• Non ci sono risultati.

Il “volto” del diritto di asilo quale si ricava dalla giurisprudenza (anche costituzionale)

Emanuele Ross

6. Il “volto” del diritto di asilo quale si ricava dalla giurisprudenza (anche costituzionale)

Pur con tali precisazioni, l’affermazione della Corte contenuta nella sentenza n. 194 del 2019 esprime una valutazione che richiede di essere puntualmente verificata.

In base ad essa, infatti, i “tre istituti” (rifugio, protezione sussidiaria, protezione umanitaria) «danno vita nel loro complesso alla disciplina dell’asilo costituzionale»: ergo, ciascuno di essi è coerente, secondo la Corte, con la previsione e la disciplina dell’asilo di cui all’art. 10, comma terzo, Cost. Ed infatti, prosegue la Consulta, «ogni intervento legisla- tivo che, indipendentemente dal suo contenuto, incida […] sull’uno o sull’altro dei tre istituti […] deve per ciò stesso essere ascritto alla ma- teria denominata “diritto di asilo”». Come ulteriore conseguenza, at- traverso queste tipologie considerate in sistema può essere definito il “volto” del diritto costituzionale in parola. Analizziamo, dunque, i tre istituti sotto questo angolo visuale.

La protezione per chi è rifugiato, in primo luogo. Abbiamo visto che essa è garantita nei confronti di chi abbia il «giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua ap- partenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche».

Si può dire, a questo riguardo, che la sua inerenza al diritto di asilo costituzionale sia certa, e da essa si coglie la necessità che tale istituto sia riferito, come ben chiarito in Assemblea costituente, non soltanto alla persecuzione causata dalle opinioni politiche della persona, ma anche di quelle religiose ovvero connesse alle sue diverse possibili ap-

partenenze. In ogni caso, deve essere chiaro che quello protetto dalla normativa sui rifugiati non è soltanto un asilo politico, ma un asilo tout

court (ovvero un asilo religioso, etnico, sociale, ecc.). Quanto poi alla ri-

chiesta che vi sia una (recte: un giustificato timore di) persecuzione, pos- siamo ritenere essa compatibile con il diritto di asilo costituzionale nel senso che nel più sta il meno: ovvero che sebbene per l’art. 10, comma terzo, Cost., non sia richiesta né la concreta persecuzione e nemmeno il fondato timore di essere perseguitato, tali previsioni sono certamente ricomprese nella più ampia categoria delle potenziali negazioni delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana.

Anche la disciplina della protezione sussidiaria (che si applica, lo si ricorda, nei casi in cui lo straniero corra un rischio effettivo di subire un grave danno, quali la pena di morte, la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante, ecc.), come si è già detto, risulta coerente con la disciplina costituzionale dell’asilo: sempre intendendo che questo protegga i diritti civili (diritto alla vita, alla libertà personale, e così via, e in generale il diritto al rispetto della dignità umana). Qualo- ra invece si ritenesse che questi diritti non siano protetti dalla disposi- zione costituzionale in quanto “condizioni delle libertà democratiche” e non “libertà democratiche” stesse, risulterebbe difficile giustificare l’affermazione della Corte costituzionale (e della Corte di Cassazione prima): l’istituto della protezione sussidiaria (come anche quello della tutela dei rifugiati), infatti, sarebbe espressione di principi sicuramente di rilievo costituzionale (la tutela dei diritti inviolabili della persona), ma non del diritto di asilo. Ed allora, il riconoscimento operato dalla Corte costituzionale con la sentenza richiamata induce a ricostruire, come si è detto, il “volto” del diritto di asilo costituzionale: l’espressio- ne “libertà democratiche” può, e forse deve, intendersi riferita anche ai diritti civili e a quelli sociali.

Infine, la “protezione umanitaria”, ovvero il permesso di soggiorno pre- visto in presenza di «seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano». Cosa ci dice questa previsione, se considerata come attuazione del dirit- to di asilo costituzionale? Ritengo in primo luogo che si debba esclude- re il riferimento agli “obblighi internazionali” dello Stato: questi infatti

esulano chiaramente dal diritto di asilo come stabilito dalla nostra Carta costituzionale. Per essere più chiari: a quel tipo di obblighi il nostro or- dinamento è soggetto in forza del principio generale ora sancito dall’art. 117, comma primo, Cost. (a tacer d’altro), e quindi l’eventuale presenza di obblighi internazionali in materia ci costringerebbe a darne esecuzione indipendentemente dalla previsione dell’art. 10, comma terzo, Cost.

Anche la previsione degli “obblighi costituzionali” non mi pare ag- giunga molto di significativo, per la stessa ragione appena indicata; a meno che in tali “obblighi” non sia ricompreso anche il diritto d’asilo: ma in questo caso la previsione risulterebbe tautologica.

Rimane dunque la previsione di “seri motivi di carattere umanita- rio”. Tale formulazione è assai ampia e quasi indeterminata: molto di- pende dall’interpretazione che ad essa viene data (come vedremo su- bito). In termini generali possiamo dire che essa risulta coerente con l’idea di asilo costituzionale che avevano i costituenti, o perlomeno la maggioranza di essi: la formulazione della disposizione risulta infatti coerente con la finalità espressa da La Pira di garantire a tutte le perso- ne la propria libertà individuale («il concetto d’asilo è legato a questo concetto del valore sacro degli uomini», come egli affermò)57.

L’ulteriore precisazione che la formulazione della previsione ci fornisce è che i motivi devono essere “seri”: il che presuppone una va- lutazione quantitativa e qualitativa tendente ad escludere le ipotesi di minore rilevanza. Ed anche questa sembra coerente con la disciplina costituzionale e la gravità delle circostanze in cui applicare l’istituto.

Al permesso di soggiorno “generale” per protezione umanitaria, il T.U. Imm. affianca(va) tre permessi “per fattispecie particolari”, consi- stenti in un permesso per protezione sociale (art. 18); in uno per parti- colare sfruttamento lavorativo (art. 22, comma 12-quater); e in un terzo per le vittime di violenza domestica (art. 18-bis).

Quello rilasciato per “protezione sociale” (art. 18 T.U. Imm.) riguar- dava l’accertamento di «situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero» e di «concreti pericoli per la sua incolu-

57. Atti Assemblea Costituente, Commissione per la Costituzione, Adunanza Plenaria, seduta del 24 gennaio 1947, Resoconto, p. 170.

mità» quali conseguenze «dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un’associazione dedita» ad uno dei delitti indicati dalla norma o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio: scopo di tale permesso è di «consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti dell’organizzazione criminale e di parte- cipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale».

Non è facile dire quanto questo tipo di permesso sia inerente al di- ritto di asilo, in quanto i pericoli cui fa riferimento la norma sembrano non derivare dalla condizione del Paese di provenienza: e tuttavia la previsione di un permesso di soggiorno, in tale circostanza, giustifica l’ipotesi che un ritorno nel proprio Paese possa risultare pregiudizievo- le per lo straniero. Alla luce di ciò, la tutela da forme di violenza e da atti pregiudizievoli per l’incolumità sono senz’altro da ascrivere all’ambito della previsione costituzionale.

Il permesso per “sfruttamento lavorativo” è stato introdotto nel T.U. Imm. dal d.lgs. 16 luglio 2012 n. 109, e viene rilasciato in presenza di alcu- ne ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo previste dalla medesima disposizione; mentre quello “per violenza domestica”, introdotto come art. 18-bis del T.U. Imm. dal d.l. 14 agosto 2013, n. 93, convertito con mo- dificazioni dalla l. 15 ottobre 2013, n. 119, viene rilasciato «quando, nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento per talu- no dei delitti previsti» dalla stessa disposizione, «commessi sul territorio nazionale in ambito di violenza domestica, siano accertate situazioni di violenza o abuso nei confronti di uno straniero ed emerga un concreto ed attuale pericolo per la sua incolumità, come conseguenza della scelta di sottrarsi alla medesima violenza o per effetto delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio». La medesima dispo- sizione precisa che «si intendono per violenza domestica tutti gli atti, non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o persone legate da relazione affettiva in corso o pregressa, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima».

Entrambi questi permessi possono considerarsi funzionali a presta- re garanzia a situazioni che vanno oltre il diritto di asilo (analogamente

a quello per “protezione sociale” di cui si è detto) e che almeno in parte sono estranee ad esso, come è evidente: essi possono tuttavia conside- rarsi almeno in parte ricollegabili al diritto di asilo qualora riferiti a circostanze in cui le fattispecie in esse previste possano derivare da un ritorno dello straniero nel proprio Paese.

In definitiva, dunque, se dall’affermazione della Corte può trarsi l’indicazione per un’interpretazione dell’art. 10, comma terzo, Cost. che, partendo dalla normativa esistente, contribuisca ad illuminare la portata della disposizione costituzionale, se ne deve trarre la con- seguenza che, secondo la Corte, il diritto di asilo deve intendersi in modo ampio, vale a dire quale riferito a diritti di varia natura; che deve adottarsi in presenza di atti, fatti, o comunque rischi di una certa gravità e importanza, potenzialmente incidenti sulla qualità di vita della persona. Esso, inoltre, può essere legittimato non soltanto da comportamenti degli organi costituzionali o comunque del potere pubblico (ancor meno, come si è visto, da norme giuridiche), ma an- che da eventi e avvenimenti tali da giustificare la sussistenza di “seri motivi di carattere umanitario”.

Un’ultima considerazione al riguardo. Si è detto sopra che una volta accertata la ricorrenza delle condizioni stabilite dalla disposizione co- stituzionale dovrebbe essere previsto il rilascio di un permesso di sog- giorno a tempo indeterminato. Ma questo non avviene nella disciplina legislativa (anche quella riferita alla affermazione della Corte costitu- zionale, quindi precedente all’entrata in vigore del d.l. n. 113/2018): infatti per il permesso di soggiorno per rifugiati e per quello sulla pro- tezione sussidiaria era (ed è) prevista una durata di 5 anni (rinnovabile al permanere delle condizioni), mentre per il permesso per protezione umanitaria e per i tre permessi per fattispecie particolari la durata è variamente definita (come meglio si dirà), e comunque a tempo deter- minato.

Outline

Documenti correlati