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UN METODO ALTERNATIVO DI PRIVATIZZAZIONE: LE PIPO

Una delle motivazioni sottostanti al crescente interesse verso il fenomeno di prima quotazione è che sempre più spesso le IPO sono divenute strumento funzionale al processo di privatizzazione aziendale101: addirittura secondo alcuni si può parlare di un sottoinsieme nella grande famiglia delle IPO [Jenkinson&Ljungqvist (2001)].

101 Per ulteriori approfondimenti sul processo di privatizzazione, che qui viene trattato solo per sommi

capi, si rimanda a Biais&Perotti (2002), Jenkinson&Mayer (1988), Jenkinson&Ljungqvist (2001), Krusich&Lotti (1998), Megginson&Netter (2001), Megginson et al. (2000), Perotti (1995), Perotti&Guney (1993). In particolare Jenkinson&Ljungqvist (2001) al capitolo 7 forniscono una panoramica molto chiara del fenomeno attraverso il caso concreto del contesto anglosassone dove, dal 1980 in poi, si sono succeduti molti casi importanti di privatizzazione tramite quotazione. Lo stesso può dirsi per il panorama italiano che, storicamente ricchissimo di esempi di imprese pubbliche, avviò un ragguardevole processo di privatizzazione delle stesse che raggiunse ritmi intensi soprattutto negli anni ‘90. Per approfondimenti si veda Krusich&Lotti (1998): in particolare gli autori si soffermarono sul caso ENI che fece per la sua prima volta ingresso nella Borsa Valori di Milano e nella NYSE il 28 novembre 1995.

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Premesso che non si tratta dell’unica via percorribile, esistendo strade alternative quali la vendita dell’intera azienda ad un’altra impresa o l’alienazione diretta della totalità o di una porzione azionaria dell’impresa pubblica ad un singolo od ad un gruppo di privati, la privatizzazione attraverso IPO si presenta sempre di più quale strada prescelta nella prassi: in questo senso si può a ragione affermare che tale processo ha anche notevoli implicazioni politiche, che a volte sono in realtà le uniche esistenti.

Sostanzialmente gli stakeholder originari, nella veste del Governo o di un altro ente pubblico sua diretta emanazione, vendono le loro quote azionarie alla platea di investitori: in tal maniera non solo avviano il processo di privatizzazione, ma al contempo raccolgono capitale utile per l’impresa, ragione cardine per la quale si avvia un’IPO102 [Jenkinson&Ljungqvist (2001)].

Va precisato che storicamente la letteratura in materia di prima quotazione vedeva prevalentemente quali soggetti protagonisti del processo le società privately-owned. Ciò nonostante ci si è resi conto che queste non erano le uniche interessate dal fenomeno, essendovi un sempre maggior numero di imprese statali coinvolte nella procedura. Infatti le PIPO103, come è consuetudine indicare le IPO che avvengono nell’ambito di un piano di privatizzazione, hanno in realtà spianato la strada ad un fenomeno, quello della quotazione in borsa, che si è gradualmente dimostrato sempre più importante e catalizzatore di interesse: non a caso le stesse si sono caratterizzate per i loro caratteri precipui sia in termini partecipativi che di organizzazione dell’emissione vera e propria.

Per l’esattezza furono i Governi coinvolti direttamente nelle IPO a voler per primi:

1. una presenza internazionale all’interno della procedura attraverso la figura di

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Soffermandoci sull’aspetto monetario, qui oggetto di interesse, alcuni autori [Megginson&Netter (2001)] hanno registrato dati rilevanti in termini di guadagni raccolti dalle IPO su scala mondiale: in particolare emerse che alla fine del 1999 venne superato il trilione di dollari (US) e che sempre in quell’anno, delle 15 IPO più importanti condotte su scala mondiale, ben l’80% era nell’ambito di un progetto di privatizzazione, per l’appunto a ribadire il notevole impiego di questa forma di privatizzazione tramite quotazione.

103 La sigla sta per Privatization Initial Public Offering [Chi&Padgett (2005)]. Non è un caso che tale

sigla sia stata coniata in occasione di uno studio delle IPO in Cina. Va infatti sottolineato che nella nazione asiatica la maggioranza di IPO erano per l’appunto inserite all’interno di un più vasto processo di privatizzazione: in chiusura del 2005 emerse che circa il 90% delle imprese coinvolte era di natura statale [Chi&Padgett (2005)], le stesse si auspicavano di ottenere i fondi necessari a risanare la loro situazione tramite l’accesso al mercato dei capitali.

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banche di investimento straniere nel consorzio di collocamento;

2. utilizzare la procedura del bookbuilding in sede di pricing e allocazione delle azioni104;

3. proporre delle IPO multi-tranche così da accontentare talune schiere di investitori a discapito di altri soggetti105 [Jenkinson&Ljungqvist (2001)].

Se allo stato attuale si tratta di caratteristiche comuni a tutte le IPO, che non destano alcun tipo di stupore perché oramai radicate nella prassi, la ragione di questa loro “ordinarietà” va ricercata proprio nel ruolo apri-pista giocato dal Governo nelle PIPO.

Le motivazioni che hanno condotto lo Stato a lasciare al pubblico di investitori realtà industriali spesso anche estremamente significative non vanno ricercate solo ed esclusivamente in ragioni di carattere economico, anche se certamente quest’ultimo aspetto non va tralasciato. Per essere precisi il Governo si è spesso ritrovato in situazioni problematiche quando si è trovato coinvolto in operazioni di PIPO: queste ultime infatti fungevano da mezzo per il raggiungimento di determinati scopi di natura economico-politica, ma che il più delle volte erano in contrasto con gli obiettivi che un’azienda del settore privato normalmente persegue [Jenkinson&Ljungqvist (2001)].

Alla luce di quanto testè detto se ne è voluto dare in questa sede una trattazione a parte, poiché si tratta di realtà estremamente particolari, a sé stanti.

Con riferimento all’aspetto economico che caratterizza tali operazione si vuole precisare che in prima istanza il beneficiario per eccellenza dell’operazione di PIPO è proprio il Governo, anche se spesso questa operazione è accompagnata da una profonda

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Va tuttavia precisato che le prime PIPO che ebbero luogo non utilizzarono immediatamente il meccanismo del bookbuilding per il pricing e l’allocation: si trattava prevalentemente di offerte pubbliche effettuate con il sistema del fixed price regime e che furono caratterizzate per un elevatissimo livello di Underpricing.

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L’utilizzo di un sistema che distinguesse tra le differenti schiere di soggetti venne implementato sia nell’ottica di ampliare maggiormente la partecipazione azionaria, sia per individuare un prezzo di offerta che fosse il più idoneo e corretto possibile. Alla luce di quanto testé detto le differenti tranche distinguevano tra soggetti retail ed istituzionali, talvolta con un’ulteriore classificazione tra domestici e stranieri. In particolare fu proprio in questo ambito di privatizzazioni tramite IPO che, per individuare il prezzo più adatto all’emissione istituzionale, venne implementato il metodo del bookbuilding anche al di fuori del convenzionale contesto americano. Il prezzo, una volta individuato, veniva applicato tanto alla schiera di investitori professionali tanto che al pubblico retail, con l’unica differenza che per questi ultimi lo stesso veniva scontato di un certo ammontare. Si evince pertanto che, mentre gli investitori istituzionali venivano premiati per aver rivelato informazioni importanti attraverso un’allocazione favorevole dei titoli, alla tranche retail spettava il vantaggio economico-monetario. Per ulteriori approfondimenti si veda Jenkinson&Ljungqvist (2001) pagg. 176 e ss..

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ristrutturazione dell’organizzazione aziendale, così da creare un’impresa più idonea a sopravvivere nel difficile e competitivo contesto del mercato dei capitali.

Nello specifico, obiettivo principale è quello di riuscire, attraverso questa procedura, a raccogliere una quantità sufficiente di denaro cosicché il Governo riesca a ridurre il debito pubblico e conseguentemente, ad abbassare le tasse pagate dai cittadini106. In quest’ottica le PIPO potrebbero essere viste quali esempi di debt-equity swap, poiché, ad una vendita pubblica di equity come quella a cui si assiste, si auspica faccia seguito una raccolta di fondi sufficienti per calmierare il debito pubblico [Jenkinson&Ljungqvist (2001)].

Di per sé comunque rileva anche la modalità seguita in fase di distribuzione del capitale azionario tra il pubblico di investitori: mentre in talune PIPO, perlopiù quelle fortemente oversubscribed, si può assistere a casi di allocazioni preferenziale verso talune schiere di investitori, soprattutto qualora siano influenti e dotati di una notevole quantità di risorse finanziarie, in altri contesti, soprattutto nella parte orientale del mondo (Est Europa ed Asia), vi possono essere casi di allocazioni più imparziali, ma meno profittevoli per il Governo: si fa riferimento a quei casi di distribuzione azionarie equamente ripartite tra i differenti cittadini coinvolti [Jenkinson&Ljungqvist (2001)].

Parallelamente a questo scopo tipicamente monetario che il Governo vuole perseguire attraverso queste operazioni di quotazione-privatizzazione, si affianca un altro obiettivo, più di natura politica e parzialmente conflittuale con il precedente: è volontà dello Stato riuscire a coinvolgere il maggior numero di investitori nel mercato dei capitali, sia in

106 Tuttavia non va dimenticato che ogni medaglia ha il suo rovescio: in questo caso se è vero che il

Governo otterrà, auspicabilmente, un ragguardevole quantitativo di capitale da questa operazione di prima quotazione dell’impresa a partecipazione statale, è anche vero che in tal maniera esso sta rinunciando a tutti i diritti precedentemente vantati in termini di flussi di cassa generati dall’impresa. In questo senso lo Stato interverrà abbassando le tasse ai cittadini solo qualora il capitale raccolto in sede di PIPO risulti essere maggiore del valore attuale netto della profittabilità futura attesa dall’impresa sotto analisi: in altre parole se l’oggetto di rinuncia non era poi così di valore. Il problema in tal senso è che si tratta di dati estremamente difficili da calcolare, poiché poco si sa sul futuro andamento aziendale e di quanto la presenza dello Stato avesse causato inefficienze strategiche ed operative all’impresa interessata. Per questo motivo è opportuno per lo Stato che lo stesso implementi un programma che renda più efficiente e funzionale l’azienda prima che l’operazione di quotazione abbia luogo, e che questa notizia sia resa di pubblico dominio: in tal maniera, rendendo consapevoli gli investitori, sarà lo Stato direttamente a beneficiare di questa azione, evitando che a trarne successivo vantaggio siano invece altri soggetti.

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termini di dipendenti dell’impresa quotata107, sia riferendosi al pubblico generico di investitori.

Questo obiettivo, ossia di ampliare e rafforzare la base azionaria di proprietà coinvolgendo nuovi soggetti, può tuttavia comportare notevoli complicazioni e criticità in termini economici.

In primis infatti il coinvolgimento di un numero ragguardevole di investitori, spesso

piccoli, nonché poco influenti, può comportare una tale frammentazione della base azionaria da rendere estremamente difficile un efficace ed efficiente monitoraggio dei

manager che la governano, configurando il classico conflitto principale-agente108. In secondo luogo se l’obiettivo è, come affermato, quello di ampliare la base azionaria coinvolgendo il maggior numero di soggetti, si deve anche considerare che molti di questi avranno un bagaglio informativo notevolmente ridotto, se non anche errato. Alla luce di ciò, e di quanto perfettamente spiegato nella Winner’s Curse di Rock (1986) a cui si rimanda109, il Governo si troverà costretto a sotto-prezzare ulteriormente le azioni oggetto di emissione come unico strumento utilizzabile per convincere gli investitori non informati a rimanere nel mercato dei capitali: nonostante infatti la loro presenza possa sembrare elemento di disturbo e di intralcio al corretto svolgimento delle IPO, contrariamente la loro assenza non consentirebbe alla stessa di concretizzarsi a priori poichè la sfera degli investitori informed risulta essere numericamente insufficiente allo scopo [Rock (1986)].

Si configura pertanto il caso per il quale, nonostante uno degli obiettivi primari del Governo sia la raccolta di un cospicuo quantitativo di capitale tramite l’IPO, dall’altro

107 Ovviamente il coinvolgimento dei dipendenti dell’impresa nell’andamento azionario della stessa è uno

strumento riconosciuto a livello mondiale (c.d. Stock Option Plan) perché utile nell’allineare gli interessi dei soggetti prestatori di servizi nell’azienda con il bene della stessa, aumentandone quindi l’efficienza. Tuttavia la classica teoria del portafoglio à la Markowitz (anni ‘50) fa decadere questo scenario tanto idilliaco sostenendo che sarebbe più auspicabile, ai fini della diversificazione dello stesso, non investire in titoli dell’impresa per la quale si lavora, avendo già investito una notevole quantità del proprio capitale umano in essa, bensì indirizzare il proprio interesse altrove.

108 La difficoltà nella gestione e nel monitoraggio dei soggetti addetti al governo dell’impresa risiede

sostanzialmente nel fatto che da una base azionaria troppo spaccata e diffusa sorgono problemi di mancato coordinamento e di free-riding. Va tuttavia precisato che di norma, a parte per la prima quotazione nel mercato, quello a cui si assiste nel mercato secondario sono casi di ragguardevoli quote azionarie acquistate da investitori istituzionali a piccoli investitori: in questo senso il fenomeno della proprietà frammentata ha vita breve [Jenkinson&Ljungqvist (2001)]. Per ulteriori approfondimenti si veda il III capitolo, dove il tema del conflitto principale-agente verrà trattato diffusamente.

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lato, per perseguire il secondo obiettivo testé citato, si deve parzialmente rinunciare alla profittabilità dell’operazione.

Tuttavia alcuni autori [Jenkinson&Mayer (1988)] hanno palesato una strada alternativa per raggiungere il medesimo scopo di ampliamento della base azionaria, senza il coinvolgimento del fattore “equity” e quindi di tutte gli elementi finora analizzati: rendere l’investimento azionario più interessante concedendo delle agevolazioni fiscali sullo stesso, ad esempio in termini di dividendi e guadagni in conto capitale parzialmente tax free.

Attraverso queste operazioni di PIPO è altresì ovvio che il Governo si stia esponendo in prima linea, mettendo a repentaglio la propria immagine e reputazione: è proprio alla luce di questa considerazione che lo stesso vuole condurre delle IPO di grande successo, così da non danneggiare la sua stessa credibilità110.

Da casi concreti111 è infatti emerso che risanare situazioni nelle quali è opinione diffusa tra gli investitori che il Governo non sia stato in grado di affrontare adeguatamente il processo di privatizzazione è estremamente arduo, anche se riuscire in questo senso è fondamentale per conservare la propria legittimità [Jenkinson&Ljungqvist (2001)].

110 Va quindi detto che le PIPO hanno conseguenze non solo per la società coinvolta, ma anche per il

soggetto cedente (il Governo appunto) in termini di credibilità di quest’ultimo e di Underpricing sopportato per ottenere fondi e per creare al contempo un mercato dei capitali maggiormente praticabile. Esse inoltre hanno dei riflessi anche sui dipendenti dell’azienda, che diventano infatti parte integrante di una realtà completamente difforme dalla precedente, nonché possono essere utilizzate quali operazione di “campagna elettorale”, per guadagnare voti attraverso allocazioni azionarie preferenziali [Jenkinson&Ljungqvist (2001)]. Addirittura alcuni studi hanno rilevato queste come cause dietro l’Underpricing. In particolare Dewenter&Malatesta (1997) teorizzarono che il Governo potesse volutamente offrire azioni sottoprezzate quale strumento funzionale a calmierare gli animi dei dipendenti, qualora quest’ultimi avessero espresso pareri contrari alla quotazione. Parallelamente Biais&Perotti (2002) sostennero come l’Underpricing potesse essere usato quale strumento strategico, da parte di Governi market-oriented coinvolti in processi di privatizzazione, per ottenere il favore degli elettori della classe media. Ovviamente tanto maggiore era il grado di iniquità della nazione sotto esame tanto più diventava necessario sotto-prezzare le azioni per persuadere gli elettori a schierarsi verso la loro parte ed allineare così i loro interessi con quelli del Governo.

111 Ci si riferisce al caso del Governo spagnolo che, a seguito di una serie di PIPO condotte nel 1995 e

non particolarmente brillanti in termini di performance delle azioni, dovette progettare degli espedienti che risollevassero la credibilità dello Stato agli occhi degli investitori delusi. Fu in questo clima che il Governo non solo cercò di attirare nuovamente l’interesse nelle IPO successive accettando pesanti livelli di Underpricing, ma addirittura, implementò un programma annuale di rimborso per gli investitori che, aderenti alle PIPO, avessero subito perdite fino ad un massimo del 10% acquisito.

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Molta delle fiducia riposta dagli investitori in queste operazioni di quotazione risiede anche nelle modalità in cui le stesse sono strutturate e nel livello di coinvolgimento che il Governo avrà nell’impresa oramai quotata: gli investitori potrebbero infatti temere che, una volta effettuata la quotazione e, attraverso la vendita azionaria, slegato completamente il destino aziendale dal Governo, quest’ultimo potrebbe adottare comportamenti che arrechino danno all’azienda, facendone diminuire il valore. Considerando che gli investitori anticipano questa eventualità, il loro sentiment negativo potrebbe essere la causa dietro all’insuccesso di alcune IPO.

Per evitare aprioristicamente questa situazione gli animi degli investitori possono essere mitigati attraverso le cosiddette staged sales ossia vendite nelle quali lo Stato, invece di liquidare immediatamente la totalità della sua partecipazione azionaria, lo fa per passi graduali, conservando una determinata porzione della proprietà per un prefissato arco temporale112.

In questa maniera, anche se tale manovra può sembrare limitativa e limitante per gli azionisti entranti nella compagine sociale, che si vedono parzialmente bloccati nell’esercizio dei loro diritti proprio dall’ingerenza statale, dall’altro è un ottimo sistema affinché gli interessi del Governo siano allineati a quelli della società e quindi siano orientati al raggiungimento del bene dell’impresa113.

Inoltre, considerando che molte delle imprese che subiscono il processo di privatizzazione tramite quotazione rimangono comunque sotto il controllo di autorità pubbliche costituite ad hoc114 (ad esempio le imprese di Utilities), la detenzione da parte dello Stato di una parte della proprietà azionaria implicitamente sta a dimostrare che

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Vi sono anche casi ben più limite in cui il Governo detiene a tempo indefinito (a volte anche illimitato) una certa quota azionaria nell’azienda che, al contempo, gli conferisce tutta una serie di diritti di controllo (non sempre gli stessi vengono esercitati). Nel contesto anglosassone si parla di golden shares, in quello francese di noyeaux durs, ma il contenuto non cambia. In entrambi i casi si tratta di uno strumento adottato dal Governo per impedire l’avvenuta di hostile takeover, soprattutto se a danno di imprese strategiche per l’economia della nazione, ma che al contempo, per come sono strutturate, rallentano la consueta influenza da parte del mercato dei capitali sulla struttura aziendale.

113 In realtà l’obiettivo per il quale queste vendite possono essere attuate può anche essere di natura

economica: liquidare l’equity a “piccole dosi” permette infatti di fissare un prezzo dello stesso gradualmente sempre più accurato e preciso, così da perdere il minor quantitativo di capitale dall’operazione di vendita. Ad ogni modo mancano le evidenze empiriche a supportare questa come motivazione principale delle staged sales [Jenkinson&Ljungqvist (2001)].

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Anche se comunemente questi enti sono dichiaratamente autonomi essi spesso agiscono seguendo gli ordini del Governo che, in questo contesto, si presenta come colui che gestisce i giochi da “dietro le quinte” e che, con propri provvedimenti, può minare la profittabilità delle imprese quotate privatizzate [Jenkinson&Ljungqvist (2001)].

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difficilmente verranno implementati provvedimenti che possano andare a discapito della società e quindi, indirettamente, di sé stessi: questo comportamento rassicura anche gli investitori che hanno creduto in questa IPO quando invece potevano temere un comportamento avverso del Governo [Jenkinson&Ljungqvist (2001)]115.

Tuttavia, parallelamente a tutti questi pro, l’attuazione delle vendite a scaglioni può comportare anche degli svantaggi, palesando delle profittevoli opportunità di arbitraggio per gli investitori già in possesso delle azioni.

Più precisamente, ogni qualvolta una nuova tranche di azioni sarà pronta per la vendita nel mercato dei capitali, considerando che l’obiettivo è per l’appunto attrarre un sempre maggior numero di investitori, la stessa sarà offerta ad un prezzo inferiore rispetto al suo effettivo valore di mercato: alla luce di ciò coloro già in possesso di azioni potranno venderle prima della nuova emissione e ricomprarle ad un prezzo inferiore; potranno addirittura vendere allo scoperto poiché già anticipano che riusciranno a rientrare perfettamente delle quantità necessarie116.

Il problema risiede nel fatto che la persistenza di questo comportamento da parte degli investitori, i quali cercano di approfittare di questa situazione per loro vantaggiosa, pressa sul lato dell’offerta portando inevitabilmente il market value delle azioni a livelli bassi: considerando che il valore di emissione delle stesse per le successive tranche sarà quello di mercato ridotto di un certo ammontare, questo implica per il Governo una perdita dei guadagni derivanti dalla graduale liquidazione del suo pacchetto azionario. Fortunatamente questo tipo di problematicità è tanto più ridotta tanto più rapidi si riveleranno i meccanismi di liquidazione e compensazione delle transazioni nei diversi