Gian Rinaldo Carli, Giuseppe Parini, Ferdinando Galiani
4.1 Saverio Bettinelli
4.1.1 La mediazione del dibattito storico-linguistico
Il primo capitolo della seconda parte del Risorgimento d’Italia è dedicato alla storia della lingua, ed inizia con un breve excursus sul processo di romanizzazione e la conseguente formazione della lingua rustica o romanza, intesa come un miscuglio del latino e delle lingue parlate precedentemente nei territori assoggettati dai romani, su cui interviene la «corruzione» causata dall’avvento delle popolazioni germaniche. Quanto all’origine dell’italiano, Bettinelli ordina in due gruppi le tesi emerse nel corso del dibattito settecentesco, tesi che, come abbiamo visto, avevano avuto i prodromi nel periodo umanistico-rinascimentale:
2 Per una panoramica sull’autore si rimanda a Da Pozzo (1986b) e ai saggi contenuti in Crotti e Ricorda (1998); per quanto riguarda il pensiero linguistico si vedano invece Marazzini (1989: 87-94) e Gensini (1998a).
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Quinci Celso Cittadini, Maffei, Gravina e Quadrio sostengono essere stata la nostra lingua usata al tempo de’ romani dal popolo; quinci Zeno, Fontanini, Muratori dopo Bembo, Varchi, Castelvetro e Buonmattei essersi conformata intorno al Mille dal corrompimento della latina guasta per le irruzioni de’ barbari e per mille vicende della gente italiana. (Bettinelli 1976: 368)
La categorizzazione presta il fianco a varie critiche. Si può infatti osservare che la prima tesi esposta sembra in realtà riproporre quella denominata ‘pseudobruniana’, scaturita da un’interpretazione del pensiero dell’umanista aretino risalente al Biondo su cui già il Valla aveva ironizzato (cfr. Tavoni 1984: 3-41), tesi che certamente non coincide con le idee storico-linguistiche di Cittadini e Maffei, che avevano parlato di alterazione, pur all’interno di un quadro di continuità fra volgare antico e moderno. Quanto al secondo gruppo, al di là dell’indicazione temporale, su cui gli autori ricordati avevano idee non coincidenti, appare assai difficile assimilare la posizione di Fontanini, che prende in esame la storia linguistica italiana solo a partire dalle invasioni barbariche, a quella di Muratori il quale, sulla scorta di Castelvetro, aveva individuato gli inizi della formazione del volgare nell’antichità. Inoltre, il pensiero linguistico di Castelvetro, com’è noto, era stato ripreso da Cittadini, le cui idee avevano trovato il principale continuatore in Maffei. Una dicotomia così netta, quindi, finiva per semplificare eccessivamente le risultanze di un dibattito assai articolato.
D’altra parte, va ricordato che l’intento storiografico di Bettinelli obbedisce alla precisa volontà di trattare ‘filosoficamente’, quanto a dire in modo moderno, critico e allo stesso tempo piacevole, gli argomenti storici, e quindi anche quelli linguistici (cfr. Folena 1983: 24). In linea con questo approccio è la proposta dell’autore, dopo aver discusso brevemente le due tesi storiografiche, di comporre la frattura venutasi a creare fra i due schieramenti:
Or parmi doversi accordare que’ celebri litiganti col cedere ciascuno una parte di sua pretensione all’avversario. Molti vocaboli, terminazioni e modi vengono dal latino direttamente e con poca o niuna mutazione di quel che trovisi tra romani usitato; ma molto poi nacque e crebbe di straniere e barbare mescolanze, senza nulla tener di latino fuor che l’indole e il genio,
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a cui l’uso fondato principalmente nella lingua madre piegolle e conformò3. (370-371)
Questo livello del discorso – che a tratti sembra sconfinare nella conversazione elegante – è evidente anche nella breve storia della lingua romanza, a cui Bettinelli dedica alcune pagine. Nata a suo modo di vedere nel 600, la lingua romanza divenne europea nell’800 assumendo «diverso genio e colore ed accenti ne’ diversi regni»:
Per una parte adunque fu la nuova lingua generale all’Europa del mezzodì ed ebbe un nome suo generale, cioè di romana a differenza del vero latino, onde fecesi poi romanza. Per l’altra divenne particolare secondo i vari popoli accomodandosi variamente ed ebbe nomi particolari di provenzale e di francese, di spagnuola e d’italiana, tutte romanze o figlie della romanza. (372)
Fin qui appare abbastanza evidente come Bettinelli sia debitore nei confronti di Fontanini per l’uso del termine lingua romanza come iperonimo indicante le varietà diatopiche del latino volgare, varietà ricondotte sotto un’unica etichetta per marcare la loro diversità dal «vero latino». Tuttavia, l’ultima affermazione del passo, «tutte romanze o figlie della romanza», introduce un’ambiguità che nel prosieguo della trattazione finirà col dar luogo a sviluppi ben diversi. Dopo aver ricordato la differenziazione linguistica della Francia medievale, e dopo aver ripercorso il successo della lingua romanza di Francia a seguito dell’autorità raggiunta da Carlo Magno e dai suoi successori, Bettinelli cita come esempi di quella lingua i Giuramenti di Strasburgo e l’epitaffio di Bernardo di Settimania, di cui adduce il testo accompagnandolo dalla traduzione in italiano. Nel commentare la seconda testimonianza, così afferma:
In esso trovansi voci che poi rimasero stabilmente nelle tre lingue nostre, come sempre, è stato, sacrato, bontate, salvato nell’italiano4, Fidel, sang,
preudom, tuat nella francese, altre nella spagnuola e forse tutte nel
3 In realtà l’armonizzazione delle due tesi, seppur con molti distinguo, era stata già conseguita nelle due dissertazioni muratoriane.
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provenzale volgare, che infatti somiglia più di tutte a quella lingua, perché i provenzali scrissero in quella; se la valle Engadina de’ Grigioni ed il Cantone Elvetico di Friburgo non ne sono i depositarj più certi, ove dicono parlarsi oggi interamente la lingua romanza e come facilmente in Friuli si parla. (374)
Come sottolineato anche da Pellegrini (2000: 137), il passo riprende chiaramente alcune affermazioni di Fontanini (1736: 55) su cui ci siamo già soffermati, ma allo stesso tempo è evidente come il taglio discorsivo della trattazione porti l’autore a semplificare alcuni passaggi – in questo caso l’accostamento fra il provenzale, il romancio, il romando e il friulano, proposto da Fontanini sulla base della loro conservatività – fino al punto di lasciare intendere, come una logica conseguenza di una serie di affermazioni, non solo il ruolo di lingua intermedia occupato dalla lingua romanza nell’evoluzione storica dal latino volgare alle lingue neolatine, ma anche la sua identità con il provenzale. Nel seguito del discorso questa identità sembra essere affermata in modo sempre più evidente: in primo luogo, ricordando gli sconvolgimenti prodotti in Italia e in Francia dalla nuova ondata di invasioni del X secolo, come quella dei Normanni, Bettinelli ne deduce che «può dirsi la lingua romanza essersi rifugiata in Provenza, che comprendeva la Francia meridionale tutta e dissesi lingua provenziale, onde sursero que’ poeti ad illustrarla col nome di trobadori» (1976: 374); affrontando successivamente il problema della formazione delle altre lingue neolatine, prima sembra alludere a una nuova generazione del francese dal provenzale, cosicché «furon due lingue in Francia, la provenziale cioè, che ancor dura al mezzodì, e la francese di tutto il regno, che ognora si ripulì, e non ha cessato» (375), e poi conclude che
Così nacquero allor del pari e si divisero dalla romanza l’italiano e lo spagnuolo, i quali dalla madre medesima dipartendo, trovarono popoli diversamente disposti d’accento, di pronunzia e di genio, che adattandola a sé ciascuno, venner formando un proprio linguaggio. Dunque dee dirsi a parlar chiaro di quelle lingue: romanza in prima, poi romanza-provenzale, romanza-francese, romanza-italiana, romanza-spagnuola. Così decisa è la lite tra Fontanini e Muratori insorta. (ibid.)
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Non stupisce, quindi, il fatto che Vitale abbia interpretato le affermazioni di Bettinelli come «una anticipazione di quella che sarà poi la posizione del Raynouard» (1955: 78). Rispetto alla tradizione del pensiero linguistico italiano, le conclusioni a cui giunge Bettinelli andranno invece spiegate, a nostro modo di vedere, come una semplificazione delle idee di Fontanini – del resto non prive di ambiguità – prodotta dal taglio ‘filosofico’ del discorso dell’autore, all’interno del quale ben difficilmente avrebbero potuto trovare adeguata considerazione le complesse articolazioni che l’approccio filologico aveva svelato5. A riprova di ciò, oltre a richiamare la disinvoltura con cui Bettinelli raggruppa le tesi emerse dal dibattito sull’origine dell’italiano, si osservi come questa semplificazione si riproduca anche a proposito della composizione della lite fra Fontanini e Muratori rispetto alla lingua romanza. La diversa opinione di Muratori muoveva infatti da una considerazione di carattere terminologico, non concettuale, dal momento che secondo l’erudito modenese le attestazioni del termine romanzo erano riconducibili unicamente al francese, e pertanto esso non poteva essere esteso, come aveva fatto Fontanini, a tutte le lingue derivate dal latino6.