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Le innovazioni introdotte dal d.l n 113/2018 producono effetti in ordine alla costituzionalità della disciplina in

Emanuele Ross

8. Le innovazioni introdotte dal d.l n 113/2018 producono effetti in ordine alla costituzionalità della disciplina in

essere sul diritto di asilo?

Dunque, così definito il quadro delle modifiche introdotte, occorre valutare se – come detto – quel diritto vivente che si era formato, e tale da costituire una “integrale attuazione e regolazione” della previsione costituzionale, possa continuare a ritenersi tale: ovvero se, detto in altri termini, il diritto di asilo come previsto dalla Costituzione possa ritenersi pienamente garantito dal sistema definito in base alla normativa vigente.

Per rispondere a tale interrogativo, occorre operare una compara- zione tra la “vecchia” disciplina e quella “nuova”. È evidente, al riguardo, che tale confronto va condotto in primo luogo sul sistema della prote-

zione umanitaria (la “terza gamba” sopra indicata): l’unica sulla quale

la legislazione interna poteva intervenire senza mettere in discussione accordi internazionali o il rispetto dei vincoli derivanti all’appartenen- za all’Unione europea.

Secondo quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 194/2019, con il suo intervento il legislatore del 2018 ha «specificato, in un ventaglio di ipotesi nominate, i ‘seri motivi di carattere umanita- rio’ prima genericamente enunciati dall’art. 5, comma 6, T.U. Imm.».

È effettivamente così, oppure non si è trattato di una specificazione bensì di una riduzione62? La risposta a tale domanda è decisiva (recte:

62. Prende nettamente posizione a favore della seconda ipotesi M. Benvenuti, Il dito

può essere decisiva) per determinare la costituzionalità – o meno – del- la novella legislativa: se infatti si fosse trattato di una riduzione, è pro- babile che quella “integrale attuazione” di cui si è detto possa ritenersi non più tale (sebbene nello specifico si dovrebbe valutare, anche su un piano qualitativo, il senso e il valore di tale riduzione)63.

Per rispondere a tale domanda, occorre verificare se vi sono situa- zioni che prima risultavano “coperte” dal permesso per motivi umani-

tari e che oggi possono ritenersi “scoperte” dai nuovi permessi. Una

verifica potrebbe essere condotta a partire dalle fattispecie individua- te nella circolare del Ministero dell’Interno del 201564, che conteneva

un’elencazione delle “fattispecie di riconoscimento della protezione umanitaria” (peraltro dalla stessa circolare definite “non necessaria- mente esaustive”). Tra le altre, venivano indicate: a) «la temporanea impossibilità di rimpatrio a causa dell’insicurezza del Paese o della zona di origine non riconducibile alle previsioni dell’art. 14, lett. c), del d.lgs. n. 251/2007» (e cioè «la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale»); b) «gravi calamità naturali o altri gravi fattori locali ostativi ad un rimpatrio in dignità e sicurezza»; c) la situazione familiare del richiedente asilo che deve essere valutata ai sensi di quanto previsto dall’art. 8 della CEDU concernente il rispetto della vita privata e familiare (che non sfoci in atti di violenza).

con il decreto Salvini si risolve non in una tipizzazione e in una predeterminazione, com’è stato erroneamente asserito, ma al più in una specificazione e in un’esemplificazione di fattispecie che erano, sono e saranno sempre ermeneuticamente aperte, perché le virtua- lità del fondamento costituzionale o internazionale su cui poggiano emergeranno solo e soltanto in sede applicativa, senza alcuna possibilità di cristallizzazione, per così dire, in via legislativa».

63. Anche da un punto di vista logico, infatti, non è detto che una qualunque riduzione possa provocare un’incidenza sulla “piena attuazione” del diritto di asilo, in quanto la disci- plina “attuativa” potrebbe anche avere “strabordato” rispetto a quanto necessario per tutelare quel diritto (si pensi, ad esempio, alla tutela di quanti fuggono dal proprio Paese a causa di calamità naturali), sì che una riduzione di tale parte non sarebbe tale da incidere sull’ambito della tutela costituzionale.

64. Ministero dell’Interno – Commissione nazionale per il diritto di asilo, circolare prot. 00003716 del 30 luglio 2015.

Si tratta all’evidenza di un raffronto che difficilmente può essere con- dotto in astratto65 (come rileva la stessa Corte costituzionale, come subito

si dirà), in quanto la portata delle nuove fattispecie può essere valutata soltanto in relazione all’interpretazione che verrà data alla disposizione da parte delle amministrazioni e della giurisprudenza66, ed in considera-

zione dei casi della vita che emergeranno in sede applicativa67.

Tuttavia, ad un primo riscontro sommario svolto “in astratto”, sembra potersi dire «la temporanea impossibilità di rimpatrio a causa dell’insicurezza del Paese o della zona di origine» non sia coperta come causa per il rilascio di un nuovo permesso di soggiorno (nemmeno per quello di “protezione sociale” previsto ora dall’art. 32, comma terzo, del d.lgs. n. 25/2008, in considerazione della indicata riduzione del re- lativo ambito di applicazione); così come sembra “scoperto” quello re- lativo alla situazione familiare del richiedente asilo (per cui valgono le

65. Di diverso avviso, tra gli altri, A. Algostino, Il decreto “Sicurezza e immigrazione” (de-

creto legge n. 113 del 2018): estinzione del diritto di asilo, repressione del dissenso e disegua- glianza, in «Costituzionalismo.it», 2, 2018, p. 17, per la quale «la tipizzazione dei permessi

di soggiorno, con esclusione dei “motivi umanitari” non ulteriormente specificati, lede la Costituzione».

66. Come giustamente ha rilevato L. Minniti, Introduzione. La Costituzione italiana come

limite alla regressione e spinta al rafforzamento della protezione dello straniero in Europa, in

«Questione giustizia», 2, 2018, p. 8, «anche se il contributo delle Corti, in primo luogo di quelle europee e della Corte di Cassazione, offre una traccia significativa al giudice del me- rito, questi è sempre costretto a confrontarsi con conflitti, persecuzioni, minacce che si presentano nella realtà con volti sempre nuovi». Sottolinea M. Acierno, La protezione uma-

nitaria nel sistema dei diritti umani, in «Questione giustizia», 2, 2018, p. 100, che le ragioni

umanitarie «sono intrinsecamente non cristallizzabili perché direttamente influenzate dai mutamenti sociopolitici ed economico finanziari che governano i flussi migratori». Analo- gamente N. Zorzella, La protezione umanitaria, cit., p. 8, “i seri motivi umanitari o derivanti da obblighi costituzionali o da obblighi internazionali” non possono essere oggettivamente predeterminati in quanto risulta impossibile «prevedere tutte le ipotesi nelle quali possono sorgere quelle ragioni umanitarie che impongono la deroga alle ordinarie regole in materia di soggiorno».

67. Al di là di tale verifica, si tenga conto dei “freddi numeri” che sono stati diffusi dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo del Ministero dell’Interno, da cui risulta che la percentuale dei dinieghi delle domande d’asilo, pari circa al 60% sia nel 2016 che nel 2017, è salita all’81% nel 2019. E che il numero di permessi attribuiti, pari a circa 33.000 in ciascuno degli stessi anni, nel 2019 è sceso a poco più di 18.000. Per un’attenta analisi di tali dati si v. M. Giovannetti, Riconosciuti e “diniegati”: dietro i numeri le persone, in «Questione giustizia», 2, 2018, p. 44 ss.

identiche considerazioni appena svolte in relazione al permesso per le vittime di volenza domestica).

Quanto poi alle «gravi calamità naturali o altri gravi fattori locali ostativi ad un rimpatrio in dignità e sicurezza», il d.l. n. 113 ha intro- dotto un “permesso di soggiorno per calamità”, da riconoscere «quando il Paese verso il quale lo straniero dovrebbe fare ritorno versa in una si- tuazione di contingente ed eccezionale calamità che non consente il ri- entro e la permanenza in condizioni di sicurezza»68. La differenza nella

fattispecie, rispetto alla precedente, è evidente: per la novella normati- va, infatti, la calamità deve essere “contingente ed eccezionale”. Ergo, se non è contingente ma duratura, se non è eccezionale ma (purtroppo) normale, il permesso non può essere rilasciato. Nelle ipotesi previste, poi, il permesso può avere durata massima di sei mesi: evidentemente si presume che negli altri Paesi in tale termine sia possibile superare la situazione di calamità.

Oltre che alla prassi amministrativa, occorre gettare uno sguardo anche alla giurisprudenza, la quale – oltre a quanto già richiamato – ha ritenuto che «i “seri motivi” di carattere umanitario oppure risul- tanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano» devono considerarsi «tutti accomunati dal fine di tutelare situazioni di

vulnerabilità attuali o accertate, con giudizio prognostico, come conse-

guenza discendente dal rimpatrio dello straniero, in presenza di un’e- sigenza qualificabile come umanitaria, cioè concernente diritti umani

fondamentali protetti a livello costituzionale e internazionale» (corsivo

aggiunto): pertanto, considerando che «la protezione umanitaria co- stituisce una delle forme di attuazione dell’asilo costituzionale (art. 10, comma 3 Cost.)», la stessa giurisprudenza ha affermato «il carattere

aperto e non integralmente tipizzabile delle condizioni per il suo rico-

noscimento, coerentemente con la configurazione ampia del diritto

68. N. Morandi, Protezione internazionale, cit., avanza l’ipotesi che tale tipo di permesso sia applicabile anche nel caso di “eventi sanitari come epidemie e pandemie”: il che apre al tema della sua (eventuale) applicabilità alla situazione che si è creata in Italia (come in buona parte del mondo) a seguito della diffusione del Coronavirus. Tema che certamente non può essere qui analizzato, ma che induce a riflettere sulle condizioni e i limiti mediante i quali riconoscere un permesso di soggiorno in tali circostanze.

d’asilo contenuto nella norma costituzionale, espressamente riferita all’impedimento nell’esercizio delle libertà democratiche, ovvero ad una formula dai contorni non agevolmente definiti e tutt’ora oggetto di ampio dibattito»69. Dopo il d.l. n. 113, ancora le Sezioni Unite della

Cassazione hanno precisato che «gli interessi protetti (dalla protezione umanitaria, ndr) non possono essere ingabbiati in regole rigide e para- metri severi, che ne limitino la possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali; sicché l’apertura e la residualità della tutela non consentono tipizzazioni»70.

In dottrina si è al riguardo sostenuto che i “seri motivi” non possono neppure coincidere con il catalogo dei diritti umanitari riconosciuto in ambito internazionale, atteso che essi sarebbero ricompresi tra gli “ob- blighi costituzionali e internazionali”, e che pertanto detta categoria do- vrebbe costituire «un catalogo aperto di situazioni ritenute meritevoli di considerazione per motivi ritenuti socialmente compassionevoli», quali ad esempio le violenze subite in Libia solo in quanto migranti71.

Seguendo tale impostazione, risulterebbe oggettivamente impossibile ritenere che l’indicazione di fattispecie specifiche (quali quelle alla base dei nuovi permessi) possa considerarsi – anche rimanendo sul piano di un confronto “astratto” – equipollente alla situazione normativa pre- cedente.

Infine, non può risultare oggetto di dubbio la modifica introdotta all’art. 32 del d.lgs. n. 25/2008: che si tratti di una riduzione dell’ambito di applicabilità non è in discussione. Si può discutere, come si vedrà, se la portata normativa della disposizione possa essere ampliata mediante un’interpretazione adeguatrice: ma che si tratti di una deminutio è pacifico.

69. Così in particolare, Corte di Cassazione, Sez. I civile, n. 4455/2018: ma in precedenza v. anche Corte di Cassazione, Sez. VI civ., sent. n. 26566 del 2013 e ordinanza 7 aprile 2014, n. 15466 (su cui v. N. Zorzella, La protezione umanitaria, cit., p. 22), nonché, successivamente, le decisioni richiamate da M. Benvenuti, Il dito e la luna, cit., p. 9.

70. Corte di Cassazione, Sezioni unite civili, sent. n. 29461/2019, cit.

71. Così N. Zorzella, La protezione umanitaria, cit., pp. 14-15 che richiama, con specifico riferimento alle violenze subite in Libia da alcuni richiedenti asilo Trib. Genova 6 dicembre 2017, in «Diritto, immigrazione e cittadinanza», 1, 2018, Rassegna di giurisprudenza «Asilo politico e protezione internazionale».

Ma vi è una diversa prospettiva, pur sempre inerente alla eventuale incostituzionalità del d.l. n. 113, che occorre valutare: se cioè oltre al venir meno di alcune ipotesi in cui era prima previsto il rilascio del permesso di soggiorno, siano mutate le condizioni relative al contenu- to di tali permessi, sia in ordine alla loro durata che con riguardo a ciò che con essi è consentito fare. È infatti evidente, al riguardo, che non si possa guardare soltanto al nomen (permesso di soggiorno) ed alle fatti- specie da esso riguardate, ma anche alle garanzie assicurate mediante tale strumento.

Operando tale complessiva comparazione, emerge una riduzione oggettivamente riscontrabile in ordine alla tutela dei possibili titolari dei permessi di soggiorno previsti a livello normativo: il che non si- gnifica, di per sé, e come si dirà, una riduzione “netta” della tutela del diritto di asilo, in quanto per come si è visto il permesso di soggiorno non è del tutto sovrapponibile alla tutela del diritto costituzionale. In altri termini, il permesso di soggiorno può essere rilasciato anche in funzione di garanzia di diritti che esulano dal diritto di asilo (si pensi ad esempio all’ipotesi del permesso di soggiorno per violenza domestica): il che richiederà un’ulteriore verifica sul punto specifico.

Considerato ciò, ed indipendentemente da una valutazione in me- rito alla adeguatezza di tale strumento (il “permesso di soggiorno” temporaneo) a garantire il diritto di asilo, è sufficiente al momento riscontrare come anche sul versante della disciplina giuridica di esso la situazione tra “prima” e “dopo” il d.l. n. 113 sia mutata: i permessi di soggiorno si sono vieppiù “precarizzati”, sia in ordine alla loro durata (non è più previsto alcun permesso di durata biennale) che in relazione al loro contenuto garantistico.

In definitiva, e pur con i caveat indicati, sembra potersi ritenere che la nuova normativa non sia del tutto sovrapponibile a quella preceden- te, come peraltro aveva fatto presagire la circolare del Ministero dell’In- terno, di tre mesi precedente all’entrata in vigore del d.l. n. 113 (4 luglio 2018), dove si rilevava (in termini ovviamente critici) che «il permesso di soggiorno (per protezione umanitaria, ndr) è stato concesso in una varia gamma di situazioni collegate, a titolo esemplificativo, allo stato di salute, alla maternità, alla minore età, al tragico vissuto personale,

alle traversie affrontate nel viaggio verso l’Italia, alla permanenza pro- lungata in Libia, per arrivare anche ad esse uno strumento premiale dell’integrazione»: avvertendo che tale situazione non poteva essere proseguita. E richiamando di conseguenza «l’attenzione dei Collegi per il riconoscimento delle circostanze di vulnerabilità degne di tutela che, ovviamente, non possono essere riconducibili a mere e generiche con- dizioni di difficoltà»: ulteriormente precisando, come già ricordato, che «nessuna singola circostanza possa di per sé, in via esclusiva, costituire il presupposto per l’attribuzione del beneficio»72.

9. Le indicazioni della sentenza della Corte costituzionale

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