Camera dei Deputati, Palazzo Montecitorio, Aula della Commissione VI (Finanze)
LA TUTELA GIURIDICA DELLA BIODIVERSITÀ IN QUANTO BENE CULTURALE
3. La tutela giuridica della diversità bioculturale
Le Convenzioni UNESCO del 2003 e del 2005 hanno aperto la strada ad una nuova concezione della biodiversità, in quanto “diversità della vita in tutte le
11 Cfr. http://www.unesco.it/cni/index.php/archivio-news/174-la-dieta-mediterranea-e-
patrimonio-immateriale-dellumanita.
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sue manifestazioni”13, secondo cui l’essere umano non può essere considerato se
non in quanto parte integrante ed interdipendente dell’ambiente naturale in cui vive14; del resto, non è difficile affermare che esso ha sempre avuto un forte
legame con la natura perché questa potesse soddisfare tutti i suoi bisogni. E se nelle società indigene appare chiaramente come il legame tra lingue, tradizioni, territorio ed ecosistema sia ancora molto forte, al contrario, nelle società industrializzate l’uomo sembra aver perso la percezione del legame con l’ambiente (naturale) che lo circonda15, ovvero con quell’ambiente che lo accoglie
sin dalla sua nascita e per tutta la durata della sua esistenza.
Tra i diversi indicatori elaborati dalla Convenzione sulla Diversità Biologica del 1992 al fine di misurare la (bio)diversità occorre menzionare quello riguardante lo stato delle conoscenze, delle innovazioni e delle pratiche tradizionali, che ricomprende l’indice sulla diversità linguistica e l’indice sullo stato delle conoscenze tradizionali, la cui analisi ha finora dimostrato che se le lingue (in particolare il riferimento è a tutte quelle lingue espressioni di comunità locali ed indigene) si estingueranno anche moltissime conoscenze culturali, storiche ed ecologiche moriranno, poiché se le comunità locali ed indigene sono portatrici di sistemi di classificazione complessa di tutto il mondo naturale, della flora, della fauna, delle relazioni ecologiche e delle dinamiche degli ecosistemi e il maggior numero di comunità è presente nelle aree in cui è più forte la concentrazione delle risorse genetiche del mondo, allora scomparendo le lingue (indigene) anche le conoscenze, che vanno oltre la semplice gestione delle risorse naturali, ma che invece molto spesso forniscono preziosissime informazioni ai fini della costituzione di un modello utile per le politiche della biodiversità, andranno perdute, in quanto trasmesse proprio attraverso le lingue16.
Tra i tanti aspetti della tutela della diversità bioculturale, che richiama in
13 Cfr. L. MAFFI-E. WOODLEY, Biocultural diversity conservation: a global source book,
Londra, 2010, 298; gli Autori notano che “la diversità della vita non è costituita solo dalla diversità di specie animali e di vegetali, di habitat ed ecosistemi presenti sul pianeta, ma anche dalla diversità di culture e lingue umane; queste diversità non si sviluppano in mondi distinti e paralleli, ma sono invece manifestazioni differenti di un tutto unico e complesso; i rapporti tra le diversità si sono sviluppati nel tempo attraverso gli effetti globali cumulativi di adattamenti reciproci – probabilmente di natura coevolutiva – tra gli esseri umani e l’ambiente locale”.
14 Cfr. P.P. PETRILLO, Sostenibilità ambientale e patrimonio agro-alimentare, in www.
minambiente.it/sites/.../seminario_torino_24102014_petrillo.pdf.
15 Cfr. J. BLYTHE-R. MCKENNA BROWN, Making the Links: Language, Identity and
the Land. Papers from the 7th Foundation for Endangered Languages conference, Bath: Foundation for Endangered Languages, Broome, Western Australia, 2003, 78.
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sé il legame tra l’uomo e l’ambiente che lo ospita e che possono essere oggetto di riflessione, appare interessante soffermarsi sull’idea di partecipazione, in considerazione del valore che essa riveste nel legame tra comunità e beni, a prescindere della loro natura, materiale o immateriale.
Da questo punto di vista, pare opportuno richiamare le esperienze del Brasile, della Svizzera e del Venezuela.
3.1. Brasile
La Costituzione brasiliana del 198817, già prima dell’adozione della
Convenzione UNESCO del 2003, afferma la volontà di tutelare consuetudini culturali, di vita, tradizioni e riti quali beni culturali della Repubblica.
Si legge infatti all’art. 215 Cost. che “lo Stato garantirà a tutti il completo esercizio dei diritti culturali e l’accesso alle fonti della cultura nazionale, appoggiando e incoraggiando la valorizzazione e la diffusione delle manifestazioni culturali; lo Stato proteggerà le manifestazioni delle culture popolari, indigene e afro-brasiliane, e quelle di altri gruppi che fanno parte del retroterra culturale nazionale” (art. 215, 1° comma).
L’art. 216 Cost. invece afferma che “costituiscono patrimonio culturale brasiliano i beni di natura materiale e non-materiale, presi individualmente o insieme, che contengano riferimenti all’identità, all’azione, alla memoria dei diversi gruppi che costituiscono la società brasiliana, tra i quali sono compresi: le forme di espressione; i modi di creare, fare e vivere; le creazioni scientifiche, artistiche e tecnologiche; le opere, oggetti, documenti, edifici e altri spazi destinati alle manifestazioni artistico-culturali; gli agglomerati urbani e i luoghi di valore storico, paesaggistico, artistico, archeologico, paleontologico, ecologico e scientifico” e che “il Governo, con la collaborazione della comunità, promuoverà e proteggerà il patrimonio culturale brasiliano, per mezzo di inventari, registri, sorveglianza, vincoli ed espropri, e altre forme di prevenzione e preservazione” (art. 216, 1° comma).
Le politiche internazionali adottate dall’UNESCO non introducono quindi sostanziali novità nel panorama giuridico di protezione del patrimonio culturale brasiliano: la terminologia della Costituzione federale del 1988 fa già esplicitamente riferimento ai beni immateriali (bens de natureza material
e imaterial).
Sin dagli anni ’30 in Brasile numerosi intellettuali hanno formulato proposte per la protezione del patrimonio materiale e immateriale che sono successivamente scaturite in una autentica politica di protezione del patrimonio
17 Cfr. L. PEGORARO, La Costituzione brasiliana del 1988 nella chiave di lettura dell’articolo
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immateriale.
Nel 1979 il designer Magalhães, Direttore dell’Instituto do Patrimônio
Histórico e Artístico Nacional (IPHAN), ideò un modello di inventario del
patrimonio culturale (brasiliano) comprensivo dei beni materiali e immateriali. Sulla scia del dibattito aperto cinquant’anni prima, Magalhães, convinto che la tutela del patrimonio culturale dovesse essere condivisa con le comunità che rivendicavano un legame con esso18, rivoluzionò l’approccio dell’IPHAN, in
cui, dal 2004, opera il Departamento do Patrimônio Imaterial (DPI), principale organismo governativo brasiliano volto alla salvaguardia del patrimonio culturale immateriale che si compone di tre sezioni: inventario, registro e appoggio (responsabile della divulgazione).
L’interesse per l’esperienza brasiliana sta nel suo destabilizzare la prospettiva basata su saperi oggettivi, legittimati dal sapere specialistico tecnico-scientifico, e classicamente alla base dell’attuazione delle politiche culturali, poiché le c.d. referências culturais, in linea con i fondamenti del paradigma proposto dall’UNESCO, non si identificano con elementi dotati di un valore intrinseco, ma sono il prodotto di una risemantizzazione operata dai gruppi che li riconoscono come significativi e che sono in relazione con una loro rappresentazione collettiva e nella quale i membri del gruppo si identificano. Prendere in considerazione queste referências culturais implica non solo cogliere le rappresentazioni simboliche che esse incarnano, ma anche le relazioni instaurate tra tali referências e la costruzione di sistemi che consentono a determinati gruppi di assumere il ruolo di interpreti consapevoli del proprio patrimonio culturale.
3.2. Svizzera
Il federalismo elvetico costituisce un esempio perfetto di applicazione delle Convenzioni del 2003 e del 2005, per la volontà di integrare nella promozione e nella tutela delle diversità (bio)culturali tutti i livelli amministrativi e politici e l’insieme dei “detentori” delle “tradizioni vive” realmente coinvolti19.
18 Cfr. C. BORTOLOTTO, Inventari del patrimonio immateriale in Brasile, in Identificazione
partecipativa del patrimonio immateriale, dossier (a cura di) ASPACI ASSOCIAZIONE PER
LA SALVAGUARDIA DEL PATRIMONIO CULTURALE IMMATERIALE, in http://www.
echi-interreg.eu/activity/view/identificazione-partecipativa-del-patrimonio-culturale- immateriale, 162 ss.
19 Cfr. F.R. BIDEAU, La Svizzera: una buona allieva nel processo di inventario del PCI,
in Identificazione partecipativa del patrimonio immateriale, dossier (a cura di) ASPACI
ASSOCIAZIONE PER LA SALVAGUARDIA DEL PATRIMONIO CULTURALE IMMATERIALE, in http://www.echi-interreg.eu/activity/view/identificazione-
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L’art. 69 della Costituzione federale, il c.d. “articolo culturale”, afferma che “il settore culturale compete ai Cantoni. La Confederazione può sostenere attività culturali d’interesse nazionale e promuovere l’espressione artistica e musicale, in particolare tramite la formazione. Nell’adempimento dei suoi compiti, tiene conto della pluralità culturale e linguistica del Paese”.
Di fatto, la promozione culturale è uno dei compiti della Confederazione, che deve assicurare che tutti gli enti pubblici e tutte le organizzazioni e istituzioni private responsabili, apportino il loro contributo. Dal punto di vista giuridico, la legge attuale sul sostegno alla cultura costituisce lo strumento principale in mano all’Office fédéral pour la Culture (OFC), organo del Département de
l’Interieur (DFI), per la definizione della politica culturale della Confederazione.
I cantoni, in conformità al principio di sussidiarietà, hanno la responsabilità di sostenere la cultura distribuendo le loro competenze a livello cantonale, comunale e locale.
Pare di un certo interesse che l’OFC abbia deciso di sostituire il termine di patrimonio culturale immateriale con quello di “tradizioni vive” per ragioni di comunicazione e sociali, al fine di una maggiore sensibilizzazione nei confronti dei politici e delle popolazioni, malgrado le resistenze di molti rappresentanti culturali e attori della società civile che consideravano questo cambiamento un modo di circoscrivere gli elementi delle cultura immateriale.
3.3. Venezuela
La Costituzione del Venezuela del 1999 fa della democrazia partecipativa uno dei principi ispiratori dell’organizzazione politica dello Stato venezuelano, il cui fine, si legge nel Preambolo, è “rifondare la Repubblica per stabilire una società democratica, partecipativa e attrice multietnica e pluriculturale protagonista, in uno Stato di giustizia, federale e decentralizzato che consolida i valori della libertà, dell’indipendenza, della pace, della solidarietà, del bene comune, dell’integrità territoriale, della convivialità e dell’autorità della legge per questa generazione e per quelle future; garantire il diritto alla vita, al lavoro, alla cultura, all’educazione, alla giustizia sociale e all’uguaglianza senza discriminazioni, né alcuna forma di subordinazione”.
Già nel 1993 il Venezuela ha emanato una Ley de Protección y Defensa del
Patrimonio Cultural, che prevede la creazione di un Instituto del Patrimonio Cultural, “con l’obiettivo di democratizzare, diffondere massivamente e
deconcentrare la cultura, [al fine di] soddisfare il diritto di ogni cittadino ad accedere e utilizzare i beni culturali che formano il nostro patrimonio, senza dimenticare che la legge stabilisce la responsabilità dei cittadini come dello Stato nella conservazione e nella diffusione di tali beni”.
Le sue finalità sono l’inventariazione, la protezione e la “puesta en uso social” di opere, tradizioni e siti creati dall’uomo o naturali che per il loro
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contenuto culturale costituiscono elementi fondamentali dell’identità culturale venezuelana20. L’Instituto stabilisce e implementa le politiche e le linee guida per
l’inventariazione e la protezione del patrimonio “garantendo la sua trasmissione attraverso l’uso e il beneficio delle generazioni presenti e future mediante la partecipazione, coordinazione e concertazione sociale e istituzionale”. Il sistema di inventario del Venezuela è a più riprese citato dall’UNESCO come progetto che riflette lo “spirito della Convenzione” poiché affida direttamente alle “comunità” il riconoscimento del valore patrimoniale delle loro espressioni culturali ed è realizzato attraverso un approccio partecipativo che pure la Costituzione prevede.
Oltre alle forme più classiche di patrimonio (beni mobili e immobili architettonici, artistici, storici, documentari, paesaggistici e naturali), la legge include anche “il patrimonio vivente del Paese, i suoi costumi, le sue tradizioni culturali, i suoi modi di vivere, le sue manifestazioni musicali, il suo folklore, la sua lingua, i suoi riti, le sue credenze e il suo carattere nazionale” (art. 6.7).
L’Instituto è responsabile del Catálogo del Patrimonio Cultural Venezolano il cui compito fondamentale è quello di identificare i beni in base al valore che essi hanno per le comunità, indipendentemente dalla loro natura, materiale o immateriale.
Il ruolo delle istituzioni è volto qui ad assistere e facilitare la valorizzazione del patrimonio da parte delle comunità stesse, al fine di non separare i beni dalle comunità.
4. In conclusione
Il richiamo alle esperienze del Brasile, della Svizzera e del Venezuela, ciascuna con le sue peculiarità, appare interessante per l’alta considerazione che questi Paesi riservano al ruolo delle comunità nel processo di riconoscimento e tutela del patrimonio della diversità (bio)culturale, cominciato già prima dell’adozione delle due Convenzioni UNESCO del 2003 e del 2005.
Quali sono dunque le sfide che si presentano agli studiosi per la tutela della diversità bioculturale, in un mondo sempre più civilizzato e in cui l’uomo si sente sempre più autolegittimato a sfruttare le risorse dell’ambiente naturale in cui vive?
Al riguardo, sembra utile un breve cenno al costituzionalismo andino,
20 Cfr. C. BORTOLOTTO-M. SEVERO, Inventario del patrimonio culturale venezuelano,
in Identificazione partecipativa del patrimonio immateriale, dossier (a cura di) ASPACI
ASSOCIAZIONE PER LA SALVAGUARDIA DEL PATRIMONIO CULTURALE IMMATERIALE, in http://www.echi-interreg.eu/activity/view/identificazione-
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considerato nelle sue peculiarità e certamente di difficile esportazione, che permette però di leggere le carte costituzionali come espressioni delle identità autoctone e dei popoli indigeni e come un patto tra le persone, in quanto individui e in quanto appartenenti alle comunità, locali o nazionali, e la natura, attraverso un evidente affrancamento dalla visione di superiorità dello Stato tipica della civiltà europea; rivendicando invece un modello sociale che si pone in armonia con l’ambiente, esso valorizza la persona, la sua dignità e la sua identità proprio in relazione alla natura, offrendo una diversa possibile interpretazione della crescita economica nel rispetto dell’armonia tra elementi spirituali e materiali, vale a dire della diversità bioculturale.
Qui il rapporto dell’uomo con la natura non si fonda su una separazione tra i due, ma l’avvicinamento alla natura permette di “raggiungere alti livelli di civiltà, poiché società e natura erano e sono una totalità; concepirsi ‘parte di’ non era sinonimo di barbarie... la natura non era una risorsa, ma rappresentava la ‘Pachamama’, ossia la ‘madre’ di tutto l’esistente”21.
Si tratta del c.d. buen vivir, un concetto ancora in costruzione e che riconosce alla Terra il ruolo di Madre, da cui emergono tutte le forme di vita, compresa quella umana, che sono parte integrante di essa ed al suo interno si completano in una esistenza armoniosa, frutto di un equilibrio tra comunità e natura.
Il buen vivir recupera saperi e sensibilità proprie di alcuni popoli indigeni e, da questo punto di vista, pare offrire un contributo importante per le riflessioni attorno ai temi dello sviluppo sostenibile e della tutela e della promozione delle diversità culturali22, poiché esprime la necessità di una rielaborazione e di una
ridefinizione del rapporto dell’uomo con la natura che contempli un modello economico di sviluppo che non potrà prescindere dalla Madre Terra (art. 14 Cost. Ecuador).
21 Cfr. P. BENALCÁZAR ALARCÓN, Il Buen Viver-Sumak Kawsay. La costruzione di un
paradigma per una diversa umanità (Ecuador), in R. MARTUFI-L. VASAPOLLO (a cura
di), Futuro indigeno, la sfida delle Americhe, Foligno, 2009, 327.
22 Cfr. M. CARDUCCI, La Costituzione come “ecosistema” nel nuevo constitucionalismo delle
Ande, in S. BALDIN-M. ZAGO, Le sfide della sostenibilità. Il “buen vivir” andino dalla prospettiva europea, Bologna, 2014, 11 ss.
LE TRADIZIONI ENOGASTRONOMICHE: UN PATRIMONIO DA