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Le reti di imprese in un contesto microcapitalistico

di Antonio Russo

7. Le reti di imprese in un contesto microcapitalistico

Le aziende leader rappresentano spesso microcosmi di innovazione inseriti entro territori segnati da arretratezza produttiva e gravi deficit strutturali; spazi di modernità debitamente e deliberatamente isolati dall’ambiente in cui

sono incorporati, eccezioni che non generano né consistenti effetti di trasci- namento sul tessuto produttivo circostante, né dinamiche agglomerative o processi diffusivi di sviluppo endogeno. Ben poco si proietta e deborda oltre il perimetro aziendale. Gli effetti moltiplicativi e generativi della conoscenza (Rullani, 2014), e del sapere fare in loro sedimentato, vengono così inibiti dalla mancanza di interazioni stabili tra aziende e l’ambiente esterno. Para- dossalmente, analoghe dinamiche tendono a riproporsi e riprodursi anche nelle relazioni interne al contratto di rete analizzato, caratterizzato da una certa separazione tra aziende leader e aziende minori, e talvolta anche tra imprese leader.

Del resto, la chiusura a relazioni di filiera, su scala locale, appare una stra- tegia razionalmente orientata a evitare l’imitazione da parte delle aziende

followers, e i conseguenti rischi di dispersione del vantaggio competitivo co-

struito nel tempo dalle aziende leader. La sfiducia induce una condizione diffusa da dilemma del prigioniero, che imbriglia gli attori locali nella trap-

pola della non-cooperazione (Axelrod, 1985). Sebbene la cooperazione –

come esplicitamente riconosciuto (almeno sul piano retorico) dagli intervi- stati – genererebbe mutui vantaggi, questo atteggiamento è auspicato da tutti ma praticato da pochi (e raramente), per timore di una ripartizione fortemente asimmetrica dei guadagni o di dinamiche imitative.

Tale atteggiamento di sfiducia diffusa, nel contempo, spinge ad interfac- ciarsi con aziende dotate di caratteristiche tali da circoscrivere al minimo gli

information spillover e il rischio di catching up da parte di competitors locali.

Relazioni cooperative, o quantomeno forme blande di integrazione tra aziende, vengono di conseguenza ricercate soprattutto per le fasi situate a valle del processo produttivo (marketing, commercializzazione, ecc.), e dun- que tutto sommato marginali rispetto alle aree core e più sensibili, dalle quali si irradiano i vantaggi competitivi più avanzati strutturati dalle stesse. Anche quando scelgono di entrare in partenariati, le aziende tendono quindi a privi- legiare relazioni “lunghe” con soggetti distanti, sia in termini geografici che settoriali. Tale modus operandi traspare parzialmente anche dall’analisi dei dati (Tab. 1).

La notevole eterogeneità delle aziende contrattiste – operanti in settori molto diversi dell’agroalimentare e per di più localizzate in differenti aree del territorio regionale – gioca evidentemente a sfavore dell’integrazione tra le stesse. Tali aspetti determinano ab origine un basso potenziale di integra- zione di lungo termine tra i partner coinvolti, sia per la distanza fisica che li separa, sia per la distanza cognitiva e operativa spontaneamente determinata dall’allocazione su segmenti produttivi altamente differenziati. Gli stessi in- tervistati, come già evidenziato, hanno posto in rilievo tale problematica.

Se l’eterogeneità operativa circoscrive il rischio di imitazione e di informa-

tion spillover, nel contempo limita il potenziale di integrazione e di coopera-

zione tra le aziende del network. E proprio questo limite viene ravvisato da molti aderenti al contratto Calabria di gusto: le interazioni non hanno con- tribuito ad intessere stabili legami relazionali tra le aziende e significativi o duraturi vantaggi sul piano dell’elaborazione di strategie comuni. Dopo l’av- vio del contratto, i contatti tra gran parte delle aziende coinvolte sono diven- tati sempre più sporadici e limitati, senza strutturare forme di collaborazione persistenti o impattanti sotto il profilo strategico-operativo.

La partecipazione a tali policy network appare essere talvolta interpretata più come un espediente tattico per intercettare risorse che come leva strate- gica orientata a fornire una risposta organica ai problemi strutturali che se- gnano lo spazio locale, condizionando negativamente la redditività delle aziende in esso insediate. Tale aspetto è chiaramente rimarcato da vari inter- vistati: le aziende si aggregano perché l’accesso al finanziamento lo richiede, ma l’aggregazione è (spesso) puramente formale, generando così effimeri quanto evanescenti benefici sul piano produttivo e/o gestionale.

Le uniche relazioni che le aziende cercano di intessere in modo stabile sono quelle con la sfera politica e con la burocrazia, essenziali per assicurare l’ac- cesso privilegiato a finanziamenti e alle molteplici agevolazioni disponibili, tal- volta orientate a compensare le diseconomie presenti in tali aree, talaltra a ga- rantire rendite di posizione o vantaggi di natura più o meno assistenzialistica. In tale assetto microcapitalistico la politica, dal canto suo, non ha espletato alcuna azione regolativa o promozionale di rilievo, limitandosi a distribuire incentivi e sussidi spesso seguendo logiche clientelari. I legami comunitari, diversamente da quanto avvenuto nelle aree dei distretti industriali del Cen- tro-Nord (Becattini, 1987), hanno qui agito per «riprodurre le posizioni di potere sociale nella politica e attraverso la politica, anziché nel mercato eco- nomico» (Fantozzi, 1997, p. 15).

8. Conclusioni

Nel capitolo sono stati analizzati i dati relativi ai contratti di rete in Cala- bria ed è stata delineata l’esperienza del contratto di rete Calabria di gusto, al quale hanno aderito molteplici aziende leader dell’agroalimentare locale. Questo settore, come spesso ricordato dagli stessi intervistati,

[…] rappresenta per la Calabria e per tutto il Mezzogiorno uno dei maggiori punti di forza dell’economia. La filiera agroalimentare negli ultimi dieci anni ha dimostrato non solo di essere viva e di contribuire attivamente alla crescita della regione, ma si

è rivelata come uno dei settori calabresi che punta molto all’innovazione e alla di- versificazione produttiva. È in questo senso un settore ad alto tasso di sviluppo. Gli ultimi decenni sono stati testimoni di profonde trasformazioni interne al settore pri- mario che hanno contribuito a cambiare il volto dell’agricoltura calabrese e dei ter- ritori rurali per una visione più ampia che punta decisamente nella direzione della diversificazione (Intervista n. 14, rappresentante associazione di categoria).

Le aziende del network analizzato si sono sviluppate traendo vantaggio dalle tradizioni produttive e dalla dotazione di risorse naturali dei contesti di insediamento. Nel contempo, hanno fronteggiato un ambiente istituzionale piuttosto ostile, mettendo a punto apposite strategie per adattarsi ad esso. L’assetto istituzionale espleta un ruolo decisivo nei processi di sviluppo eco- nomico e nel conferire dinamicità al tessuto produttivo (North, 2002), come ampiamente riconosciuto da una copiosa letteratura di matrice neo-istituzio- nale, e può talvolta concorrere a disincentivare l’innovazione e atrofizzare le energie imprenditoriali. Ma, anche quando poco adeguato a sostenere lo svi- luppo economico, l’ambiente istituzionale non sopprime del tutto gli spazi di autonomia degli agenti di mercato e le possibilità di successo imprendito- riale. Proprio le esperienze di queste aziende, entro un ecosistema operativo poco ospitale per le attività economiche come quello calabrese, sembra di- mostrare che i condizionamenti dell’assetto istituzionale sono decisamente meno deterministici di quanto parte della letteratura sullo sviluppo lasci in- tendere. L’agire imprenditoriale, in particolare, è fondamentale per suppor- tare lo sviluppo economico (De Vivo, 2017). Il cumularsi di casi e di espe- rienze imprenditoriali di successo, in aree in ritardo di sviluppo, modificando le aspettative di policy-makers e degli agenti economici, può attivamente contribuire a destrutturare quella potente sindrome da fallimento che costi- tuisce di per sé un rilevante ostacolo immateriale allo sviluppo stesso (Hir- schman, 1988).

Nel complesso, oltre ad avere consentito di analizzare le dinamiche gene- rative di tali esperienze di successo, dalla ricerca empirica sono emerse tre nette indicazioni riguardo al caso di studio selezionato:

 nella rete Calabria di gusto è presente un nucleo circoscritto di aziende che tende a cooperare stabilmente e partecipare in modo congiunto a molteplici bandi di finanziamento. Il più importante lascito di questa espe- rienza sembra essere rappresentato proprio da tale policy network che si at- tiva ciclicamente in presenza di politiche di incentivazione. Più in generale, in tali reti la dimensione opportunistica, connessa alla percezione dei finan- ziamenti, appare assumere una certa rilevanza come reale collante dell’ag- gregazione. Dalla percezione di tali finanziamenti, beninteso, talvolta scatu- riscono ricadute positive sul piano produttivo e per il territorio. Ma si tratta

di esternalità secondarie, esiti indotti dagli effetti moltiplicativi keynesiani spontaneamente generati dall’investimento stesso. Ben pochi benefici deri- vano invece dall’attuazione di strategie aggregative razionalmente orientate a strutturare stabili circuiti di cooperazione produttiva e commerciale tra ope- ratori e filiere locali;

 le aziende leader della rete Calabria di gusto non sembrano avere sviluppato rilevanti rapporti o sinergie con il territorio di insediamento. Forme di integrazione orizzontale o di distrettualizzazione, nelle aree di lo- calizzazione di tali aziende, risultano piuttosto irrilevanti o limitate. Le dise- conomie e gli alti costi di transazione, che connotano tale realtà regionale, spingono le imprese a fare leva sulle capacità competitive interne e a svilup- pare, entro le mura aziendali, i vantaggi competitivi più sofisticati. Di con- seguenza, queste aziende hanno fatto ampio ricorso all’integrazione verti- cale, internalizzando tutti i processi dai quali ricavano i vantaggi competitivi distintivi. Il loro sviluppo si è fondato su risorse strategiche endogene al pe- rimetro aziendale, isolando queste risorse dall’influenza del territorio, fonte di rischi più che di opportunità. Complementarmente, l’apertura al territorio e alle relazioni esterne, da parte delle aziende leader, appare limitata allo stato attuale, anche per circoscrivere le dinamiche di spillover e altre forme di esternalità positive che possono potenzialmente indurre la dispersione di vantaggi competitivi, faticosamente costruiti, sulle concorrenti locali;

 la bassa dotazione fiduciaria del contesto territoriale in questione, e gli elevati costi di transazione che lo connotano, hanno indotto lo sviluppo di una struttura produttiva puntiforme, basata sulla piccola impresa fami- gliare, con una scarsa articolazione organizzativa interna, subdimensionata e sottocapitalizzata. Tracce di capitalismo famigliare sono ben presenti anche in queste aziende che, nonostante i vincoli tipici di questo modello di rego- lazione, sono riuscite ad innovare e a costruire vantaggi competitivi avanzati, superando gli ostacoli derivanti dall’ambiente poco favorevole e dall’assenza di un sistema locale capace di supportarne l’ascesa. Di qui la necessità di costruire all’interno dell’azienda le principali fonti del vantaggio competi- tivo.

Date tali caratteristiche, le politiche dovrebbero prioritariamente incre- mentare le economie esterne alle aziende e interne al territorio, per sostenere lo sviluppo e l’ulteriore potenziamento del tessuto produttivo circostante. Le esternalità positive, generate dalla presenza di aziende leader, allo stato at- tuale sono piuttosto limitate, a causa del ricorso all’integrazione verticale quale risposta agli elevati costi di transazione. Sotto questo profilo, più che un’azione distributiva, le politiche dovrebbero espletare una funzione cata- lizzatrice di rapporti e di relazioni cooperative tra aziende su scala locale,

creando nuove connessioni che riducano l’isolamento delle micro e piccole imprese, inserendole in circuiti di rete e filiere più ampie.

In un contesto come la Calabria, storicamente connotato da una forte di- pendenza dai trasferimenti pubblici, l’uso dei finanziamenti come leva per il consenso ha articolato nel tempo un inefficiente modello di capitalismo po-

litico, alimentando una patologica dipendenza della sfera economica dalle

risorse intermediate dalla classe politica locale (Trigilia, 2012). Il circolo vi- zioso che ne è scaturito ha rafforzato ulteriormente la dipendenza dalle isti- tuzioni pubbliche locali e regionali delle «attività economiche e imprendito- riali che non si reggono sulla capacità di competizione pacifica nel mercato economico, ma sull’uso della violenza e di risorse politiche legali (conces- sioni, appalti, sussidi)» (ivi, p. 52).

In aggiunta, le politiche per lo sviluppo, implementate negli ultimi de- cenni attraverso l’utilizzo dei fondi europei, anche quando non distorte da finalità particolaristiche sono state comunque minate da una certa disconti- nuità temporale, da notevole frammentazione e da una rilevanza limitata, da una circoscritta capacità amministrativa e da una incerta quanto instabile vi- sione politica (Russo, 2015). Sotto questo profilo, le politiche non si sono configurate come interventi correttivi, ma nel migliore dei casi si sono limi- tate a distribuire incentivi e finanziamenti, senza incidere in misura apprez- zabile sulle molteplici debolezze e distorsioni strutturali che connotavano – e continuano a caratterizzare – l’apparato produttivo locale.

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