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Le indicazioni della sentenza della Corte costituzionale n 194 del 2019 e le prospettive conseguent

Emanuele Ross

9. Le indicazioni della sentenza della Corte costituzionale n 194 del 2019 e le prospettive conseguent

Merita a questo punto considerare quella parte della pronuncia della Corte costituzionale più volte richiamata (la sentenza n. 194 del 2019) che ha affrontato la questione relativa alla modifica normativa del 2018, sottopostale da alcune Regioni ricorrenti (trattandosi, lo si deve ricordare, di un giudizio in via principale).

Con specifico riguardo alla disposizione del d.l. n. 113/2018 che qui interessa, contenuta nell’art. 1, le Regioni ricorrenti lamentavano che detta sostituzione avrebbe determinato una restrizione dei titoli di

soggiorno, e la conseguente illegittima esclusione di una quota di perso-

ne dal novero della popolazione regolarmente residente sul territorio regionale e beneficiaria delle prestazioni sociali erogate dalle Regioni (e dagli enti locali): pertanto, sarebbero risultati violati, oltre all’art. 7 Cost., gli artt. 3 e 97 Cost. (ragionevolezza e buon andamento della pubblica amministrazione), l’art. 2 Cost., che garantisce tutela ai diritti fondamentali delle persone; gli artt. 4 e 35 Cost., sul diritto al lavoro; gli artt. 10, 11 e 117, comma primo, Cost. in riferimento al rispetto degli

72. Sottolinea come le affermazioni contenute nella circolare siano idonee «per deline- are il contesto generale nel quale irrompe il successivo decreto Salvini e dimostrano che il tentativo di vulnerare la protezione umanitaria si è dispiegato a livello prima amministrativo e solo successivamente normativo» M. Benvenuti, Il dito e la luna, cit., p. 12 ss., il quale ritiene (fondatamente) che il decreto-legge costituisca il tentativo di imporre in via legislativa quan- to non riuscito in via amministrativa.

obblighi internazionali ed europei, e in relazione a diversi parametri interposti, nonché «con ricadute, sia pure indirette, sulle competenze concorrenti e residuali delle Regioni in materia di assistenza sociale e sanitaria, di formazione e politiche attive del lavoro, di istruzione ed edilizia residenziale pubblica, oltre che sulle funzioni degli enti locali, in violazione degli artt. 117, comma terzo e quarto, 118 e 119 Cost.».

La Corte, mediante un’analitica ricostruzione della normativa e dopo aver classificato la disposizione impugnata tra le materie di com- petenza esclusiva statale (“immigrazione” e “diritto d’asilo”, come si è visto), ritiene che «tutte le censure danno per certo che l’effetto concre- to delle disposizioni impugnate sia quello di ridurre il numero dei tito- lari di un regolare permesso di soggiorno». Tuttavia, prosegue la Cor- te, «tale motivazione non è sufficiente a dimostrare la ridondanza in concreto sulle competenze regionali, alla luce del dato normativo come sopra illustrato. Gli argomenti addotti dalle ricorrenti si basano sull’as- sunto indimostrato che il passaggio da un permesso di soggiorno gene- rale e atipico, per ‘seri motivi di carattere umanitario’, a una serie di ‘casi speciali’, comporti di per sé una restrizione della protezione comple- mentare contraria a Costituzione». Ciò però, a parere della Corte, non è adeguatamente motivato, in quanto «l’effettiva portata dei nuovi per- messi speciali potrà essere valutata solo in fase applicativa, nell’ambito della prassi amministrativa e giurisprudenziale che andrà formandosi, in relazione alle esigenze dei casi concreti e alle singole fattispecie che via via si presenteranno». E poiché tale applicazione «potrebbe rivela- re che il paventato effetto restrittivo rispetto alla disciplina previgente sia contenuto entro margini costituzionalmente accettabili», se ne deve dedurre “il carattere ipotetico e meramente eventuale delle questioni” e di conseguenza indimostrato «l’illegittimo condizionamento indiretto delle competenze regionali denunciato nei ricorsi». Quindi, conclude la Corte, «le ragioni addotte dalle ricorrenti a sostegno della ‘ridondanza’ non consentono di superare il vaglio di ammissibilità».

Come può dunque leggersi, secondo la Corte non è dimostrata la

restrizione della protezione complementare, che tuttavia la stessa Corte

va”73. E qualora si verifichi che ciò è avvenuto, e non «sia contenuto en-

tro margini costituzionalmente accettabili», «questa Corte potrà essere adita in via incidentale, restando ovviamente impregiudicata, all’esito della presente pronuncia, ogni ulteriore valutazione di legittimità co- stituzionale della disposizione in esame»74.

Alla luce di tale giurisprudenza, si dovrà in primo luogo valutare – e verificare – se l’applicazione delle disposizioni del d.l. n. 113/2018 faccia emergere che esse producono un effetto restrittivo in ordine alle forme di protezione sostanzianti il diritto di asilo costituzionale. In secondo luogo, e qualora l’esito di cui al punto precedente avesse esito positivo (nel senso della verifica dell’effetto restrittivo), occorrerà valutare se detta

deminutio rientri – o meno – nel margine di discrezionalità consentito

al legislatore. Proseguendo nella ricostruzione della prospettiva indicata dalla Corte, a seguito di una valutazione positiva sia del primo che del secondo punto, si potrà sollevare (ad opera di un giudice nel corso di un giudizio, ovviamente) la relativa questione di costituzionalità.

Anche su questo passaggio una precisazione preliminare. Come si sa, la questione deve essere sottoposta alla Corte quando un giudice la ritenga “non manifestamente infondata”: pur con tutte le oscillazioni

73. Critico su questo passaggio della motivazione è A. Rauti, Il decreto sicurezza di fronte

alla Consulta. L’importanza (e le incertezze) della sentenza n. 194 del 2019, in «Forum di Qua-

derni costituzionali», 20 febbraio 2020, p. 25, per il quale sarebbero state più opportune altre soluzioni, tra le quali quella di valutare, da parte della Corte, «anche attraverso l’uso di pro- cedure istruttorie, l’esistenza di eventuali dati significativi nell’attività svolta dopo l’entrata in vigore del decreto dalle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale». Personalmente dubito della bontà di tale soluzione: sia in quanto assai ra- ramente la Corte ricorre a pronunce istruttorie, specie nel giudizio in via principale (salvo il caso da ultimo, della sentenza n. 197 del 2019), e sia in quanto i dati che si sarebbero potuti raccogliere non avrebbero avuto valore probante. E ciò anche in quanto, come opportuna- mente rileva F. Biondi Dal Monte, Ridondanza «in concreto» e interpretazione conforme a Co-

stituzione del decreto sicurezza nel giudizio in via principale, in «Le Regioni», 4, 2019, p. 1145,

le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno chiarito che le richieste di asilo proposte prima del 5 ottobre 2018, data di entrata in vigore del decreto sicurezza, dovranno essere esaminate sulla base della normativa antecedente al decreto stesso.

74. Che la decisione della Corte, in particolare per il passaggio della motivazione ripor- tato nel testo, non precluda un possibile esame in sede di giudizio incidentale è sostenuto da Gab. Conti, Troppo presto per giudicare… ma con qualche premessa interpretativa generale.

I ricorsi in via principale di cinque Regioni contro il c.d. “decreto sicurezza e immigrazione”, in

della giurisprudenza costituzionale nella direzione di richiedere al giu- dice di operare mediante un’interpretazione costituzionalmente orien- tata prima di sollevare la questione, resta tuttavia fermo che non può spettare al giudice la valutazione se la disposizione (nell’ipotesi in cui detto effetto restrittivo si sia prodotto) abbia o meno valicato i limiti della discrezionalità del legislatore, in quanto ciò è riservato al giudi- zio della Corte costituzionale. Il giudice dovrà limitarsi a verificare che quel travalicamento sia possibile: e in tal caso sollevare la relativa que- stione di costituzionalità.

Fin qui, comunque, la parte “esplicita” della pronuncia: ma ve n’è una implicita che occorre mettere in rilievo.

La Corte, infatti, poteva probabilmente risolvere in altro modo le questioni poste dai ricorsi regionali motivando, oltre che sulla non violazione – da parte della disposizione del d.l. – delle disposizioni costituzionali attributive di competenza (cioè dei parametri contenu- ti nel Titolo V della Costituzione), anche sull’evidente carenza di in-

teresse regionale. La considerazione da parte delle Regioni ricorrenti

– in particolare – che, a seguito del decreto-legge Salvini, gli stranieri in attesa di riconoscimento dello status di cui all’art. 10 Cost. sareb- bero diminuiti, e quindi che, per tale ragione, sarebbero state violate le competenze regionali dirette ad assicurare agli stessi assistenza, pare infatti argomentazione che ben altrimenti avrebbe potuto indurre la Corte a respingere i ricorsi senza un esame nel merito. Come può in- fatti ritenersi che una restrizione della platea dei possibili destinatari di prestazioni da parte delle Regioni, in base a decisioni politico-le- gislative rimesse alla competenza statale (cioè assunte nell’ambito di competenze costituzionalmente attribuite al legislatore statale), pos- sa ritenersi una violazione delle competenze regionali stesse? A me pare evidente che la Regione ha competenza ad assistere quanti sono sul proprio territorio, mentre non ha un interesse specifico a quante persone essa debba assistere (specie se esse sono in numero inferiore rispetto a quelle precedenti).

E invece la Corte non ha voluto chiudere la porta del giudizio adot- tando una pronuncia di inammissibilità per questa ragione, ma si è di- lungata in una puntuale ricostruzione sia del merito delle censure che

dei loro profili di potenziale incostituzionalità, quasi “suggerendo” ai giu- dici di sollevare le questioni qualora in sede applicativa sorgessero degli ambiti di minor tutela. Per questo, come si è detto in altra occasione, la decisione di inammissibilità per non adeguata motivazione in merito alla ridondanza appare, in tale circostanza, come una sorta di espediente, un “dire e non dire”, come talvolta avviene nelle decisioni del giudice costitu- zionale: o, forse, un dire una cosa per farne intendere un’altra75.

In definitiva, dunque, la Corte ha lasciato aperta, anzi ha spalancato, la via a un ricorso in via incidentale: nel quale, potendo essa affrontare la questione direttamente e non attraverso il difficile filtro della “ridondan- za”, le sarà possibile verificare se, alla luce dell’applicazione amministrati- va e giurisprudenziale, la portata dei nuovi permessi speciali sarà adegua- ta – o meno – a garantire la piena attuazione del disposto costituzionale. Restiamo dunque in attesa di un’ordinanza di rimessione che, in ogni caso, non potrà che intervenire in relazione a situazioni emerse dopo l’entrata in vigore del d.l. n. 113/2018, attese le pronunce della Corte di Cassazione sull’effetto non retroattivo delle misure in esso contenute. Qualora la Corte fosse investita della questione, potrebbe essere l’occasione per “fare il punto” in termini complessivi sul diritto di asilo previsto dalla Costituzione, alla luce non soltanto delle altre disposizioni costituzionali, ma anche delle norme di diritto internazio- nale nonché dell’evoluzione che ha interessato il relativo fenomeno nel contesto storico e sociale globale.

75. E. Rossi, La ridondanza, sai, è come il vento… Considerazioni sui ricorsi regionali nei

confronti di atti normativi statali nel giudizio in via principale, in «Consultaonline», 24 marzo

2020. Analogamente, mi pare, F. Mangano, L’interpretazione dei giudici nella disciplina dei

permessi di soggiorno per motivi umanitari, in www.questionegiustizia.it, 19 dicembre 2019, per

la quale «lo scopo prefisso dal legislatore del 2018, con la proclamata eliminazione di una ‘norma dai contorni incerti’ è stato quindi mancato, e la pronuncia della Corte costituzionale ne dà atto, rimettendone la verifica all’applicazione concreta delle nuove norme».

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