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Camera dei Deputati, Palazzo Montecitorio, Aula della Commissione VI (Finanze)

LA TUTELA GIURIDICA DELLA DIVERSITÀ BIOCULTURALE, DIETA MEDITERRANEA, UNESCO

1. La diversità bioculturale e la necessità dell’approccio interdisciplinare

bioculturale. - 3. Conclusioni.

Abstract

Compito non facile per un giurista è cercare di dare una veste giuridica alla diversità bioculturale. Le categorie giuridiche tradizionali si rilevano infatti spesso inadeguate a contenere un bene giuridico così mutevole e complesso, e il ricorso ad altre scienze diventa un passaggio obbligato. Chiunque voglia sviluppare un discorso giuridico sul tema della diversità bioculturale ha l’obbligo di pensare in termini interdisciplinari. L’impossibilità di separare l’essere umano, con le sue conoscenze e le sue tradizioni dall’ecosistema in cui vive, diviene il nuovo impegno degli Stati. Vari sono gli attori coinvolti in questo processo di valorizzazione e tutela a livello internazionale, regionale europeo e nazionale. Una moltitudine di soggetti quindi, che agisce per compartimenti stagni e molto spesso senza una visione organica e coordinata. In un mondo globalizzato e in rapido cambiamento, la prima grande sfida per contrastare la perdita di diversità bioculturale è quindi quella di cercare di superare questa frammentarietà della tutela, nella consapevolezza che gli interventi, per essere efficaci, debbono essere animati anche dal coinvolgimento di quanti ne sono direttamente toccati. Si ritiene che un approccio pienamente partecipativo da parte della comunità sia un fattore chiave per ottenere risultati di lungo periodo e per garantire la sostenibilità degli interventi di conservazione bioculturale, di valorizzazione, di promozione e di incentivazione.

1. La diversità bioculturale e la necessità dell’approccio interdisciplinare

Compito non facile per un giurista è cercare di dare una veste giuridica alla diversità bioculturale. Le categorie giuridiche tradizionali si rilevano infatti “spesso inadeguate a contenere un bene giuridico così mutevole e complesso,

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insuscettibile di una definizione aprioristica”1 e il ricorso ad altre scienze come

l’antropologia, la linguistica, l’etnobiologia, la biologia, l’ecologia, l’agraria, diventa un passaggio obbligato e doveroso.

Chiunque voglia sviluppare un discorso giuridico sul tema della diversità bioculturale al fine di introdurre norme di salvaguardia o valorizzazione ha l’obbligo di pensare in termini interdisciplinari2.

Il dato di partenza è che gli esseri umani sono parte integrante e interdipendente dell’ambiente naturale che li circonda, e non un’entità separata che lo domina3.

E difatti la diversità bioculturale riguarda una dimensione dell’essere umano “contestualizzata”, ovvero considerata alla luce delle peculiarità derivanti dalla specificità della realtà culturale e dalle caratteristiche fisiche e naturali che contraddistinguono l’ambiente in cui si nasce e si vive4.

Le diversità della vita (da intendersi come diversità di specie animali e vegetali, di habitat e di ecosistemi e come diversità di culture e di lingue umane) non si sviluppano in modi distinti e paralleli ma sono manifestazioni differenti di un tutto unico e complesso5.

L’impossibilità di separare l’essere umano con le sue conoscenze e le sue tradizioni dall’ecosistema in cui vive, e dunque la necessità di salvaguardare questo rapporto di interdipendenza tra diversità biologica e diversità culturale diviene il nuovo impegno degli Stati.

Vari sono gli attori coinvolti6.

A livello internazionale sono preposti a tali scopi diverse agenzie, organismi, programmi delle Nazioni Unite: l’UNESCO che ha il compito, tra l’altro, di promuovere e salvaguardare la diversità culturale e la diversità biologica;

1 A. ANDRONIO, Le regole tecniche a tutela dell’ambiente nell’ordinamento italiano tra

sistema delle fonti e giurisdizione civile, in Diritto e gestione dell’ambiente, 2002, 2, 559 ss.

2 P.L. PETRILLO, Per la tutela giuridica della diversità bioculturale, in P.L. PETRILLO

(a cura di), La tutela giuridica della diversità bioculturale nel Mediterraneo, Milano, 2012, 6, il quale sottolinea la necessità per il giurista di superare il proprio egocentrismo per confrontarsi con scienze diverse, cercando di individuare un linguaggio comune; B. CARAVITA, Diritto dell’Ambiente, Bologna, 2005, spec. 22 ss.

3 L. MAFFI, La perdita della diversità bioculturale, in N. ELDREDGE-G. PIEVANI (a cura

di), Il futuro della Terra, Torino, 2010.

4 C. BASSU, La tutela della diversità bioculturale: Unione europea, Stato e Regioni in

Italia, in P.L. PETRILLO (a cura di), La tutela giuridica della diversità bioculturale nel

Mediterraneo, cit., 13.

5 L. MAFFI-E. WOODLEY, Biocultural diversity conservation: a global sourcebook, London,

2010.

6 Per una analitica e puntuale descrizione dei contesti normativi e organizzativi si rinvia a

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la FAO nata per combattere la fame nel mondo; l’UNEP, il programma delle Nazioni Unite per la difesa ambientale. Tali organismi hanno adottato nel corso degli anni norme internazionali con lo scopo di preservare le risorse genetiche, le riserve di biosfera, i patrimoni culturali immateriali. A queste norme se ne sono aggiunte altre, come la Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD), o la Convenzione contro i cambiamenti climatici (UNFCC), o quella per la lotta alla desertificazione (UNCDD).

A livello regionale europeo, altre agenzie hanno assunto il compito di salvaguardare i pilastri della biodiversità, come ad esempio l’Agenzia per l’Ambiente e l’Autorità per la sicurezza alimentare. Il contesto appare alquanto articolato perché, ad esempio, l’Unione europea ha ratificato diversi trattati e convenzioni internazionali tra quelli prima indicati (così la CBD, il Trattato FAO sulle risorse genetiche, la UNFCC), imponendo così un coordinamento comunitario prima di ciascun negoziato internazionale: un ulteriore tassello nel già difficile percorso ad ostacoli per la definizione di una posizione nazionale in materia di diversità biologica e culturale.

A livello nazionale, limitandoci al quadro italiano, sia sufficiente richiamare il ruolo svolto dal Ministero degli Affari esteri che coordina tutti i programmi internazionali e, poi, nello specifico, dal Ministero dei Beni culturali, dal Ministero dell’Ambiente, dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, dal Ministero dell’Università, dall’Ispra, dall’Inran, dai numerosi enti di ricerca nazionali vigilati dai ministeri, dalle Regioni, dalle Arpa regionali.

Ci troviamo quindi di fronte ad una moltitudine di soggetti che agisce per compartimenti stagni molto spesso senza una visione organica e coordinata7.

In questo processo di riconoscimento istituzionale, in un mondo globalizzato e in rapido cambiamento, la prima grande sfida per contrastare la perdita di diversità bioculturale e per sostenere la diversità della vita tanto nella natura quanto nella cultura sarebbe quella di individuare un linguaggio comune, superare questa frammentarietà della tutela nella consapevolezza che gli interventi per la conservazione della diversità bioculturale per essere efficaci, debbono essere animati dal coinvolgimento di quanti ne sono direttamente toccati8. A prescindere dal fatto che le comunità locali operino autonomamente

con iniziative proprie di conservazione bioculturale o che lavorino in collaborazione con altri, si ritiene che un approccio pienamente partecipativo – in cui le comunità locali esercitino il proprio diritto a decidere liberamente sugli interventi che le riguardino – sia un fattore chiave per ottenere risultati di lungo periodo e per garantire la sostenibilità degli interventi di conservazione

7 Ibidem.

8 L. MAFFI, La perdita della diversità bioculturale, in N. ELDREDGE-G. PIEVANI (a cura

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bioculturale, di valorizzazione, di promozione e di incentivazione.

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