• Non ci sono risultati.

Il diritto all’abitazione: una premessa

Elena Vivald

1. Il diritto all’abitazione: una premessa

Il diritto all’abitazione, che trova importanti riconoscimenti in molte fonti sovranazionali1, è richiamato nella Carta costituzionale, la quale,

all’art. 47, finalizza il risparmio popolare, tra gli altri scopi, alla proprietà

dell’abitazione. A questo proposito preme evidenziare che la disposizione

citata non parla di proprietà di immobili, ma pare mettere l’accento sulla

funzione che la casa è chiamata a svolgere2 sottolineando l’idea per cui la

casa rappresenta un bene strumentale alla soddisfazione di bisogni pri- mari dell’individuo3: pensiamo non solo ai bisogni abitativi, ma anche a

quelli lavorativi, familiari, alla realizzazione dell’integrazione e della co- esione sociale, alla crescita del senso di appartenenza a una determina-

1. Pensiamo in particolare all’art. 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e all’art. 11 del Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali (disposizioni, peraltro, richiamate nella prima giurisprudenza della Corte costituzionale sull’enucleazione di un diritto sociale all’abitazione). Ma anche, a livello europeo, all’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e al punto 19 del Pilastro Europeo dei diritti sociali.

2. D. Sorace, A proposito di “proprietà dell’abitazione”, “diritto d’abitazione”, e “proprietà (ci-

vilistica) della casa”, in «Rivista trimestrale di procedura civile», 1977, p. 1178.

3. Così T. Martines, Il “diritto alla casa”, in Tecniche giuridiche e sviluppo della persona, N. Lipari (a cura di), Roma-Bari 1974, p. 392 ss., secondo cui «l’abitazione costituisce punto di riferimento di un complesso sistema di garanzie costituzionali, e si specifica quale com- ponente essenziale (oltre che presupposto logico) di una serie di ‘valori’ strettamente legati a quel pieno sviluppo della persona umana che la Costituzione pone a base (assieme all’istanza partecipativa) della democrazia sostanziale».

* Si riprendono qui, con sviluppi e aggiornamenti, alcune considerazioni già esposte in E. Vivaldi, Abitazione, in Dizionario dei diritti degli stranieri, C. Panzera, A. Rauti (a cura di), Napoli, Editoriale Scientifica, in corso di pubblicazione.

ta comunità4. Da questo punto di vista è significativa la giurisprudenza

costituzionale che si è sviluppata intorno a questo tema: già nella sent. n. 217/1988 la Corte ebbe modo di affermare che «il diritto all’abita- zione rientra fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione». Ancora, nel- la pronuncia n. 404/1988 si è affermato che è «doveroso da parte della collettività intera impedire che delle persone possano rimanere prive di abitazione»; il diritto all’abitazione assume, infatti, le vesti di un diritto

fondamentale, che rappresenta il «connotato della forma costituzionale

di Stato sociale voluto dalla Costituzione», quella forma di stato che deve «contribuire a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità umana»5. La Corte però ha

anche evidenziato, da subito, che il diritto all’abitazione «tende a essere realizzato in proporzione delle risorse della collettività» in quanto solo il legislatore, «misurando le effettive disponibilità e gli interessi con esse gradualmente satisfattibili, può razionalmente provvedere a rapportare mezzi a fini, e costruire puntuali fattispecie giustiziabili espressive di tali diritti fondamentali»6.

A partire da queste premesse occorre quindi chiarire quali siano le conseguenze derivanti dal riconoscere il diritto all’abitazione, finan- ziariamente condizionato, nel novero dei diritti sociali. In particolare occorre chiedersi a chi spetta tale diritto: se ai soli cittadini o anche agli stranieri presenti sul nostro territorio7.

4. L’abitazione sarebbe quindi presupposto per il godimento di molti diritti fondamenta- li. Pensiamo alla libertà di domicilio (art. 14 Cost.), ai diritti della famiglia (artt. 29-31 Cost.), al diritto alla salute (art. 32 Cost.), al diritto al lavoro (artt. 4, comma 1, e 35, comma 1). Su questi aspetti M.A. Cabiddu, Convivere con la crisi: la casa, in «Amministrare», 1, 2013, p. 91. 5. La Corte ha qualificato anche di recente il diritto all’abitazione come «diritto attinente alla dignità e alla vita di ogni persona». Si veda Corte cost., sent. n. 106/2018, punto 3.4 cons. dir.

6. Corte cost., sent. nn. 252/1989 e 121/1996. Criticamente sul legame tra diritto all’abi- tazione e valutazioni di tipo economico, cfr. G. Gilardi, Abitare: un diritto, non una semplice

aspettativa, in «Quest. giust.», 2008, p. 111 ss.

7. Su questi ed altri interrogativi si vedano, tra gli altri, F. Pallante, Gli stranieri e il diritto all’abi-

tazione, in Costituzionalismo.it, 3, 2016, p. 6; P. Bonetti, L. Melica, L’accesso all’alloggio, in Diritto degli stranieri, B. Nascimbene (a cura di), Padova 2004, p. 1017 ss.; C. Corsi, Il diritto all’abitazione è anco- ra un diritto costituzionalmente garantito anche agli stranieri?, in «Dir. imm. citt.», 3-4, 2008, p. 141 ss.

Del resto, se abbiamo rilevato la strumentalità della disponibilità di un alloggio rispetto alla fruizione di una serie di altri beni, ciò è tanto più vero per il migrante, il cui percorso di inclusione sociale è reso spesso più fatico- so a causa della lingua e della mancanza di reti sociali o parentali cui fare ri- ferimento. Eppure, l’acuirsi del problema abitativo non solo per chi si trova stabilmente in condizioni precarie, ma anche per nuove categorie sociali8,

ha fatto di questo tema un aspro terreno di scontro, in grado di mettere a ri- schio la tenuta dei principi di solidarietà di eguaglianza posti a fondamento della nostra Costituzione. Come è stato efficacemente osservato «l’immi- grazione è uno dei fattori che più di altri ha influito sul diritto all’abitare e sulla configurazione delle sue concrete modalità di tutela, mettendo a nudo alcuni punti deboli delle politiche abitative statali e regionali»9.

Il riconoscimento del diritto all’abitazione per gli immigrati10 ha su-

bito, infatti, nelle normative nazionali e regionali, chiusure significative, soprattutto ad opera di previsioni che richiedono la residenza prolungata sul territorio nazionale o locale e che quindi ricercano la prova di un le- game tendenzialmente stabile tra la persona e la comunità per l’accesso a prestazioni che mirano a rispondere a situazioni di bisogno e di indigen- za11. Tutto ciò sebbene l’Istat continui ad evidenziare, nei suoi rapporti

annuali, che gli stranieri in povertà assoluta sono oltre un milione e 500 mila, con una incidenza pari al 30,3% (tra gli italiani è il 6,4%) e che l’inci- denza di povertà assoluta è pari al 25,1% per le famiglie con almeno uno straniero (27,8% per le famiglie composte esclusivamente da stranieri) e

8. Pensiamo alle famiglie monoparentali, monoreddito, soggetti inoccupati o disoccupa- ti. Su questi aspetti E. Ponzo, L’articolo 5 del “Piano casa” del Governo Renzi. Un dubbio bilan-

ciamento tra esigenze di legalità e diritto alla casa, in «Costituzionalismo.it», 2, 2014.

9. E. Olivito, Il diritto costituzionale all’abitare. Spinte proprietarie, strumenti della rendita e

trasformazioni sociali, Napoli, Jovene, 2017, p. 250.

10. A. Randazzo, Il “diritto all’abitare” al tempo delle migrazioni, in «Dirittifondamentali. it», 1, 2019.

11. Sul punto, la Corte di giustizia, ha avuto modo più volte di affermare che la residenza prolungata sul territorio si configura come un criterio apparentemente neutro che tuttavia è idoneo a incidere maggiormente sulla condizione del non cittadino, integrando un’ipotesi di discriminazione indiretta. Così F. Biondi Dal Monte, Dai diritti sociali alla cittadinanza. La

condizione giuridica dello straniero tra ordinamento italiano e prospettive sovranazionali, Tori-

al 5,3% per le famiglie di soli italiani12. Come vedremo dopo, su tali pre-

visioni è spesso intervenuta la Corte costituzionale, giocando un ruolo decisivo nel dare priorità ai bisogni essenziali della persona13.

Fino all’approvazione del testo unico in materia di immigrazione (d.lgs. n. 286/1998, T.U. Imm.), le politiche sociali e abitative nei confronti degli immigrati si sono sviluppate soprattutto a livello regionale e locale. Nell’at- tesa di un intervento organico da parte dello Stato e per far fronte alle di- verse sanatorie che sono state approvate in favore degli stranieri, infatti, molte amministrazioni regionali e locali hanno iniziato, già a partire dagli anni ’80, a fare i conti con la presenza di immigrati sul proprio territorio, predisponendo servizi di orientamento, formazione e avviamento al lavo- ro14; in questo quadro, peraltro, alcune Regioni hanno consentito l’accesso

degli stranieri regolarmente soggiornanti alle graduatorie dell’ERP15.

Nel contempo, a livello generale, di fronte all’acuirsi del problema casa, le politiche abitative si sono sviluppate, negli anni settanta16, su

due versanti: da un lato attraverso l’adozione di misure tese ad incre- mentare il numero degli alloggi all’interno del sistema di edilizia resi- denziale pubblica17; dall’altro sono state introdotte misure finalizzate

alla tutela della parte contrattuale debole nei rapporti di locazione18.

12. Rapporto Istat 2019 (riferito al 2018), reperibile all’indirizzo: https://www.istat.it/it/

files//2019/06/La-povert%C3%A0-in-Italia-2018.pdf.

13. M. Cartabia, Gli “immigrati” nella giurisprudenza costituzionale: titolari di diritti e pro-

tagonisti della solidarietà, in Quattro lezioni sugli stranieri, C. Panzera, A. Rauti, C. Salazar,

A. Spadaro (a cura di), Napoli, Joene, 2016, p. 23 ss.

14. Così C. Panzera, Immigrazione e diritti nello Stato regionale. Spunti di riflessione, in «Dir. pubbl.», 1, 2018, p. 142.

15. P. Bonetti, L. Melica, L’accesso all’alloggio, cit., p. 1023 ss.

16. Sul punto sia consentito rinviare a E. Vivaldi, Le politiche abitative e i poteri normativi

del Governo, in Poteri normativi del governo ed effettività dei diritti sociali, L. Azzena, E. Malfatti

(a cura di), Pisa, Pisa University Press, 2017, p. 133 ss.

17. Basti pensare al primo grande intervento sulla casa, rappresentato dalla l. n.  65/1971, la quale disciplinò lo strumento dell’espropriazione per pubblica utilità al fine di realizzare un ambizioso programma pubblico di edilizia residenziale e alla l. n. 457/1978, che finanziò un piano decennale di edilizia residenziale per la costruzione di abitazioni e per il recupero del patrimonio edilizio già esistente.

18. Si pensi alla l. n. 392/1978, nota come legge sull’equo canone, che tentò di trovare una sintesi tra l’interesse allo sfruttamento economico dei beni, da parte dei proprietari di im-

Occorre poi attendere il biennio 2007-2008 per vedere approvate nuove misure sul disagio abitativo: da un lato le misure finalizzate a dare una risposta a persone soggette a procedure esecutive di rilascio per fini- ta locazione19, dall’altro l’istituzione del Fondo di solidarietà per i mutui

per l’acquisto della prima casa20.

Da quel momento in avanti pare che il problema abitativo delle fasce di popolazione più deboli sia meno presente tra gli obiettivi del legislato- re e sia stato, invece, affrontato attraverso interventi disorganici adottati dal Governo. È stato così sia per il Piano casa del 2008, adottato con d.l. n. 112/2008 conv. in l. n. 133/2008, sia per quello del 2014, adottato con d.l. n. 47/2014 conv. in l. n. 80/2014. Si tratta di interventi di diversa natura, che hanno mirato ad affrontare il problema casa da più punti di vista, attraverso l’offerta di nuovi alloggi di edilizia residenziale, con il rafforzamento dell’of- ferta abitativa in locazione e con la disciplina di nuovi strumenti finanziari per convogliare capitali pubblici e privati. Misure insufficienti, dove hanno trovato collocazione disposizioni di chiusura nei confronti dei migranti21.

2. L’accesso all’abitazione per il migrante: la residenza pro-

Outline

Documenti correlati