La difficoltà principale dei contratti di rete campani, oltre a quanto evi- denziato dai trend di costituzione e diffusione sul territorio nazionale e re- gionale, si rintraccia nelle caratteristiche del tessuto imprenditoriale. Come detto, la maggioranza delle imprese in rete si muove in un perimetro di azione piuttosto ristretto, dando vita a reti corte che solo in minima parte rispondono ai problemi di fondo del tessuto produttivo del Mezzogiorno d’Italia13. In prospettiva, sarà importante comprendere le ragioni di fondo
che spingono soprattutto le piccole e medie realtà produttive verso la costru- zione di reti fortemente localizzate.
Nel panorama degli incentivi nella costituzione delle reti una maggiore attenzione dovrà sicuramente essere rivolta alle misure d’incentivazione na- zionali e regionali che confluiscono periodicamente nei programmi regionali sostenuti dalla politica di coesione europea. La sua costituzione, quindi, apre un frammentato spazio di possibilità fiscali e di policy che le reti devono di volta in volta sfruttare e mettere a valore (Negrelli e Pacetti, 2016). La stessa configurazione delle reti – in termini settoriali, spaziali, progettuali – dev’es- sere letta anche in funzione delle instabili cornici normative che regolano l’accesso agli incentivi. Tutte le regioni, con un diverso grado di intensità e approccio, hanno sostenuto le reti in rapida crescita, attraverso sia fondi na- zionali che regionali e comunitari.
Ben l’86% dei fondi stanziati fa riferimento a risorse comunitarie del Pro- gramma Operativo del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) per il periodo di programmazione 2007-2013 (in particolare all’interno dell’asse per l’Innovazione e per l’ambiente) e 2014-2020 (in particolare sono previste misure ad hoc a sostegno della creazione di reti, cluster e filiere nell’asse 1 relativo ai temi Ricerca e Innovazione e nell’asse 3 relativo alla competitività dei sistemi produttivi). Il restante 14% è composto da fondi in cofinanzia- mento Stato-regione (8%), fondi regionali (6%) e, in piccolissima parte, da fondi nazionali e camerali (AA.VV., 2017). Sebbene le reti di imprese siano trasversali alle regioni italiane, gli incentivi hanno un forte limite territoriale, riconducibile alla competenza regionale. Le amministrazioni regionali sono infatti obbligate ad erogare fondi solo per le imprese che insistono sul proprio territorio. Tuttavia, vi sono anche bandi regionali che non escludono la par- tecipazione di imprese con sede al di fuori del territorio regionale, purché
esse non siano beneficiarie di contributo14. Così, a fronte di un 27% di con-
tratti di rete che insistono sul territorio di più regioni, gli incentivi hanno invece applicabilità limitata (AA.VV., 2017).
Secondo RetImpresa (2014), nel corso degli ultimi anni il rapporto tra reti agevolate e reti esistenti è calato notevolmente: si passa dal 43% del 2014 al 27% del 2016. Ciò non dipende tanto da una riduzione dell’impegno pub- blico nei confronti delle reti (che si rileva solo nel 2016), ma piuttosto da un forte incremento delle reti di imprese costituite. Questo dato conferma ulte- riormente che le reti di impresa, generalmente intese, non dipendono dalle agevolazioni pubbliche; allo stesso tempo anche che il contratto di rete non è un fenomeno passeggero, ma un incentivo che raccoglie un tipo di esigenza strutturale di tutte le unità aziendali. Una necessità, si potrebbe affermare, che va interpretata tenendo conto dei cambiamenti che hanno investito i re- gimi di accumulazione post-fordisti (De Vivo, 2017). Le imprese continuano sempre di più a condividere programmi di investimento tramite il contratto di rete perché così facendo incrementano il proprio livello di competitività sul mercato nazionale ed estero (AA.VV., 2017).
Ci sembra doveroso evidenziare che solo una quota residua dei fondi regio- nali è stata indirizzata in questi anni esclusivamente a favore delle reti di im- presa, ovvero 53,5 mln di euro di stanziamenti tra il 2010-2016 (AA. VV., 2017).
La scelta delle regioni di incentivare le reti si è dimostrata realmente effi- cace e ha prodotto risultati interessanti. Basta infatti considerare che i contri- buti regionali per le reti hanno consentito di attivare investimenti per 95 mi- lioni di euro, circa il triplo dell’importo concesso. Va comunque precisato che nella maggior parte dei casi i progetti di rete vengono finanziati da bandi che non necessariamente sono riservati a soggetti imprenditoriali che si sono co- stituiti in una rete formalizzata. Infatti, l’orientamento prevalente seguito dalle amministrazioni regionali non ha sviluppato una politica di sostegno esclusiva per le reti, ma rivolta alle imprese in generale, con l’obiettivo di aumentare la loro competitività rispetto a determinati asset/obiettivi ritenuti strategici.
La Campania, durante il periodo 2014-2020, ha messo a disposizione 30 milioni sul Fondo Regionale per lo sviluppo delle PMI campane – misura “Internazionalizzazione” gestita da Sviluppo Campania. L’adesione alla so- pracitata misura prevede un finanziamento a tasso agevolato per la parteci- pazione a fiere, servizi promozionali, supporto specialistico all’internaziona- lizzazione (temporary export manager), servizi di supporto per decisioni di
14 Gli interventi regionali si rivolgono ad imprese appartenenti a più settori, anche se cre-
sce il numero di bandi dedicati a sostenere un settore specifico (23% rispetto al 17% di qualche anno fa), in particolare il turismo (15%). Il manifatturiero risulta il settore che viene preso più in considerazione dai bandi regionali (24%) (AA.VV., 2017).
alleanze all’estero, utilizzo di strutture temporanee (temporary shop, show-
room, uffici di rappresentanza, centri di distribuzione, centri di assistenza
tecnica post-vendita all’estero) (AA. VV., 2017). La regione Campania scon- ta però una chiara difficoltà nella predisposizione di incentivi in grado di facilitare la collaborazione tra imprese che hanno sede ed operano in regioni differenti, ossia di favorire le reti lunghe. Mentre a livello nazionale sono proprio questo tipo di reti a ottenere i migliori risultati sul piano competitivo (fatturati e mercati) e cooperativo (stabilità e rafforzamento della compa- gine).
Negli ultimi anni, in Italia, la costituzione di reti complesse (in particolare quelle a lungo raggio) ha rapidamente guadagnato peso, coinvolgendo oltre il 30% delle imprese (Confindustria et al., 2017). Tanto nella manifattura quanto nei servizi (per tutte le dimensioni), le imprese impegnate in reti com- plesse, soprattutto internazionali, conseguono livelli di produttività più ele- vati (Istat, 2018; Svimez, 2019). Una tendenza italiana che, invece, registra chiare difficoltà in Campania e su cui lo strumento contratto di rete ha inciso in modo poco significativo. Si ritiene che, alla luce delle misure regionali sopracitate, uno dei principali vincoli verso il rafforzamento e la creazione di reti complesse – di raggio nazionale – vada ritrovato nel debole raccordo stabilito tra centro e periferia.
I contratti di rete, alla luce del quadro normativo nazionale, possono incen- tivare una maggiore cooperazione imprenditoriale a patto che vengano sup- portati da forme di finanziamento (europee, nazionali e regionali) scevre da vincoli spaziali d’investimento rigidi. Vincoli che trovano la loro prima giusti- ficazione in sistemi di rendicontazione e programmazione regionali, non solo nella bassa propensione a fare rete delle imprese meridionali. In ogni caso sa- rebbe opportuno che lo strumento di policy che favorisca le reti d’impresa vada ripensato non nella sua mission di fondo – sostenere le più efficaci forme di cooperazione competitiva – ma nelle sue modalità di sostegno finanziario; spe- cialmente in una congiuntura produttiva dove gli incipienti processi di riorga- nizzazione tecnologica e commerciale, riconducibili alla generica dizione di “quarta rivoluzione industriale”, richiedono reti lunghe di scambi e coopera- zione per la loro concreta e cantierabile messa in opera.
Bibliografia
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