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Information Revelations Theories

Teorie esplicative l’IPO Underpricing

3.2. IL FILONE DELLE ASIMMETRIE INFORMATIVE

3.2.2. Information Revelations Theories

All’interno di questa teoria, parimenti con quanto visto in Rock (1986), permane la predominanza informativa del gruppo di investitori: tuttavia la stessa, contrariamente a quanto sostenuto nella “Winner’s Curse”, oltre a presentarsi in minima parte internamente alla compagine, si palesa soprattutto nei confronti dell’underwriter. Si parte infatti dal presupposto che quest’ultimo, pur avendo l’importante compito di condurre un’IPO di successo, si ritrovi in una situazione di disparità, poiché conosce relativamente poco circa l’opinione, ovviamente in termini valutativi, che gli investitori hanno dell’impresa quotanda: questa informazione, come risaputo, è la chiave di volta in fase di price setting, poiché permetterebbe, se conosciuta, di formulare un prezzo di collocamento il più possibile vicino al fair value, consentendo al contempo di perderci il minor importo di capitale possibile.

Tale teoria si basa su un importante assunto: se infatti la “Maledizione del Vincitore” di Rock (1986) partiva dal presupposto che il prezzo venisse individuato tramite il

283 Habib&Ljungqvist (2001), riprendendo il testé citato modello di Rock (1986), studiarono il perché

alcune IPO fossero maggiormente sottovalutate rispetto ad altre. Secondo quanto emerse dai loro studi alcuni proprietari avevano meno ragioni di preoccuparsi del livello di Underpricing sopportato, e conseguentemente, impiegavano un minor ammontare di risorse per minimizzarlo. Le motivazioni sottostanti tale constatazioni erano sostanzialmente di due tipi: da un lato era ovvio che i proprietari si sarebbero mobilitati per bloccare questo fenomeno solo qualora le perdite sarebbero state ingenti, e questo ovviamente dipendeva anche dall’ammontare di equity coinvolto nell’IPO, come accennato nel I capitolo. In secondo luogo gli stessi erano in grado di influenzare il livello di Underpricing attraverso i costi sostenuti per promuovere l’emissione azionaria. Per approfondimenti si rimanda al relativo paper.

284 Anche in questo caso di propone una lettura approfondita dei seguenti papers: Benveniste, L.M.,

Spindt, P.A., 1989. How investment bankers determine the offer price and allocation of new issues. Journal of Financial Economics, 24, 343–361. Benveniste, L.M., Wilhelm, W.J. Jr, 1990. A comparative Analysis of IPO Proceeds under Alternative Regulatory Environments. Journal of Financial Economics, 28, 173-207. Spatt, C., Srivastava, S., 1991. Preplay communication, participation restrictions and efficiency in initial public offerings. Review of Financial Studies, 4, 709-726.

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processo di fixed price e le azioni fossero collocate tra il pubblico di investitori con un sistema proporzionale, in questo contesto - contrariamente - assume rilevanza il sistema del bookbuilding285 che, nel corso degli anni, come si ha avuto modo di sottolineare precedentemente, ha acquisito una sempre maggiore popolarità: proprio per questo motivo si palesava pertanto necessario proporre studi teorici che ne tenessero debitamente considerazione.

Ricordando brevemente i meccanismi di funzionamento dello stesso, questo si basa su una prima rivelazione da parte degli investitori circa l’ammontare che sarebbero disposti ad acquistare sia in termini di quantità che di prezzo; una volta espresso il loro interesse verso l’offerta questo permette in primis all’underwriter, ma anche all’emittente, di tracciare una curva ipotetica di domanda per lo strumento oggetto di IPO, ed in secondo luogo di arrivare, attraverso ulteriori passaggi qui tralasciati ma approfonditi al I capitolo, alla determinazione dell’offering price definitivo.

Da quanto testé detto emerge pertanto che qualora tale divulgazione di informazioni non sia opportunamente incentivata con appropriati meccanismi, nessun investitore informato otterrebbe vantaggio dal rivelare le proprie valutazioni in maniera veritiera. Tutt’altro: questa mossa, se non adeguatamente ricompensata, sarebbe altamente controproducente per gli stessi poiché, se da un lato permetterebbe di fissare un prezzo di collocamento maggiormente vicino a quello equo, andando quindi a vantaggio dell’impresa emittente in termini di minor danno monetario in sede di IPO, dall’altro costringerebbe i futuri azionisti a pagare una cifra più alta di quella che avrebbero dovuto versare in caso di rilevazioni scorrette, e quindi gli stessi otterrebbero un minor profitto, oltre che nessuna ricompensa per il sostenimento della costosa attività informativa attraverso la quale erano stati in grado di formulare una propria opinione sul valore dell’impresa.

In questo specifico caso risulta pertanto che una comunicazione veritiera dei propri giudizi non viene assolutamente ripagata, al contrario. In quest’ottica verrebbe da pensare che sarebbe molto più vantaggioso rivelare scorrettamente le proprie

285 Per delucidazioni sul suo funzionamento si rimanda al I capitolo ed al II capitolo, per quest’ultimo

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informazioni, dando un’immagine dell’impresa ben al di sotto del suo effettivo valore, così da ottenere un prezzo di collocamento basso ed un successivo guadagno, una volta che le negoziazioni ufficiali hanno preso avvio, maggiore.

Sostanzialmente si palesa quindi una sfida per l’underwriter il quale deve implementare nella pratica un meccanismo che non solo induca gli investitori a rivelare correttamente le loro valutazioni, ma che - al contempo- si presenti quale vantaggioso per quest’ultimi. Diventa infatti fondamentale evitare i suddetti comportamenti scorretti: con lo scopo di ricompensare adeguatamente gli investitori informati che hanno rivelato correttamente le proprie preferenze si potrebbe agire sul versante allocativo, privilegiando questi a discapito della restante parte non informata o menzognera: è in questo senso che si inseriscono gli studi di Benveniste&Spindt (1989), Benveniste&Wilhelm (1990), Spatt&Srivastava (1991).

Essi infatti furono in grado di dimostrare, attraverso le loro analisi, che gli underwriter agivano al fine di sotto-prezzare volutamente l’IPO durante la fase di determinazione del price range preliminare (frutto del dialogo tra emittente ed underwriter), così da indurre gli investitori informati a rivelare le loro informazioni in maniera veritiera. Successivamente, considerando che in tal metodo - come risaputo - vige notevole discrezionalità in fase di allocazione delle azioni, l’underwriter avrebbe potuto far perno su questo aspetto per ricompensare adeguatamente gli investitori più “informativamente rilevanti”, andando ad allocare in via preferenziale larghi quantitativi di azioni a questi anziché ad altre schiere di soggetti286: in questa maniera sarebbero stati i più informati a

286 E’ proprio in quest’ottica di analisi che deve essere letta l’informazione presente nel I capitolo in base

alla quale veniva abitualmente rilevato per il contesto US un prezzo di offering price finale normalmente al di sopra del price range preliminare. Questo infatti avveniva poiché, mentre il price range veniva collocato volutamente a valori underpriced quale strumento per indurre gli investitori informati a rivelare correttamente le loro valutazioni sull’impresa, una volta che le stesse erano state rese pubbliche il prezzo finale si posizionava su valori superiori rispetto al tetto massimo precedentemente pensato. La ricompensa veniva infatti attuata adottando un meccanismo di allocazione preferenziale, come suddetto. Va comunque specificato che, nonostante a questa prima spiegazione delle “Information Revelation Theories” potrebbe sembrare che l’Underpricing non sia necessario poiché rivelazioni veritiere da parte degli investitori informati dovrebbero permettere di individuare un offering price finale estremamente in linea con il fair price (quindi registrare un Underpricing inferiore), rimane la necessità di “leave some money on the table”. Se infatti l’underwriter fosse talmente abile da riuscire ad azzerare l’Underpricing, si paleserebbe di nuovo la situazione per la quale il truth telling non sarebbe conveniente in termine di incentivi: tuttavia questa considerazione viene anticipata dagli investitori, obbligando quindi l’underwriter a sotto-prezzare le azioni, anche se in misura inferiore [Ljungqvist (2007)]. Inoltre è stato dimostrato che [Ljungqvist (2007)], anche se l’IPO deve necessariamente essere sottoprezzato per quanto finora detto, i benefici connessi con la procedura di bookbuilding, vale a dire la possibilità di avere una

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trarre maggior profitto, considerata la maggior quota azionaria a questi conferita in fase di allocazione quale reward.

Ovviamente, come si può facilmente comprendere, questo meccanismo si basa fortemente sulla notevole libertà concessa all’underwriter in sede di allocazione: tuttavia qualora lo stesso fosse vincolato - come è capitato in alcuni contesti europei ed asiatici - ad elargire una percentuale prefissata agli investitori retail, questo elemento rischia indubbiamente di vanificare tutto l’impianto su cui poggia la procedura precedentemente illustrata: potrebbe in tal caso diventare necessario, al fine di ricompensare comunque gli investitori che hanno onestamente rivelato le loro preferenze, giocare sul versante del prezzo più che dell’allocazione; arrecando tuttavia gravi danni all’azienda emittente287.

Va inoltre sottolineato che, dagli studi di Benveniste&Busaba (1997), e Spatt&Srivastava (1991) è emerso come, utilizzando la procedura di bookbuilding risultasse necessario sotto-prezzare le IPO Shares di un importo inferiore rispetto ad altri metodi impiegati: in molti casi vennero infatti registrati livelli di Underpricing inferiore qualora il metodo impiegato fosse il suddetto, proprio per questo concetto di rivelazione onesta delle informazioni.

Allo stesso tempo sempre Benveniste&Wilhelm (1990) si occuparono di indagare le possibili interazioni che questa teoria poteva aver avuto con il modello proposto alcuni anni prima da Rock (1986).

Ovviamente se, come constatato, il metodo del bookbuilding induceva gli investitori informati a rivelare le proprie valutazioni, questo andava complessivamente a beneficio anche della schiera dei meno informati riducendo di fatto l’asimmetria informativa: infatti le conoscenze di pochi, acquisite attraverso un costoso processo di information

gathering, divenivano purtroppo un bene a disposizione di tutti, anche di coloro che non

avevano assolutamente investito risorse nella dispendiosa attività informativa.

Tale eventualità, in un classico effetto a catena, consentiva parimenti di ammorbidire la magnitudine della “Maledizione del Vincitore” e conseguentemente anche il livello di chiara panoramica circa il valore dell’azienda a detta di alcuni investitori, supera di gran lunga la perdita di capitale in sede di prima quotazione.

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Underpricing necessario affinché partecipassero all’IPO market tutti gli investitori,

anche i meno informati.

Va da sé che anche quanto testé detto in relazione al legame tra questa teoria e quella di Rock (1986) persiste solo ammettendo che vi sia totale discrezione nelle scelte allocative, ossia che l’underwriter possa decidere in totale autonomia così da ricompensare il truth telling: qualora questa condizione non venga rispettata l’intero meccanismo di riduzione dell’asimmetria e – conseguentemente – di riduzione della “Winner’s Curse”, di fatto non avverrebbe. Emerge pertanto quanto l’elemento allocativo giochi un ruolo chiave in questo Going Public Process, soprattutto in termini di riduzione del tanto anomalo fenomeno di Underpricing.