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La riforma economica

La Cina: contesto storico, economico ed istituzionale

2.2. LA STORIA: THE CHINESE REFORM

2.2.2. La riforma economica

Nonostante il processo di riforme venga comunemente ricondotto all’anno 1978, dal quale effettivamente tutto ebbe concretamente inizio, le radici dello stesso vanno ricercate nel discorso del Primo Ministro dell’allora Governo Mao, il pragmatico Zhou Enlai157, che nel dicembre del 1964 parlò di un processo di modernizzazione attinente a quattro settori specifici, le cosiddette “Quattro Modernizzazioni”: l’agricoltura, l’industria, il settore scientifico-tecnologico e l’apparato militare.

Si riteneva già allora che fossero questi gli ambiti più in sofferenza ed in deficit, che dovevano essere risanati e rafforzati il prima possibile per condurre la Cina ad una considerevole crescita economica e, conseguentemente, ad un miglioramento della sua posizione politica su scala mondiale.

Ciò nonostante tale idea venne allora accantonata per lasciare spazio all’attuazione delle “Rivoluzione Culturale”, fortemente sostenuta dal “Grande Timoniere”, e fatta percepire al popolo quale priorità per la Cina del tempo.

Quando quest’ultima si dimostrò fallimentare, nonché violenta, divenne indispensabile procedere con l’attuazione di quelle riforme che erano state in precedenza erroneamente abbandonate.

Secondo alcuni [Chow (2004)] i motivi principali che portarono a tale turning point potevano ricondursi principalmente alle tre spiegazioni sotto riportate:

1. la testimonianza portata da quegli stati limitrofi che, governati secondo l’approccio del planning system al pari del contesto cinese158, col tempo si erano rivelati economicamente sottosviluppati e difficili da gestire. Si trattava pertanto di un monito a non procedere più in quella direzione;

2. la florida economia di quelle nazioni che, al contrario, avevano preferito adottare un approccio market-oriented e market-driven, portando a casa risultati invidiabili. Si fa esplicito riferimento ad aree quali Taiwan, Hong Kong,

157Zhou Enlai venne a mancare nel gennaio 1976, poco prima di poter quindi assistere

all’implementazione di tutte quelle riforme di cui lui stesso era stato grande sostenitore e a causa delle quali non era ben visto dallo stesso Zedong. Si distingueva infatti per il suo approccio estremamente pragmatico, rifuggendo qualsiasi tipo di dogmatismo, pratica invece piuttosto imperante nel regime comunista cinese.

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Singapore e Corea del Sud che, pur molto vicine alla Cina, avevano adottato un impianto economico completamente differente, a loro gran vantaggio159;

3. la totale insoddisfazione del popolo cinese che, dopo quasi un decennio di soprusi, violenze e bassissimi standard di vita sopportati per raggiungere gli “scopi del Partito”160, aveva ora voglia di reagire, intraprendendo una strada di sviluppo e crescita, che portasse ad una complessivo innalzamento del livello di benessere.

Alla luce di quanto finora detto il 1978 si presenta quale data fondamentale nella storia cinese, segnando l’inizio di una straordinaria epoca di riforme: tale eccezionalità va ricercata non solo nell’effettivo impatto delle riforme, ma anche per il contesto in cui queste hanno avuto luogo, fino ad allora estremamente rigido e violento.

In particolare fu proprio in occasione della terza sessione plenaria dell’Undicesimo Congresso (dicembre 1978) che Deng Xiaoping espose le sue idee e trovò un consistente appoggio da parte del CCP.

In quella sede si chiarì quale direzione avrebbe intrapreso il processo riformista, enfatizzando la necessità di i) creare o espandere, qualora esistenti, relazione economiche di cooperazione con altre nazioni, ii) di equipaggiarsi delle più recenti e sofisticate tecnologie su scala mondiale, nonché iii) di intervenire con una riforma sul sistema educativo161 creando un corpo di professionisti, tecnici e studiosi preparati [Tisdell (2009)].

159 Non a caso nell’elenco vi è anche la Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong che, a quel

tempo era ancora colonia britannica e quindi non soggetta al regime socialista cinese. Lo stesso raffronto venne fatto con situazioni quali Corea del Nord e del Sud, Germania, o più in generale, Europa dell’Est e dell’Ovest. In tutti questi casi si assisteva ad una situazione per la quale, la parte di nazione-continente soggetta ad un regime socialista, e quindi ad una pianificazione centralizzata della sua economia, soffriva pesantemente ed i suoi cittadini il più delle volte versavano in situazioni di bisogno, nonché di ignoranza.

160 Secondo alcuni studiosi [Qian et al. (2008), Tisdell (2009)] le motivazioni per le quali il popolo cinese

ha resistito in tale situazione, anche se talvolta ritenuta ingiusta, vanno ricercate non solo nelle istituzioni politiche, ma anche nel background culturale. Questo infatti talvolta è talmente radicato da poter esso stesso influenzare l’economia e le istituzioni di un paese. Ad esempio il confucianesimo, una dei credi più diffusi in Cina, sottolinea il grande rispetto che deve essere incondizionatamente portato alle autorità.

161 In uno dei suoi discorsi più rappresentativi Deng Xiaoping espose egregiamente questo concetto

utilizzando le seguenti parole: “For many years we have neglected the study of political science, law, sociology and world politics, and now we must hurry to make up our deficiencies in these subject. Most of our ideological and theoretical workers should dig into one or more specialized subjects. All those who can do so should learn foreign languages, so as to be able to read important foreign works on the social sciences without difficulty. We have admitted that we lag behind many countries in our study of the natural sciences. Now we should admit that we also lag behind in our study of the social sciences, insofar as they are comparable in China and abroad. Our level is very low and for years we haven’t even had

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Inoltre si riconobbe la necessità di intervenire sulla Burocrazia, spesso di ostacolo per il raggiungimento del benessere economico, e sul ruolo rivestito dagli impiegati governativi, spesso pesantemente presenti all’interno della gestione aziendale che nelle loro mani si dimostrava inefficiente.

Si trattò di un periodo, quello riformista, che portò la Cina a registrare una crescita economica davvero ragguardevole tra il 1978 ed il 1998, dell’ordine del 9,5% annuo in termini di PIL reale [Chow (2004)].

Tale dato costituì a sua volta un incentivo per proseguire su questa strada: risultati così positivi non poterono infatti che rassicurare anche i più scettici circa la necessità e gli effetti benefici apportati da tali riforme.

Altri dati quantitativi suffragorono il successo di tali riforme; basti pensare che il PIL cinese del 2006 si attestò a valori circa tredici volte maggiori rispetto a quelli registrati nel 1978: per la precisione dai 157,7 miliardi (US$) del 1978 ai 2100 miliardi (US$) registrati nel 2006162.

In particolar le riforme hanno colpito prevalentemente l’assetto istituzionale, che è infatti stato stravolto seppur con un processo graduale e per stadi successivi.

Tuttavia l’impianto politico non è stato coinvolto o perlomeno non così pesantemente: la Cina è rimasta, anche a seguito delle molte riforme, una nazione one-party, fondata sulle volontà dei Top-leaders del CCP.

In particolare in questa, ed in altre caratteristiche, la riforma cinese si distinse da quella avvenuta nell’Unione Sovietica e negli altri stati dell’Est Europa, dove il processo di cambiamento avvenne in un modo tanto violento e profondo da intaccare la stabilità delle nazioni coinvolte.

In quest’ultimo senso la letteratura economica [Chow (2004)] parla di shock therapy – talvolta conosciuta anche con l’appellativo di Big Bang approach – in contrapposizione con la gradual therapy, approccio per l’appunto adottato nel contesto cinese163.

adequate statistical data in the social sciences, a lack that is naturally a great obstacle to any serious study’ [Xiaoping (1979)].

162 Per il calcolo di tale dato ci si è basati sulle informazioni rivenienti dalla World Bank Information. 163 In tal senso anche Xu&Wang (1999) si espressero analizzando quanto il successo del periodo

riformista fosse dipeso principalmente dalla fase di ristrutturazione delle SOE di cui si parlerà nel seguito. Nello specifico gli autori evidenziarono una duplice possibilità di gestione della riforma, la quale poteva condursi secondo un market od un ownership approach. La prima modalità, effettivamente impiegata nel contesto cinese, enfatizzava il ruolo del mercato che, se organizzato in maniera efficiente, avrebbe portato

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Infatti, anche alla luce del particolare e delicato contesto storico, il Partito preferì procedere molto gradualmente, senza un prefissato schema da seguire: sostanzialmente si adottò un approccio estremamente sperimentale, dove, considerando i risultati ottenuti al primo stadio, si prendevano le successive decisioni.

Questo approccio venne definito dallo stesso Deng Xiaoping quale “Crossing the river

by groping the stones”, quasi a significare che ogni passo chiariva il successivo da

intraprendere e che il pragmatismo doveva imporsi sull’ideologia fino ad allora tanto propagandata [Chow (2004)].

Tale gradualità nell’approccio si dimostrò anche molto funzionale per ottenere l’accettazione dal Partito: uno sconvolgimento troppo repentino dell’impianto istituzionale nazionale non sarebbe infatti mai stato accettato dallo stesso perché contrario a tutti i principi cardine; al contrario, implementando l’altro approccio, più

soft, la necessità di un cambiamento, seppur progressivo e non immediato, venne

percepita dal Partito quale indispensabile.

In un discorso di Deng Xiaoping del 1984 venne pubblicamente chiarito l’obiettivo della Riforma: in tale senso si parlò della volontà di creare un “Market Socialism with

Chinese characteristics”.

Tale espressione, ad oggi ancora sprovvista di una definizione ufficiale, metteva in risalto tanto lo stampo socialista quanto quello nazionalista delle riforme.

Sostanzialmente Xiaoping - con questa locuzione - volle enfatizzare la necessità di migrare verso un “modello di mercato”, adottando un approccio pragmatico, ma considerando al contempo la realtà culturale ed economica della Cina, con tutte le sue particolarità: da qui l’aggiunta “with Chinese charateristics”.

Pur tuttavia egli voleva anche fortemente sottolineare il persistere della centralità del Partito, il cui ruolo mai sarebbe stato intaccato dalle riforme164.

ad un automatico miglioramento delle SOE. Dall’altro lato invece si prevedeva un massiccio intervento nella struttura proprietaria: i sostenitori di questo secondo approccio, adottato nel contesto dell’Unione Sovietica, ritenevano che solo passando nelle mani di privati si sarebbe potuto raggiungere un valido livello di efficienza.

164 Tisdell nel suo paper (2009) cercò di capire se il Market Socialism a cui si riferiva Xiaoping fosse lo

stesso illustrato da Lange (1938). Ne emerse che il modello cinese, pur rispecchiando alcune delle caratteristiche di Lange, non si conformava perfettamente allo stesso. Nonostante il CCP avesse mantenuto il suo ruolo centrale durante il processo riformista, i mezzi di produzione erano prevalentemente passati nelle mani del settore privato e le politiche correttive di distribuzione per riequilibrare la disparità nei salari si erano rivelate altamente inefficienti. Alla luce di quanto detto anche

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Nello specifico questo succedersi di cambiamenti consentì alla Cina, attraverso un processo trial&error, di passare da un regime in cui il ruolo del mercato era pressoché inesistente, ad una situazione diametralmente opposta, anche se per passaggi graduali [Tisdell (2009)].

Ciò nonostante va precisato che, al succedersi delle differenti riforme, il ruolo del Governo divenne gradualmente meno invasivo nei confronti del contesto economico, lasciando che quest’ultimo si sviluppasse in autonomia, secondo le forze del mercato.

La riforma economica ebbe inizio a partire dal settore agricolo poiché a quel tempo esso rappresentava il fondamento dell’economia nazionale [Tisdell (2009)].

Tuttavia i provvedimenti attuati in tale direzione si dimostrarono talmente efficaci da venir successivamente applicati alla totalità dei settori economici oggetto di riforma. Deng Xiaoping era inoltre fervido sostenitore di un sistema che si basasse sulle responsabilità di ciascuno e che in quanto tale premiasse i meritevoli: il principio di base a sostegno delle sue idee era “A ciascuno secondo il proprio lavoro”, che si poneva in netto contrasto con la precedente filosofia capeggiata dalla massima “A ciascuno secondo il proprio bisogno”.

Sostanzialmente Xiaoping era dell’opinione che andassero premiate le persone sulla base delle loro azioni e che la retribuzione delle stesse dovesse essere calcolata avendo riguardo della quantità e qualità del prodotto generato.

Tutto ciò era decisamente in contrasto con l’idea di “Equità” sulla quale si era fino ad allora basata l’intera filosofia del CCP: egli stava mandando esattamente il messaggio opposto, demolendo il concetto di egualitarismo165 e della Iron rice bowl166, e premiando invece un sistema meritocratico, che considerasse la performance quale Qian&Wu (2000) sentenziarono che il Market Socialism come proposto da Lange (1938) non era lo stesso attuato nel contesto cinese.

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Per Egualitarismo si intende una concezione politico-sociale che, molto diffusa tra i movimenti socialisti, sostiene un’uguaglianza di fatto oltre che di diritto. In pratica essa si realizza attraverso la ripartizione equa di tutti i beni della società tra i vari membri.

166 Si tratta di un’espressione idiomatica cinese. Questa fa riferimento al contesto lavorativo pre-riforma

nel quale, i lavoratori delle imprese statali (State Owned Enterprises o anche SOE) che allora erano pressoché le uniche esistenti, nonché i membri dell’esercito e del servizio civile, erano controllati, direttamente o indirettamente, dal Governo. In particolare i loro salari e benefici, così come la sicurezza di non perdere il lavoro, non erano collegati alle performance registrate, come ci si aspetterebbe, ma erano preventivamente decisi e assicurati indipendentemente dagli avvenimenti. L’intromissione dello Stato nella vita dei privati cittadini raggiunse allora livelli inimmaginabili: per intercessione diretta del Partito o di suoi ufficiali veniva controllato ogni singolo aspetto della vita di un lavoratore, dalla scelta della casa al tipo di istruzione a cui potevano ambire.

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indicatore dell’avanzamento economico e sociale effettuato da ciascun individuo [Tisdell (2009)].