di Alfonso Piscitell
1. Le reti di impresa: considerazioni introduttive
Il capitolo propone un’analisi quantitativa dei contratti di rete da quando sono stati istituiti ad oggi. Il contributo, a partire dalla sintetica ricostruzione dei trend nazionali, si concentra sulle caratteristiche strutturali delle reti d’impresa che coinvolgono il tessuto imprenditoriale campano. La distribu- zione settoriale dei contratti, la localizzazione spaziale, i tempi di costitu- zione e le caratteristiche delle imprese che hanno stipulato i contratti, dise- gnano il percorso analitico seguito. Sul piano metodologico, sono stati con- siderati i dati relativi ai contratti di rete presenti nel database del registro delle imprese delle camere di commercio italiane, aggiornato al 03 gennaio 2020.
Prima di entrare nel merito dell’analisi campana, è bene soffermarsi sulle ragioni economiche e produttive che hanno contribuito a porre il contratto di rete al centro di un denso dibattito scientifico. Se le aspettative che ne hanno accompagnato l’azione, a partire dal 2009, sono sensibilmente calate, le pro- blematiche che invece hanno decretato la sua centralità nel panorama delle politiche industriali italiane restano le medesime.
Da diversi anni le imprese italiane scontano una difficoltà crescente a far fronte ai cambiamenti competitivi occorsi a livello globale. In primis, una concorrenza spietata basata sul prezzo dei beni prodotti; in secondo luogo, una sfida che sempre più si basa sulla conoscenza e sulla capacità di adatta- mento alle esigenze del cliente; infine, una rivoluzione tecnologica e digitale che non solo ha trasformato le abitudini di consumo dei cittadini in tutto il mondo, ma ha anche imposto un ripensamento radicale nel modo in cui le imprese generano e trattengono valore aggiunto al proprio interno (Viesti,
2013)1. In ogni caso si tratta di sfide che richiedono riorganizzazione ed in-
vestimento imprenditoriale, principalmente in innovazione (sia produttiva sia organizzativa) (Nohria e Eccles, 1992). Nel caso delle imprese italiane questa capacità appare indebolita da una storica frammentazione delle catene del valore nazionali, la quale non ha come unico fattore esplicativo il peso schiacciante delle imprese di piccola e piccolissima dimensione (che rappre- sentano più del 98% del totale nell’economia italiana e, soprattutto, occu- pano il 57% circa del totale degli occupati, contro una media europea rispet- tivamente del 97% e 39%), ma anche gli scarsi livelli di coordinamento tra i diversi soggetti della filiera. La bassa produttività delle imprese, la dimen- sione media degli stabilimenti, la crescente interdipendenza dei mercati e l’intensificazione di dinamiche competitive a livello continentale e globale impongono una forte risposta di policy (Banca d’Italia, 2018).
Qualsiasi soluzione possibile passa necessariamente per il potenziamento tecnologico degli impianti esistenti, la parallela crescita del capitale umano, la creazione e il consolidamento di reti tra imprese. Secondo una ricerca con- dotta dal Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE) nel 2012, su un cam- pione rappresentativo di micro, piccole e medie imprese, solo il 13,7% di esse aveva formalizzato strategie di collaborazione, permanenti o anche solo temporanee, con altri soggetti imprenditoriali (AA.VV., 2017). I dati dell’ul- timo Censimento dell’industria e dei servizi evidenziano come oltre la metà delle imprese rilevate intrattenga una qualche forma di relazione non neces- sariamente formalizzata. In particolare, la propensione ad attivare legami con altre imprese cresce all’aumentare della dimensione aziendale e presenta specifiche connotazioni di natura settoriale, con quote più elevate nell’indu- stria (Istat, 2018). Il tipo di relazione più diffuso tra le imprese è quella com- merciale o di tipo “verticale” (ad es. i contratti di commessa e di sub-forni- tura), mentre meno frequente appare il ricorso a forme di collaborazione di tipo “orizzontale” quali consorzi, joint ventures e accordi temporanei fra im- prese. Inoltre, da un’indagine condotta da Met2 su circa 25 mila imprese nel
2017, il 52,4% delle imprese considerate (escludendo nello specifico le ditte individuali e i servizi alla persona) dichiara di avere rapporti stabili di colla- borazione con altre imprese, con un aumento percentuale significativo ri- spetto agli anni precedenti (oltre nove punti a confronto con il 2013). Sul territorio, la diffusione è maggiore nel Nord-Est e minore nel Mezzogiorno, ma il divario è relativamente contenuto; l’aumento dell’intensità delle colla- borazioni riguarda tutte le ripartizioni (Istat, 2018).
Al fine di soddisfare le esigenze commerciali delle imprese, ma anche per
1 Per un maggior approfondimento, si rimanda all’analisi di Viesti (2013).
2 Met-Monitoraggio economia territorio. Per un maggior approfondimento, si rimanda a
contribuire a superare alcuni “vincoli” di schemi giuridici finalizzati al coor- dinamento produttivo (come i consorzi, i contratti bilaterali collegati, o le
joint ventures), nel 2009 è stato introdotto all’interno dell’ordinamento giu-
ridico italiano il “contratto di rete”3. Si tratta di uno strumento esplicitamente
orientato a progetti d’investimento comuni tra più soggetti imprenditoriali e finalizzati, almeno negli impegni assunti dalle parti, ad accrescere il poten- ziale d’innovazione e, di conseguenza, la capacità competitiva dei contraenti. Il contratto di rete, rispetto agli strumenti giuridici preesistenti, non impone la costituzione di un soggetto giuridico autonomo rispetto ai contraenti, per- mettendo alle imprese di mantenere la propria identità e autonomia gestio- nale, tranne la necessità di coordinare la propria attività con gli altri parteci- panti alla rete. Inoltre, lascia ai contraenti un’ampia autonomia decisionale sia nella definizione dei contenuti del progetto, sia nelle regole che ne disci- plinano il funzionamento (AA.VV., 2017).
Attraverso il contratto di rete le imprese possono condividere le risorse, finanziarie e umane, necessarie per supportare gli investimenti in nuove tec- nologie e le strategie di espansione delle attività, per aumentare l’efficienza nei processi produttivi, nonché per accrescere la diversificazione di produ- zioni e fonti di finanziamento, riducendo in tal modo l’esposizione agli effetti negativi di shock economici e finanziari. Attualmente le reti d’impresa co- stituiscono un’importante realtà che caratterizza il modo di fare impresa per tante aziende italiane, di ogni dimensione e settore. Un fenomeno, quindi, che rientra a pieno titolo tra quelli di maggior interesse per la definizione di politiche industriali concretamente vicine alla tipologia del tessuto impren- ditoriale.
Il contratto di rete, pertanto, non solo ha offerto una forma di regolamen- tazione meno rigida di una prassi imprenditoriale già ampiamente diffusa, ma poteva rappresentare la principale leva di policy a sostegno della crea- zione e del consolidamento delle reti di impresa italiane. Oltre alle potenzia- lità di questo strumento, la realtà italiana dell’ultimo decennio restituisce una mappa di esiti che se da un lato confermano la necessità di politiche tese a rafforzare le reti cooperative, dall’altro mettono in evidenza le molteplici dif- ficoltà attuative di policies orientate a creare aggregazioni di imprese. Inol- tre, i limiti e le potenzialità del contratto di rete devono essere compresi in corrispondenza delle specificità produttive regionali, nonché della storica propensione e necessità di determinati settori radicati in un territorio. L’ana- lisi campana, da questa prospettiva, offre interessanti spunti di ricerca, con-
3 Il contratto di rete è stato istituito dal d.l. 10 febbraio 2009, n. 5 (convertito in Legge 9
siderando la centralità della sua struttura produttiva e manifatturiera nel qua- dro socioeconomico del Mezzogiorno.