Camera dei Deputati, Palazzo Montecitorio, Aula della Commissione VI (Finanze)
LA TUTELA GIURIDICA DELLA BIODIVERSITÀ IN QUANTO BENE CULTURALE
2. Il patrimonio culturale La Dieta Mediterranea
Attraverso il concetto di diversità bioculturale risulta agevole comprendere che il patrimonio culturale di un determinato territorio acquista significato sempre più ampio, comprendendo le risorse culturali materiali ed immateriali di una data comunità7, le quali, a loro volta, ricomprendono al loro interno le
espressioni identitarie e le eredità del passato da trasmettere alle generazioni future8.
Se in un primo tempo l’UNESCO nella Convenzione del 1972 all’art. 1 definisce il patrimonio culturale prendendone in considerazione solo ed unicamente le sue manifestazioni materiali, negli anni successivi l’attenzione si sposta verso gli aspetti intangibili della cultura, al fine di promuovere la ricchezza delle diversità culturali, in qualsiasi forma ed espressione.
La raccomandazione sulla salvaguardia della cultura tradizionale e del folklore del 1989, all’art. 1, identifica, infatti, “la diversità con l’unicità e la pluralità delle identità dei gruppi e delle società che costituiscono l’umanità. Come fonte di scambio, innovazione e creatività, la diversità culturale è necessaria per l’umanità quanto la biodiversità per la natura. In questo senso, è il patrimonio comune dell’umanità e dovrebbe essere riconosciuta e affermata
Milano, 2002, 38 ss.
6 Cfr. L. MAFFI, Biocultural Diversity and Sustainability. Sage Handbook on Environment
and Society, J. PRETTY-A. BALL-T. BENTON-J. GUIVANT-D. LEE-D. ORR-M. PFEFFER-H.
WARD (eds.), London, 2007, 267-277; L.L. CAVALLI SFORZA, L’evoluzione della Cultura, Torino, 2011; L.L. CAVALLI SFORZA-T. PIEVANI, Homo sapiens-la grande storia della
diversità umana, Torino, 2011.
7 Al riguardo, sembra appena il caso di menzionare il c.d. “approccio ecosistemico”, che
propone una visione della biodiversità in quanto “strategia per la gestione integrata della terra, dell’acqua e delle risorse viventi e che promuove la conservazione e l’uso sostenibile in modo giusto e equo” e in base al quale l’uomo è considerato parte integrante degli ecosistemi; cfr. Decisione adottata dalla Conferenza delle Parti nell’ambito della Convenzione sulla
biodiversità biologica al V° meeting, Nairobi, 2000, UNEP/Cbd/Cop/5/23, 103-109.
8 Cfr. P. BUONINCONTRI-G. CANEVA-C. MAURANO-M.I. SIMEON, Il patrimonio
culturale materiale e immateriale, in F. FERRIGNI-M.C. SORRENTINO (a cura di), Il futuro dei territori antichi. Problemi, prospettive e questioni di governance dei paesaggi culturali evolutivi viventi, Bari, 2013, 35-40.
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per il bene delle generazioni presenti e future”.
La Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale (Parigi, 17 ottobre 2003) riconosce come “gli accordi, le raccomandazioni e le risoluzioni esistenti relative ai beni culturali e naturali necessitano di essere effettivamente arricchiti e completati per mezzo di nuove disposizioni relative al patrimonio culturale immateriale”. La Convenzione dà seguito al crescente interesse verso gli aspetti immateriali della cultura quali elementi principali della diversità culturale e mostra la profonda interdipendenza tra patrimonio culturale immateriale, patrimonio culturale materiale e beni naturali.
Il patrimonio culturale, nel suo insieme, comprende congiuntamente il patrimonio materiale e il patrimonio immateriale quale espressione delle comunità che risiedono su un determinato territorio: si pensi alle tradizioni, che continuano a scandire la vita delle popolazioni che risiedono su un territorio, in quanto rappresentano le loro origini e sono l’espressione dell’adattamento e dell’utilizzo dell’ambiente in cui hanno vissuto e continuano a vivere; o alle arti dello spettacolo, o ancora alle feste tradizionali popolari che nascono dalla capacità e dalla volontà dell’uomo di socializzare con ritualità particolari e in determinati periodi dell’anno e che spesso sono collegate all’alternanza delle stagioni e alla raccolta dei prodotti della terra. Gran parte delle tradizioni di un popolo, inoltre, trae origine da leggende mitologiche, popolari o religiose che, insieme ai detti popolari, sono espressione, spesso orale, della lingua e dei dialetti dell’area, e che rafforzano e ravvivano il legame tra le abitudini e le attività dell’essere umano con gli elementi naturali. Così anche l’artigianato tradizionale appare fortemente collegato al territorio, oltre che alla storia delle comunità, poiché ciascun popolo tende a valorizzare e a rendere distintive le risorse di cui dispone e che si trasformano in elemento caratterizzante proprio quella data comunità che vive su quel determinato territorio.
Deve precisarsi che la scelta dell’UNESCO se da un lato distingue quanto ad oggetto e a modalità di tutela i beni culturali immateriali da quelli materiali, dall’altro dimostra, proprio attraverso le disposizioni della Convenzione del 2003, una loro unità ontologica9, poiché entrambe le tipologie possono
essere ricomprese nel più ampio concetto di bene culturale, richiamato nel primo “Riconoscendo” della Convenzione, che qualifica esplicitamente i beni immateriali quali beni culturali e affermando dunque la necessità di una non contrapposizione tra le due categorie, materiale ed immateriale, quanto piuttosto una loro integrazione, poiché, si legge nella Convenzione, “gli accordi, le raccomandazioni e le risoluzioni esistenti relative ai beni culturali e naturali
9 Cfr. A.L. TARASCO, Diversità e immaterialità del patrimonio culturale nel diritto
internazionale e comparato: analisi di una lacuna (sempre più solo) italiana, in Foro amm.– Consiglio di Stato, 2008, 7-8, 2261 ss.
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necessitano di essere effettivamente arricchiti e completati per mezzo di nuove disposizioni relative al patrimonio culturale immateriale”.
E se i beni culturali, materiali ed immateriali concorrono a formare il patrimonio dell’umanità, la tutela e la valorizzazione dei beni culturali tende ad una conservazione che non muti nel tempo dei beni materiali (per quanto ciò sia possibile), mentre invece mira a “garantirne la vitalità”, “il ravvivamento” dei “vari aspetti”, la “trasmissione” e dunque la circolazione e il suo vivere e il suo continuo ricrearsi, per quel che riguarda i beni culturali immateriali (art. 2, 3° comma, Convenzione UNESCO 2003) con la conseguenza della necessità di una diversificazione degli strumenti di tutela per l’uno e l’altro tipo.
L’intuizione che scaturisce dalle novità introdotte dalla Convenzione del 2003 è che la questione della tutela e della salvaguardia del patrimonio culturale immateriale è strettamente connessa al tema della diversità culturale, poiché il primo appare costituito anche dalle diverse espressioni artistiche, letterarie, musicali, teatrali, dialetti e lingue di comunità delle minoranze, da riti e saperi tradizionali e locali (c.d. traditional knowledge), con la conseguenza che non si potrà prescindere da una corrispondente tutela e valorizzazione di tutte quelle comunità sociali che danno forma a quei beni (materiali, ma pure immateriali) in quanto propria manifestazione culturale, risultando di facile lettura il primo “Riconoscendo” della Convenzione nel suo riferimento alla “distruzione del patrimonio culturale immateriale qualora si manifesti intolleranza verso le diversità” (culturali).
La Convenzione sulla protezione e la promozione delle diversità delle espressioni culturali (Parigi, 20 ottobre 2005) trae origine dalla Dichiarazione universale sulla diversità culturale e dal suo Piano d’azione, adottati dall’UNESCO all’unanimità nel novembre 2001. Ritenendo di importanza fondamentale “integrare la cultura, in quanto elemento strategico, nelle politiche nazionali ed internazionali di sviluppo”, la Convenzione risponde all’obiettivo di proteggere e promuovere l’“interculturalità”, ossia l’interazione tra le diverse culture attraverso il dialogo ed il rispetto reciproco per “costruire ponti tra i popoli” (art. 1, lett. d). La diversità culturale viene considerata all’art. 2, 6° comma “una grande ricchezza per gli individui e le società”, “una condizione essenziale per uno sviluppo sostenibile a beneficio delle generazioni presenti e future”10.
Merita particolare attenzione la scelta della Convenzione del 2005 di considerare il legame concettuale e giuridico tra tutela della diversità ed immaterialità culturale, poiché in base all’art. 2, 3° comma la promozione della
10 Per un primo commento al documento v. G. POGGESCHI, La “Convenzione sulla
protezione e la promozione della diversità e delle espressioni culturali” dell’Unesco entra a far parte del corpus legislativo italiano. Una novità nel panorama degli strumenti giuridici internazionali?, in Aedon, 2007, 2.
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diversità culturale tutela anche “le persone appartenenti alle minoranze e alle popolazioni indigene”, che pure erano presenti nella Convenzione del 2003, poiché “svolgono un ruolo importante per la salvaguardia, la manutenzione e il ripristino del patrimonio culturale immateriale contribuendo in tal modo ad arricchire la diversità culturale e la creatività umana”; nella Convenzione del 2005 il “sapere tradizionale”, prodotto e tramandato dalle popolazioni autoctone è considerato “fonte di ricchezza immateriale e materiale”, dunque protetto e promosso, con la conseguenza che la cultura delle minoranze e delle popolazioni indigene rappresenta una ricchezza fonte di sviluppo culturale ed economico (art. 2, commi 5 e 6), secondo gli obiettivi della valorizzazione della diversità culturale e della comprensione reciproca tra i popoli (art. 2, 7° comma).
È dunque all’interno della Convenzione del 2005 che appare il nuovo ed ampio concetto di global cultural heritage, comprendente pure beni la cui conservazione esula dalla preservazione degli oggetti tangibili, con la conseguenza che la creazione della Representative List of the Intangible Cultural
Heritage of Humanity ha permesso a ciascun Paese aderente alla Convenzione
di chiedere (e spesso ottenere) l’inserimento di beni culturali materiali ed immateriali al suo interno; al riguardo non può che essere citato il caso della Dieta Mediterranea, che vi ha trovato riconoscimento in quanto bene culturale immateriale nel 2013.
Il caso della Dieta Mediterranea appare quanto mai interessante poiché se si riconosce al termine Dieta il suo significato più autentico, secondo l’originaria etimologia greca, quale “insieme delle pratiche, delle rappresentazioni, delle espressioni, delle conoscenze, delle abilità, dei saperi e degli spazi culturali con i quali le popolazioni del Mediterraneo hanno creato e ricreato nel corso dei secoli una sintesi tra l’ambiente culturale, l’organizzazione sociale, l’universo mitico e religioso intorno al mangiare”, allora la Dieta Mediterranea appare quale esempio di perfetta ed armoniosa interazione tra natura, cultura ed attività umana11, poiché essa “si fonda nel rispetto per il territorio e la biodiversità, e
garantisce la conservazione e lo sviluppo delle attività tradizionali e dei mestieri collegati alla pesca e all’agricoltura nelle comunità del Mediterraneo”12.