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Gli studi etimologici e dialettologici

il progetto linguistico-culturale e la sintesi storico-linguistica

3.3 Gli studi etimologici e dialettologici

In un orizzonte europeo di studi etimologici si apre anche la Dissertazione XXXIII, intitolata Dell’origine o sia dell’Etimologia delle voci Italiane, che integra il trattato precedente focalizzando l’attenzione sulla storia del lessico italiano. Citando i nomi dei più importanti etimologisti europei, come, fra gli altri, Scaligero, Lipsio, Vossio, Du Cange, Hickes, Leibniz, Schilter, Eckart, ai quali, per quanto riguarda la lingua italiana, si aggiungono Castelvetro, Tassoni, Bembo, Cittadini e via via molti altri, fra cui vanno ricordati soprattutto Ferrari e Ménage, il letterato modenese prende posizione contro coloro che ritenevano che il lessico italiano derivasse interamente, con pochissime eccezioni, dalle lingue classiche. Esprimendo un’opinione identica a quella di Fontanini, frutto, anche nel suo caso, di ricerche storico-linguistiche condotte con metodo filologico e proiettate in un orizzonte europeo, Muratori infatti così sentenzia:

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Ma noi molto meno di quel che si crede abbiam preso dal Greco Linguaggio, pochissimo da gli Ebrei; e quei pochi vocaboli, che della Provenza passarono in Italia, furono bensì usati da qualche Scrittore; ma non già adottati dal Popolo. Il perché son io di parere, che più diligentemente di quel che finora s’è fatto, s’abbiano a scrutinare le Lingue Settentrionali, anzi fino l’Arabica, per trovare la vera origine di assaissime nostre voci, che Nazioni tali indussero nella nostra Lingua, o perché in Italia lungo tempo signoreggiarono, o col mezzo del Commerzio e della mercatura si familiarizzarono con gl’Italiani. Forse a qualche minore Ingegno parrà disonore il riconoscere da’ Barbari l’accrescimento di questa lingua, siccome altri ancora si vergognano di trarre da i Popoli Boreali i principj della lor Nazione: quasiché sia solamente onorevole il discendere da Trojani, Greci e Romani; il che è una vecchia pazzia. Ma noi troppo delicati ci pasciamo di dolci fantasmi; e abbandonata, anzi sprezzata la Verità, imprudentemente ci fermiamo alla sola ombra di essa. Chi all’incontro abbonda di Giudizio, si studia di trovare, non quel che piace, ma quel che è vero. (1751, II: 16)

La ricerca del ‘vero’ applicata alla storia permetteva quindi di smascherare la «vecchia pazzia» della visione classicistica. Il nutritissimo Catalogo di lessemi contenuto nella Dissertazione (153-364) la cui etimologia, secondo Muratori, non poteva essere ricondotta al latino o al greco, confermava così l’apporto in primo luogo delle lingue settentrionali, apporto che andava ben oltre quella «ventina di vocaboli» presi dal tedesco con cui Maffei sarcasticamente aveva liquidato l’influsso delle lingue dei barbari. Attenzione andava inoltre posta alle parole derivate dall’arabo, lingua verso la quale, come abbiamo già visto, l’autore dimostrava – a differenza degli altri eruditi italiani – una particolare sensibilità25. Lo stesso Timpanaro, pur argomentando a favore di Maffei, era stato costretto ad ammettere a proposito di Muratori che «il suo filobarbarismo è una forma indiretta di cosmopolitismo» (1969: 366). La concezione «filobarbarica» di Muratori, pur risentendo delle sue battaglie giurisdizionaliste a favore degli Estensi, aveva infatti un respiro moderno ed europeo (cfr. Costa 1977: 284-306).

Oltre a ribadire l’importanza del periodo medievale nella formazione della lingua italiana, lo studio del lessico metteva in evidenza anche un’altra componente

25 Secondo Marazzini (1988a: 23), è probabile che l’interesse manifestato da Muratori verso gli arabismi fosse indotto dagli studi sulla lingua spagnola realizzati agli inizi del Cinquecento da Aldrete, autore citato da Du Cange.

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fondamentale, quella del sostrato preromano, componente, come abbiamo visto, già messa in luce da Maffei:

Volendo noi dunque indagar l’origine de i vocaboli della nostra Lingua Volgare, primieramente possiam credere che tuttavia in essa e ne’ varj suoi Dialetti si conservino molti, de’ quali si servirono prima del dominio Romano gli antichi abitatori d’Italia. Qui in fatti dominarono una volta i chiamati Indigeni, gli Etrusci, gli Heneti, i Liguri, ed altri Galli, e genti, delle quali trattato hanno il Cluverio e il Cellario. In che fosse diversa la lingua Sabina dalla Latina, non si sa. In questi ultimi tempi s’è data meglio a conoscere l’Etrusca, il cui Linguaggio s’accosta in qualche cosa al Latino, ma è troppo differente da esso: anzi fa meraviglia l’udire l’aspro e duro parlare de’ vecchi Etrusci, con essere poi succeduto ad esso il così dolce, che in Toscana oggidì si parla. Altri Popoli certamente di Lingua diversa da quella del Lazio e di Roma nutrì l’Italia ne’ più antichi secoli; e a me par difficile, che tutti i lor vocaboli perissero, dappoiché que’ popoli vennero sotto il giogo de’ Romani. E perché non possono essere durati alquanti, o molti di essi nella comune Lingua d’Italia, e ne i diversi Dialetti della medesima in Italia? (1751, II: 118-119)

Pur ribadendo le perplessità, già avanzate nella Dissertazione XXXII, relativamente all’influenza del sostrato a livello fonetico – vedi il contrasto osservabile fra la ‘durezza’ dell’etrusco e la ‘dolcezza’ del toscano –, per Muratori la permanenza di elementi lessicali preromani era quindi un fatto incontrovertibile. Il primo di una serie di esempi riportati dall’autore è quello dell’idronimo Po, derivato dal latino Padum, che Muratori riconduce sulla scorta di Plinio al gallico

Pades oppure al ligure Bodincum, raffrontando quest’ultimo al celtico boddi,

riportato nel Glossario delle antiche voci celtiche del Boxhorn col significato di «sommergere» (119)26. A continuazione, come nel caso dei germanismi e degli arabismi, l’autore propone un elenco di lessemi che, non trovando spiegazione nel latino e nel greco, potrebbero essere ricondotti alle lingue degli antichi abitatori della penisola (128-134).

Dal passo riportato emerge inoltre un altro aspetto molto importante dello studio etimologico di Muratori, cioè quello del confronto fra lingua comune e dialetti. Il principio generale della variazione diatopica, su cui Muratori aveva

26 Marazzini (1988a: 24) sottolinea l’importanza del riferimento muratoriano al Boxhorn, uno dei padri fondatori della cosiddetta ‘teoria scitica’ (cfr. Droixhe 1978: 86-99).

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insistito più volte nella Dissertazione XXXII, trovava infatti un immediato riscontro a livello lessicale. «Ho osservato nel Dialetto Modenese un’incredibil quantità di voci, non conosciute punto da’ Fiorentini e Toscani. Lo stesso forse ritroveremo in altre Città e Provincie d’Italia», osservava Muratori (117). In tutta la dissertazione compaiono così numerosi riferimenti alle voci dialettali, in particolar modo a quelle del modenese, per quanto riguarda sia le sopravvivenze prelatine sia gli apporti del superstrato germanico e arabo. Il lessico dialettale veniva così confrontato con quello toscano – come del resto aveva già fatto il Ferrari nelle sue Origines (cfr. Marazzini 1989: 64-70) –, andando a formare un quadro composito della storia della civiltà italiana, che non poteva quindi riassumersi nella semplice continuazione di quella antica.

Divenendo termine di confronto nello studio etimologico, non autonomo oggetto d’indagine, il dialetto finiva però col perdere quel valore storico che invece Fontanini aveva saputo mettere in luce, confermando nella visione dell’erudito modenese il suo ruolo accessorio rispetto alla lingua comune. In tal senso probabilmente – più che a causa dell’enorme lavoro svolto dal prevosto di Pomposa negli ultimi anni della sua vita (Marri 1984: 27) –, andrà interpretata la mancata consegna alle stampe del prezioso materiale lessicografico sul dialetto modenese raccolto da Muratori e dai suoi collaboratori, rinuncia che suona come una risposta definitiva, ormai senza appello, ai dubbi sulla ‘spendibilità’ del dialetto emersi fin dall’età giovanile al momento di decidere se pubblicare o meno le opere dialettali del Maggi27.

27 Il materiale raccolto da Muratori e, sotto la sua guida, dai suoi collaboratori Pietro Gherardi e Giacomo Crispi, è rimasto in gran parte inedito fino alla sua pubblicazione in forma di repertorio lessicografico da parte di Marri, Calzolari e Trenti (Muratori et al. 1984). Nella sua introduzione al volume Marri (1984: 19-21) elenca le seguenti ‘prove’ della sensibilità che, a suo modo di vedere, Muratori dimostrava nei confronti del dialetto: la composizione di due sonetti in modenese e di alcuni carmina macaronica; l’amicizia col Maggi, testimoniata anche da una «voluminosa miscellanea di scritti maggeschi», comprendenti anche testi in dialetto, materiale anch’esso inedito, di cui aveva già dato notizia Isella (1964: 16) e sul quale si sofferma il medesimo Marri in un contributo successivo (1994); l’attenzione a «linguaggi ibridati da commistioni dialettali» che emergerebbe nel passo della Perfetta poesia da noi sopra riportato riguardo all’italiano parlato; le due dissertazioni linguistiche contenute nelle Antiquitates, in cui «Muratori dispiega tutte le sue conoscenze dialettali per tracciare un quadro dell’origine della lingua italiana». Dal nostro punto di vista, tutte queste ‘prove’, più che confermare «l’affetto per il vernacolo» di Muratori, testimoniano invece la sua capacità di osservare la situazione linguistica del tempo nella sua realtà storica, con lo stesso approccio filologico con cui l’autore esaminava i documenti medievali, e con sguardo da «filosofo», non da erudito. Il dominio del dialetto ricopriva tutta la sfera del parlato quotidiano, e pertanto Muratori non poteva non tenerne conto. Ma il dialetto, d’altra parte, non

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Pur con questi distinguo, bisogna tuttavia osservare che la considerazione del dialetto poneva l’erudito di fronte a una diversità di esiti etimologici a cui bisognava dare una spiegazione coerente. Dalle osservazioni dialettologiche di Muratori – come del resto anche da quelle di Fontanini e Maffei – emerge così la consapevolezza della regolarità di alcuni mutamenti fonetici, a cominciare dalla già ricordata apocope delle vocali finali nei dialetti settentrionali, consapevolezza che porta il letterato modenese a ridicolizzare le fantasiose ricostruzioni contenute nelle famose «scale» di Ferrari e di Ménage (Marri 1984: 28-30). Valga come esempio la spiegazione dell’origine del verbo bruciare, dove l’etimologia è evidentemente ricostruita sulla base della consapevolezza della regolarità della sonorizzazione della labiale latina:

Cercava il Franzese Egidio Menagio, onde nascesse l’Italiano Bruciare ed

Abbruciare. Ecco il suo parere. Da Pruna, Prunacius, Prucius, Brucius, Brucia, bruciare. Niuno crederà salto sì strano. Né più felicemente pensò

Ottavio Ferrari, traendo da Amburere il nostro Bruciare. Non istimerò io d’ingannarmi con dedurre questo verbo dal Latino Peruro. Cioè ha Peruro nel preterito Perussi; e forse il Popolo disse anche Perussus in vece di

Perustus. Da Perussi fu formato Perussiare, o Perussare; poi Prussiare o Prussare; e finalmente pronunziato il P. dolcemente, ne venne Brusare de’

Lombardi; e Brusciare e Bruciare de’ Toscani. Così Pruina diventò Brina;

Opprobrium Obbrobrio; e Pruna fu da noi Lombardi mutato in Brugna.

(1751, II: 124-125)

Come nella ricostruzione storico-linguistica, così nello studio etimologico Muratori dimostrava quindi il suo equilibrio e la sua capacità di proporre spiegazioni coerenti e documentate, rivelando, rispetto agli altri eruditi dell’epoca, una superiore consapevolezza metodologica. Le sue dissertazioni divennero così un punto di riferimento obbligato per gli studiosi italiani che nei decenni seguenti si occuparono di problemi storico-linguistici, e anche se nel mutato contesto della

aveva alcun valore all’interno del suo progetto linguistico-culturale, incentrato, come abbiamo visto, sul sostegno e sulla promozione della lingua comune. Il vero oggetto dell’interesse linguistico di Muratori era l’italiano, e la decisione di spendere le ultime energie di un’attività intellettuale straordinaria, per mole e per risultati conseguiti, nella traduzione delle Antiquitates – a cui, come il nipote ci ha tramandato, si dedicò fino al sopraggiungere della cecità (Soli Muratori 1756: 203) –, invece di dedicarsi alla realizzazione di altri progetti, fra cui l’eventuale pubblicazione del materiale dialettale raccolto, non può non essere interpretata come una precisa scelta politico-culturale.

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prima metà dell’Ottocento la sua preziosa sintesi finì con l’andare dispersa (Marazzini 1988a: 27), ormai «Muratori aveva dato nelle sue Antiquitates Italicae

Medii Aevi la prima vera opera di filologia romanza comparsa in Europa»