religiosi “in derogazione all’Autorità dei Vescovi”

servivano “solo a menomare questa autorità, la quale d’altronde – insisteva – ha ora più che mai bisogno di essere sostenuta e circondata di splendore e forza dalla S. Sede Apostolica, che ad essa [autorità episcopale] vien meno la forza civile”. Quanto alla concessione di privilegi a don Bosco si opponeva anche una situazione particolare: il suo “spirito di indipendenza e di superiorità”, che, per di più, si andava “trasfondendo anche nei suoi discepoli”. L’arcivescovo ne trae-va una specie di aut aut, che non potetrae-va non creare presumibile imbarazzo nei cardinali della Congregazione particolare: “Se il Sig. D. Bosco ha meritato e merita bene della Chiesa, io penso di non aver demeritato né demeritare, e quindi non veggo il perché si debbano ad esso conferire dei privilegi, i quali divengono punizioni per me”. La confessione, che concludeva la lettera, non era pathos retorico, ma toccante messaggio di intima sofferenza: “L’autorità

Arcive-86Cfr. lettera e Postulatum in Documenti XVI 186-187, 188; MB XI 472-474, 599-600.

scovile in Torino spogliata affatto di ogni lustro civile, privata dei quattro quinti delle sue rendite, svillaneggiata, derisa, schernita, insultata ogni dì in quasi tutti i giornali di Torino, e ciò perché l’Arcivescovo tien fermo nel mantenersi affe-zionato alla S. Sede e nel richiedere la osservanza della legge di Dio e della Chie-sa, non deve ricevere ulteriori diminuzioni per parte di D. Bosco; il quale colle sue lettere e le sue parole ed i suoi fatti le si mostrò opposto così, che in un gior-nale peggiore di Torino si manifestò allegrezza, perché D. Bosco sapesse essere l’unico Sacerdote capace di resistere all’Arcivescovo. Che se si hanno da conferire nuovi privilegi alla Congregazione Salesiana in Torino in danno della mia giuri-sdizione, si aspetti almeno il mio decesso, il quale non può essere lontano che tutto al più di pochi anni; o mi si dia tempo di ritirarmi da questo posto, ove per lo accumularsi di nuove difficoltà io non potrò più rimanere a lungo”87. Anche di questa lettera il segretario della Congregazione ordinava che si desse comunicazione all’avv. sommista.

In tono più dolente, mons. Gastaldi faceva un ultimo appello perché don Bosco non fosse premiato con privilegi, nella lettera di dimissioni inviata al papa il 3 aprile 1876. “Mi sta a fianco un Ecclesiastico – scriveva – il quale, se ha fatto e fa del gran bene alla mia Diocesi, in un modo, ha recato e reca alla mia amministrazione del gran male collo sparlare di me dentro a questa Dioce-si ed ai Vescovi circonvicini. Essendo esso per acquistare nuovi privilegi, io desidero non avere più con esso altri conflitti”88. Era la voce del personaggio di un vero dramma, nel quale era ugualmente coinvolto l’antagonista. Due credenti, consacrati al bene, non solo non si comprendevano, ma si facevano del male per la causa del bene. Ci possono essere incomprensioni anche tra i santi. Può esistere incapacità di capire e di capirsi anche in coloro che credono allo stesso Dio che è Amore, anzi che in lui certamente si amano con sincera carità, quella che vuole il bene di Dio e del prossimo.

Le facoltà richieste erano limitate e mancavano quelle che il Gastaldi paven-tava. Demandata alla Congregazione dell’Indice la facoltà di leggere e ritenere libri proibiti, furono concesse le altre, tra cui: ai sacerdoti di confessare in ogni diocesi e in viaggio, di erigere oratori o cappelle, di esercitare ministero pasto-rale in tutte le chiese della Congregazione, l’extra tempus per le ordinazioni89. A don Cagliero, a capo della spedizione argentina, don Bosco annunciava soddi-sfatto: Il Santo Padre “ha concesso molti privilegi e favori spirituali, tra cui i diritti parrocchiali a tutte le nostre case; i confessori approvati in una diocesi possono confessare in qualunque delle nostre case anche nei viaggi. Concesso l’extra tempus. Di tutto riceverai l’elenco”90.

Tardi giungeva al proprio avvocato curiale, Carlo Menghini, la lettera, con la quale l’arcivescovo dichiarava di non aver “alcuna difficoltà da opporre ai

115 Cap. XX: Tenace difesa della libertà istituzionale tra insicurezze e contestazioni (1874-1878)

87Documenti XVI 186-187; MB XI 472-474.

88Testo riportato in MB XII 642.

89Rescritto del 21 aprile 1876, MB XII 646-647.

90Lett. del 27 aprile 1876, E III 51-53.

privilegi che don Bosco” avesse potuto chiedere alla S. Sede, “purché – diceva – non si disturbi la giurisdizione Vescovile”. Ne contestava, perciò, uno che suonava: “In tutte le Chiese della Congregazione possano celebrare la S. Messa, amministrare la Sacra Eucaristia, esporla alla venerazione dei Fedeli, fare Cate-chismo ai fanciulli, ed esporre la parola di Dio”. Osservava: “Questa giurisdi-zione verrebbe gravemente disturbata, quando si sottraesse dal Vescovo una parte del suo gregge, per darla a D. Bosco, e sottometterla a questo, rendendola su certi rapporti indipendente dal Vescovo”; ed argomentava: “Una tale facoltà deve essere in mano del Vescovo, e concessa coi dovuti limiti più o meno ampii o ristretti secondo la sua prudenza e le circostanze locali”. Egli, tuttavia, assicu-rava che la facoltà era sempre stata data dai suoi predecessori; e da lui stesso con apposito decreto del 17 novembre 1874: però, avrebbe dovuto – dichiara-va – “restringerla quando un Parroco di Torino mi venisse ad assicurare che stante la piccolezza della sua Parrocchia esso può prendere e si prende realmen-te cura di tutti i ragazzi e giovani adulti suoi Parrocchiani; ma le sue cure sareb-bero inefficaci, quando a questi suoi parrocchiani si lasciasse la libertà summenzionata”91. Nelle udienze del 3 maggio e del 10 novembre 1876, don Bosco otteneva da Pio IX vivae vocis oraculo anche la dispensa dalle testimonia-li92, che, però, avrebbe portato a conoscenza della Congregazione dei VV. e RR. soltanto il 16 dicembre, rispondendo a una severa lettera del 28 novembre del cardinal prefetto Innocenzo Ferrieri93.

Ciò che don Bosco aveva ottenuto era certamente utile, però ben lontano da quanto era stato richiesto in origine. Ma, obiettivamente, lo stato delle rela-zioni nel triangolo Congregazione dei VV. e RR.-Gastaldi-don Bosco, non permetteva la rottura di un precario equilibrio, affidato alla saggezza dei prota-gonisti romani.

Succedevano pure banali incidenti, che non contribuivano a rasserenare il clima. Un richiamo disciplinare si ebbe in occasione della festa di Maria Ausi-liatrice, che vide il segretario del vescovo di Casale celebrare la messa solenne

“con distintivi prelatizi” senza autorizzazione dell’arcivescovo. Sebbene sul filo del diritto, siffatta difesa della dignità episcopale appariva piuttosto fiscale94. Sono di questo tempo due lettere di don Bosco, differentemente interessanti.

Nella prima, del 12 agosto, invitava l’arcivescovo all’Oratorio per l’ammini-strazione della cresima ai giovani95. Mons. Gastaldi preferiva che i giovani si recassero a riceverla nella chiesa dell’arcivescovado. L’altra era all’amico vescovo di Vigevano, Pietro Giuseppe De Gaudenzi. Gli comunicava che l’insegnante di filosofia ai chierici dell’Oratorio, don Giuseppe Bertello, aveva sostituito il

91Lett. del 5 maggio 1876, MB XI 600-601.

92Testo in MB XII 647.

93Cfr. cap. 25, § 5.

94Cfr. MB XII 236-237; e lettera di giustificazione del can. Santo Giuseppe Masnini dell’8 giugno 1876, pp. 649-651.

95E III 86.

testo di indirizzo rosminiano di Pier Antonio Corte, caldeggiato dal Gastaldi e usato nel seminario di Torino, con altro testo neoscolastico. Muoveva, pure, rilievi critici sulla dissoluzione dell’insegnamento morale nel Convitto ecclesia-stico, da cui, in settembre, era stato estromesso il Bertagna. Concludeva con un’oscura predizione: “È però certo che Dio aggiusterà le cose e forse fra non molto tempo”96.

In quelle settimane l’arcivescovo subiva un serio affronto con l’ordinazione sacerdotale a Roma, il 22 ottobre, del b. Francesco Faà di Bruno, con l’avallo diretto di Pio IX, del Vicariato, e il sostegno di don Bosco e di mons. Moreno, grazie alle dimissorie rilasciate dal vescovo di Alessandria, diocesi del Faà di Bruno. Nel caso l’arcivescovo si era mosso con molta correttezza, cercando di non creare disparità di trattamento rispetto a casi analoghi esistenti in diocesi.

Ne aveva chiesto semplicemente una più tranquilla preparazione con la dilazio-ne di pochi mesi97; ne usciva, infine, con molta dignità, finendo con l’incardi-nare il sacerdote novello nella diocesi di Torino il 1° dicembre98.

5. Le Costituzioni perfezionate e l’approvazione diocesana dell’Istituto delle

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