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L’interdipendenza dei players

La Solidarietà nella gestione delle crisi bancarie “prima” dell’Unione Bancaria Europea

5. Gli aiuti di Stati al settore bancario

5.7. L’interdipendenza dei players

Com’è noto, le banche quotidianamente si prestano denaro sul mercato interbancario. Si tratta di un mercato attivo solo per il settore bancario, il cui funzionamento si basa sul surplus di liquidità registrato dagli enti creditizi e messo a disposizione di quegli istituti che, al contrario, necessitano di risorse. La scadenza dei prestiti interbancari può variare dalle 24 ore (overnight) ad oltre un anno. Nel contesto di una crisi finanziaria come quello che attualmente attanaglia l’eurozona, oltre alla sfiducia dei risparmiatori si deve sommare l’avversione delle banche a prestarsi soldi; in questo contesto, le banche centrali possono alleviare il rischio di liquidità, ma non il rischio di credito, che dipende comunque dalla affidabilità dei debitori288. A tal proposito, è particolarmente rilevante il ruolo della fiducia tra istituti finanziari. Dopo lo scoppio

286 Sul punto Lopes si è espresso in tal modo: “se le banche e gli intermediari hanno un ruolo

preminente nel processo di creazione del credito, fornendo liquidità alle imprese che non possono finanziare altrimenti i propri progetti d’investimento, allora tutti quei fattori che riducono la disponibilità di credito hanno degli effetti macroeconomici potenzialmente molto rilevanti”. Cfr. A. LOPES, Accesso al credito, vincoli patrimoniali e sistema bancario. L’esperienza della crisi finanziaria, in Rivista Economica del Mezzogiorno, 2014, p. 539.

287 v. infra al cap. IV.

288

Banca d’Italia (press release), Il mercato interbancario dopo la crisi finanziaria: spremere

liquidità in un “mercato dei limoni” o chiedere liquidità “alla spina, 2011, disponibile all’indirizzo

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della crisi nell’agosto 2007, una stima precisa dello stato patrimoniale di taluni intermediari divenne impossibile, tanto da spingere la Bank for International Settlments (“BIS”) ad amettere che: “assuming that the big banks have managed to distribute more widely the risks inherent in the loans they have made, who now holds these risks, and can they manage them adequately? The honest answer is that we do not know”289

. La conseguenza di queste dichiarazioni fu un crollo della fiducia tra banche stesse e una ulteriore contrazione sul mercato del credito all’ingrosso.

In ogni caso, il complesso rapporto esistente tra banche va ben al di là delle attività svolte sul mercato interbancario. Infatti, gli istituti di credito, nel corso della storia, hanno incluso hanno concluso tra di loro un numero cospicuo di intese collettive. La ragione per cui sono state stipulate è da rintracciare in una triplicità di fattori290. In primo luogo, la tecnicità del settore richiede, certe volte, un approccio comune e coordinato. Si pensi alla costituzione del Fondo Interbancario di Tutela dei depositi (FITD), creato dalle stesse banche per la necessità di stabilire un meccanismo di solidarietà tra aziende di credito.

In secondo luogo, ai fini della conclusione di intese, svolge un ruolo determinante, se non decisivo, la presenza di un’associazione di categoria forte – come nel caso italiano, l’Associazione Bancaria Italiana (ABI) – e le consolidate relazioni tra il settore bancario e le Banche centrali nazionali (BCN), che “spingono il comparto creditizio verso il modello del club, e verso le tentazioni di ogni associazione a deviare verso un’intesa”291

.

In terzo luogo, il modello di organizzazione delle banche, influenzato dalla necessità di diversificare il rischio, e la tendenza, oramai consolidata nell’economia reale, a realizzare progetti che richiedono cospicui finanziamenti, conducono sempre più di frequente le banche a finanziare in misura parziale un medesimo progetto.

È facile dunque comprendere come le banche, tra loro, dispongano di un considerevole numero di occasioni di scambio economico o di relazioni, “un mondo molto complesso e ramificato, e in larga misura poco trasparente a chi non appartenga alla corporazione”292.

289 B

ANK FOR INTERNATIONAL SETTLEMENTS, BIS 77th annual report, 2007, p. 145; disponibile all’indirizzo www.bis.org/publ/arpdf/ar2007e.htm.

290 L.C. U

BERTAZZI, La « tradizione » delle intese bancarie, in Banche e Concorrenza, Giuffrè Editore, 2007, p. 105.

291 Ibidem. 292

124 5.8. Il rischio contagio

Abbiamo già sottolineato che, per come è strutturato il settore bancario, anche la crisi di un singolo ente bancario può produrre un effetto contagio nel resto del comparto bancario. Emblematico al riguardo il caso della correlazione tra lo stato di sofferenza di Bear Stearns e la successiva crisi di Lehman Brothers, oppure la diramazione della crisi nel Vecchio continente a seguito del default di Lehman Brothers.

L’effetto contagio che si produce nel mercato bancario è da ricollegare, ancora una volta, alla questione della ‘fiducia’. I correntisti o gli investitori, nella misura in cui percepiscano lo stato di precarietà della banca di cui sono clienti, reagiscono prelevando i propri risparmi. Un fenomeno che acutizza la crisi dell’intermediario e che, se ripetuto in maniera sistemica, determina il collasso del sistema bancario nella sua interezza.

Per prevenire tale rischio i pubblici poteri possono intervenire ex ante (in via preventiva) o ex post (in ultima istanza). Nel novero degli interventi del primo tipo, rientrano le regolamentazioni nazionali, europee ed internazionali, come nel caso dell’accordo di Basilea che mirano a garantire la solidità patrimoniale delle banche. Rientrano, peraltro, in questa categoria, i poteri di supervisione delle banche centrali nazionali e della Banca Centrale Europea nel contesto del Meccanismo di vigilanza unico293. Come sottolineato da acuta dottrina, la crisi del 2007 non è stata soltanto “un «fallimento del mercato», ma soprattutto un «fallimento delle regole»”294

; è stato notato che il problema non consisteva tanto “nella forma degli assetti di vigilanza e neppure nell’individuazione di nuovi meccanismi di intervento nelle crisi bancarie quanto nella sostanza del rapporto fra regolatori e regolati. Piaccia o no, i primi si sono dimostrati troppo compiacenti verso i secondi, consentendo loro di assumere rischi senza neppure la protezione del credito di ultima istanza (è il caso di Bear Stearns) oppure di avere attività totali pari a 58 volte il capitale (è il caso di Northern Rock)”295.

Se l’attività di prevenzione non è condotta in maniera non adeguata, allora il rischio contagio può facilmente avverarsi. In questa fase, il contrasto alla crisi può assumere la forma di: provvedimenti delle banche centrali che tenteranno di assumere una

293 V. infra, cap. IV del presente lavoro. 294 M. O

NADO, La crisi finanziaria internazionale: le lezioni per i regolatori, in Banca Impresa Società, 2009, p. 14.

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politica monetaria espansiva; regolamentazioni nazionali o europee volte a facilitare l’assistenza pubblica a intermediari ormai prossimi al fallimento; interventi di supporto alle banche colpite in termini di concessione di garanzie pubbliche, separazione degli assets buoni da quelli cattivi e ricapitalizzazioni. Quelli sopra menzionati sono chiaramente gli interventi più comuni che vengono adottati nelle immediatezze del verificarsi di uno squilibrio finanziario. Una volta rientrata la situazione di emergenza, si riapre la fase di prevenzione - in attesa della prossima crisi – tentando di evitare gli errori commessi in passato. Un modus operandi – come verrà osservato nel prosieguo del presente lavoro – adottato anche dalla Commissione, che nel contesto della crisi finanziaria ha autorizzato un’apertura alla concessione di linee di credito pubbliche agli istituti di credito, salvo poi, a seguito della conclusione della fase più drammatica della crisi (2008-2013), elaborare un quadro normativo più severo per le banche in crisi.

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